COL 489085 2

 

 

CD 1

La valigia dell'attore Sangue su sangue L'agnello di Dio Dr. Dobermann Nero La leva calcistica della classe '68 Titanic Pablo Generale Pilota di guerra Bufalo Bill Stelutis Alpinis Alice La donna cannone 

CD 2

Dammi da mangiare Atlantide Un guanto Niente da capire Compagni di viaggio Prendi questa mano, Zingara Giorno di pioggia Rimmel Rosa rosae Natale Povero me Il suono delle campane Sotto le stelle del Messico a trapanàr La storia Non dirle che non è così

 

 

Prodotto da Guido Guglielminetti - Registrazioni live effettuate da Roberto Barillari (studio mobile Fonoprint) - Maurigio Maggi (Umbi mobile) - Marco Ciullini e Umberto Baiocchi: fonici di palco -  Giorgio Albani e Mauro Laficara: fonici di sala. Missaggio effettuato da Giulio Koelliker e Guido Guglielminetti presso lo studio Hobo Recording. Editing di Carlo U. Rossi - Transeuropa studio Torino. Mastering di Antonio Baglio - Nautilus Milano. Organizzazione e management esclusivo: Filippo Bruni. Copertina: Peppe D'Arvia. Foto interna di Roberto Coggiola. Grafica: Francesca Pes.

Hanno inoltre collaborato: Costantini Albini su Dammi da mangiare, Elio Rivagli su La Valigia dell'attore e Dammi da mangiare, Michele Anselmi su Non dirle che non è così. Archi scritti e diretti da Bob Alcivar sovrapposti negli O' Henry Sound Studios - Los Angeles su La Valigia dell'attore e La storia. Archi scritti e diretti da Guglielminetti al Teatro Lirico di Milano su Stelutis Alpinis. Grazie a Giulia e Mimmo Locasciulli per la loro ospitalità e la preziosa collaborazione.

 

Con il doppio CD "La valigia dell’attore" Francesco De Gregori pubblica il sesto live della sua carriera. Se si eccettua, infatti, "Banana Republic" che testimoniava il tour con Lucio Dalla del 1979 - peraltro si tratta di registrazioni per la massima parte provenienti dai check-sounds a causa di problehttps://www.iltitanic.com/premi/01.jpgmi tecnici - ha già pubblicato "Nientedacapire", "Musica leggera" e "Catcher in Sky" nel 1990, "Il bandito e il campione" nel 1993 e "Bootleg" nel 1994. Mentre i primi tre live erano il risultato di due anni di registrazioni - dal 1987 al 1989 - , gli ultimi due testimoniano un tour - "Bootleg" addirittura un singolo concerto. Anche se i quattro inediti presenti - per tre si tratta di versioni registrate in studio - sono stati generalmente ben accolti dalla critica, la scelta di pubblicare un altro disco dal vivo ha sollevato qualche critica, simile del resto alle polemiche nate in corrispondenza all’uscita di "Bootleg" a ridosso del "Bandito e il campione". (…) LA VALIGIA DELL’ATTORE - DI GIOVANNI CERUTTI)  

Non si può affermare il contrario: "La valigia dell'attore" di Francesco De Gregori è un bel disco, piacevole, esteticamente ben costruito, suonato in giro per concerti con energia e passione da validi musicisti ed impreziosito da quattro inediti; ventinove canzoni in tutto proposte al pubblico ad un prezzo modico. Pezzi tra i più famosi ed amati, molti dei quali oggettivamente non solo pietre miliari della canzone cantautorale italiana, ma soprattutto splendidi e perfetti equilibri di poesia e musica. Un Francesco De Gregori che ha scoperto negli ultimi anni una sconosciuta voglia di semplicità, di comunicazione ed il piacere di stare in mezzo alla gente, ai giovani, lontano dagli atteggiamenti scontrosi e dai versi criptici del passato. LA VALIGIA DELL'ATTORE – DI GIANLUCA CASTELLANI)

La querelle che contrappone Francesco De Gregori e Maurizio Ronconi si arricchisce di un nuovo capitolo: dopo le denunce scritte siamo alle querele in tribunale. E tutto per colpa di quella recinzione dietro alla quale, a sentire Ronconi, ci sarebbe una truffetta messa in atto da Da Gregorí con la complicítà di funzionari e amministratori della Provincia di Perugia e dei Comune di Spello. E lo scontro, c'era da prevederlo, era inevitabile essendo Da Gregori un personaggio spígoloso e Ronconí una sorta di Píerino che si diverte a creare difficoltà agli amministratori del centrosinistra. IL CANTAUTORE CONTRO IL SENATORE - 28 APRILE 1998 - AI.MEN. )

 

 

 

Il "Corriere della Sera" racconta di una "Sorpresa ieri sera alla Villa Reale di Monza al primo concerto del nuovo tour estivo di Francesco De Gregori. Il cantautore aveva appena eseguito due bis e la gente si avviava all'uscita quando è apparso sul palco Fabio Fazio, che ha detto: "Ci sono volute due ore a convincerlo, ma è ancora qui e ci canterà 'Pablo'". De Gregori ha replicato: "E' un bravo ragazzo, ha solo un difetto: ha presentato Sanremo. Ma lo perdono". FRANCESCO DE GREGORI: CONCERTO S PARTANO. FAZIO SUL PA LCO – 2 LUGLIO 1999)

 

 

Un evento musicale di grande rilievo concluderà la cerimonia solenne di consegna delle pergamene ai laureati dell'Università di Teramo. Nel pomeriggio, alle ore 18.30, Francesco De Gregori e Mimmo Locasciulli terranno un concerto in piazza Martiri, a Teramo. CERIMONIA SOLENNE E CONCERTO DI DE GREGORI PER I LAUREATI DELL'UNIVERSITA' DI TERAMO – 13-10.99)

 

 

(Testo DI F. DE GREGORI - Musica di M. LOCASCIULLI)

 

Uomini senza lingua uomini senza città
Senza più cittadinanza uomini senza dignità
Uomini senza terra buttati di qua e di là
Uomini in mezzo agli uomini
Uomini forti e stupidi uomini magri e strani
Uomini come pecore uomini come cani
Ho visto uomini lasciati perdere
Dentro ai letti degli ospedali
E uomini di là dal mare fatti a pezzi come animali
Ho visto uomini discutere su chi doveva sparare per primo
Uomini tirare a sorte il nome dell'assassino
Uomini dire basta e altri uomini dire ancora
Uomini alla finestra affacciati su una galera

Ho visto uomini senza nome e ho visto uomini senza età
Ho visto uomini sotto agli uomini
Ho visto uomini famosi chiusi dentro un francobollo
Uomini sconfitti con un cartello al collo
Uomini avere freddo e altri uomini avere fame
Uomini contro gli uomini per l'ultimo pezzo di pane

Uomini senza lingua uomini senza pietà
Uomini senza un dolore uomini senza umanità
Uomini in fila indiana nella notte di Natale
Aspettavano fumando il suono delle campane
Ho visto uomini discutere su chi doveva sparare per primo
Uomini tirare a sorte il nome dell'assassino
E ho visto uomini in fila indiana nella notte di Natale
Aspettavano fumando il suono delle campane
Il suono delle campane
Aspettavano sognando...

 

 

 

 

 

 

 

 

AI dischi dal vivo ci ha preso gusto di recente anche Francesco De Gregori, dopo una lunga carriera vissuta facendone tranquillamente a meno. L'unica eccezione era il glorioso Banana Republic, memore di una celebre tournée in compagnia di Lucio Dalla, fino al settembre del 1990, quando a sorpresa De Gregori pubblicò insieme ben tre album dal vivo. Non pago, a meno di tre anni di distanza se ne esce con Il bandito e il campione (ed. Sony), nuova testimonianza della dimensione live del cantautore, che negli ultimi tempi si è gettato a capofitto nei concerti, dimostrando una rinnovata voglia di confrontarsi col pubblico, a tratti più seriosamente, altre volte con notevole verve, come è accaduto negli spettacoli di questa estate. (…). Ma agli appassionati del cantautore farà sicuramente piacere trovare in questo album ben due "cover" che di tanto in tanto De Gregori usa regalare al suo pubblico. La più singolare è certamente Vita spericolata, nella quale De Gregori fa addirittura il verso a Vasco Rossi cantando nel tono sguaiato che la canzone opportunamente richiede. La più encomiabile è invece Sfiorisci bel fiore, splendida e poco conosciuta canzone di Enzo Jannacci (…). ( DE GREGORI, NON SOLO - 31 AGOSTO 1993 - DI GINO CASTALDO)

 

 

 

 

De Gregori mai così in forma - Torino - Salone della -Musica - 1997

Non poteva esserci migliore concerto inaugurale per il Salone della Musica; se per musica molti ancora fanno discriminazione tra musica classica e pop e rock, con il concerto di Francesco De Gregori sono stati accontentati tutti, perché abbiamo assistito ad un concerto classico di musica rock.

De Gregori presentava il suo ultimo lavoro, un disco dal vivo che contiene 29 pezzi: alcuni cavalli di battaglia rivisitati e suonati con i giovanissimi musicisti che lo accompagnano da circa un anno e alcuni inediti, tra i quali La Valigia dell'Attore, che dà il titolo al CD.

Francesco sembrava un ragazzino stupito e che sprizzava gioia da tutte le parti, forse perché lo splendido Auditorio del Lingotto era stracolmo di giovani ed anche giovanissimi che all'inizio erano venuti a curiosare su questa pietra miliare della musica italiana e poi si sono fatti trascinare dal ritmo, dagli intrecci delle chitarre, dalle fisarmoniche di Ambrogio Sparagna, dall'Orchestra d'Archi della Scuola di alto perfezionamento musicale di Saluzzo, ma soprattutto sono rimasti meravigliati e sorpresi nello scoprire la carica sempre giovanile che il grande Francesco trasmette.

Diverse volte abbiamo sentito dire che De Gregori e palloso, ed oggi più che mai possiamo affermare che Francesco e ciò che di più positivo ci ha dato la musica italiana negli ultimi 50 anni.

De Gregori sussurra la felicità di vivere sostenuto la una band di rara bravura, di giovani che rispondono ai nomi di Marco. Ferruccio, Max, Carlo Guido, Roberto, Fabrizio ed Andrea.

Ha cantato nell'ordine: Il suono delle campane, Sangue su sangue, Titanic, Pilota di guerra, Prendi questa mano zingara, Non dire che non e così. Compagni di viaggio, Dammi da Mangiare, una PABLO versione Pink Floyd,e poi accompagnato dai bravissimi allievi di Vittorio Muò della Scuola di Saluzzo Stelutis Alpinis, La storia, La donna cannone, per poi tornare con la band e proporre Rimmel, la splendida e nuova La valigia dell'attore. Alice e poi 5 bis ed ancora musica. Lo spettacolo é' stato trasmesso in diretta da RADIORAI.

 

 

(Francesco De Gregori)

Eccomi qua

sono venuto a vedere lo strano effetto che fa

la mia faccia nei vostri occhi e quanta gente ci sta

e se stasera si alza una lira

per questa voce che dovrebbe arrivare fino all'ultima fila

oltre al buio che c'è e al silenzio che lentamente si fa

e alla luce che taglia il mio viso e improvvisamente eccomi qua

siamo l'amante e la sposa, siamo arrivati fin qua

l'attore e la sciantosa e siamo pronti a qualsiasi cosa

pur di stare qua

siamo il padre e la figlia, arrivati fin qua

siamo una grande famiglia

e abbiam lasciato soltanto un momento

la nostra valigia di là            

nel camerino già vecchio

tra un lavandino ed un secchio

tra un manifesto e lo specchio

tra un manifesto e lo specchio

Eccoci qua

e il sipario è calato già su questa vita che tanto pulita non è

e ricorda il colore di certe lenzuola di certi hotel

che il nostro nome ce l'hanno già

e ormai nemmeno ci chiedono più il documento d'identità

E allora eccoci, siamo qua

siamo venuti per niente perché per niente si va  

e c'inchiniamo ripetutamente e ringraziamo infinitamente...

Eccoci qua

siamo il padre e la figlia capitati fin qua

siamo una grande famiglia

abbiam lasciato soltanto un momento

la nostra vita di là

nel camerino già vecchio

tra un lavandino ed un secchio

tra un manifesto e lo specchio

tra un manifesto e lo specchio

  

 

 

arrangiamento e direzione d'orchestra: Bob Alcivar

 

 

 

 

 

Piacenza, sassi da cavalcavia sul parabrezza di De Gregori

lunedi , 1 settembre 1997 PIACENZA - Brividi sotto un cavalcavia della Torino-Piacenza per Francesco De Gregori. Un sasso ha colpito il parabrezza della Mercedes su cui viaggiava il cantautore, poco dopo mezzogiorno di ieri. L'autista ha frenato bruscamente e ha fatto in temp o a notare, nello specchietto retrovisore, due persone in bicicletta che abbandonavano il ponte. L'auto si è fermata trecento metri più avanti, mentre dal telefono portatile del cantante è partito l'allarme che ha mobilitato polizia stradale e carabi nieri. Nessuna traccia è stata trovata della pietra o dei sospetti tiratori. Proprio sull'autostrada A 21, insanguinata all'altezza di Tortona da una sassaiola dal cavalcavia della Cavallosa alla fine dell'anno scorso, torna dunque la paura del tir o al bersaglio sulle auto. La Mercedes di De Gregori percorreva il tratto piacentino, vicino a Castel San Giovanni, diretta a sud. Con il cantautore c'erano Filippo Bruni, 45 anni, al volante, e un amico, Stefano Ceresani, 39 anni, tutti romani. All' uscita del cavalcavia numero 132, un colpo secco e violento sul parabrezza ha fatto sobbalzare i tre passeggeri: il sasso non ha perforato il vetro ma, a testimoniare l'impatto, è rimasta una ragnatela di schegge. Il guidatore non ha potuto sostene re con sicurezza che a tirare la pietra fossero stati proprio i due individui intravisti sul ponte. E il sopralluogo della Polstrada lungo i bordi della carreggiata non si è concluso con il ritrovamento del "corpo del reato". Gli agenti non escludono quindi che possa essersi trattato di un sasso schizzato dai pneumatici di un'altra auto. Però restano alcune preoccupanti coincidenze: il fatto che l'incidente sia avvenuto proprio all'altezza di un cavalcavia e la strana fuga dei due ciclisti dopo che il sasso aveva centrato la Mercedes. Sebbene spaventato, Francesco De Gregori si è fermato soltanto il tempo necessario a denunciare l'accaduto e a mostrare i danni subiti alla pattuglia della stradale di Alessandria, intervenuta all'Sos del ca ntante. Che poi si è rimesso in strada con i suoi compagni di viaggio e l'auto ammaccata. La brutta avventura lo accomuna, suo malgrado, a "007", ovvero all'attore scozzese Sean Connery, che appena due settimane fa, in tutt'altra parte d'Europa, si è visto piombare in macchina un grosso mattone di cemento, "sparato" da un ponte sulla statale A 316 del Surrey, in Gran Bretagna. Il parabrezza del fuoristrada è andato in pezzi, lasciando l'attore sotto choc. Dal 1986, soltanto in Italia, sei pers one sono morte nel demenziale tiro a segno dai cavalcavia. A cominciare da una bambina di due mesi e mezzo, che dormiva in braccio alla madre: era il 22 aprile di undici anni fa quando un masso fu lasciato cadere da un ponte sulla provinciale Milano- Lentate sul Seveso, uccidendo la piccola Maria Ylenia Landriani. Nel febbraio del '91, sull'autostrada del Brennero, morì un'anziana coppia, Domenico Fornale, 70 anni, e Rosa Perena, 69. Due anni più tardi, toccò a un automobilista sulla A 14, dalle parti di Giovinazzo e, ancora nel '93, sulla A 22, fu colpita a morte la ventenne Monica Zanotti. Fino alla tragedia recentissima di Maria Letizia Berdini, 31 anni, uccisa il 27 dicembre scorso a Tortona. Ancora ieri, a Roma, sul ponte delle Valli, che attraversa la Salaria, la polizia ha trovato un sacchetto pieno di pietre, forse pronte all'uso.  

 

La valigia dell’attore di Giovanni Cerutti

Con il doppio CD "La valigia dell’attore" Francesco De Gregori pubblica il sesto live della sua carriera. Se si eccettua, infatti, "Banana Republic" che testimoniava il tour con Lucio Dalla del 1979 - peraltro si tratta di registrazioni per la massima parte provenienti dai check-sounds a causa di problemi tecnici - ha già pubblicato "Nientedacapire", "Musica leggera" e "Catcher in Sky" nel 1990, "Il bandito e il campione" nel 1993 e "Bootleg" nel 1994.

Mentre i primi tre live erano il risultato di due anni di registrazioni - dal 1987 al 1989 - , gli ultimi due testimoniano un tour - "Bootleg" addirittura un singolo concerto. Anche se i quattro inediti presenti - per tre si tratta di versioni registrate in studio - sono stati generalmente ben accolti dalla critica, la scelta di pubblicare un altro disco dal vivo ha sollevato qualche critica, simile del resto alle polemiche nate in corrispondenza all’uscita di "Bootleg" a ridosso del "Bandito e il campione".

Non ci si è invece interrogati a fondo sul senso del lavoro di De Gregori nei concerti di questi anni, che la pubblicazione di questi dischi vuole sottolineare.

La lettura che propongo è che De Gregori si stia confrontando con il più significativo tentativo di trovare un posto alla canzone nell’espressione artistica contemporanea, cioè con il Never Ending Tour di Bob Dylan.

A partire dal 1975, dopo la pubblicazione di Desire, Dylan decide di riprendere un suo vecchio progetto a più riprese vagheggiato durante gli anni Sessanta che prevedeva di costruire uno spettacolo rock avendo come riferimento le rappresentazioni teatrali di Broadway.

Ha ormai capito che la registrazione in studio ha assunto una complessità tecnica a cui non intende adeguarsi - Planet Waves e Blood On The Tracks sono stati registrati in tre giorni, Desire in una notte - , come invece fanno molti suoi coetanei, perché non la ritiene in grado di confrontarsi con le altre modalità espressive dell’arte contemporanea.

Lo farà di tanto in tanto - Infidels nel 1983, Oh Mercy nel 1989, Time Out of Mind quest’anno - e saranno sempre capolavori.

Se la canzone avrà un futuro come arte in grado di parlare all’uomo contemporaneo dipenderà dal palcoscenico: "Ciò che faccio è più che una cosa immediata. Sei su di un palco e canti, ottieni una cosa immediata... non è come scrivere un libro o registrare un disco... ciò che faccio è così immediato che cambia la natura, il concetto stesso di arte" (cfr. Paolo Vites "Friend of the devil" Satisfaction settembre 1992).

Nel 1975 costituisce la Rolling Thunder Revue con la sua band - T-Bone Burnett, Howie Wyeth, Dave Mansfield, Steve Soles, Rob Stoner, Luther Rix , Mick Ronson e Scarlet Rivera - e molti altri artisti tra cui Joan Baez, Joni Mitchell, Bob Neuwirth, Roger McGuinn, che gira la provincia americana con concerti annunciati sulle radio locali fuori da ogni circuito.

Al tour - che dura due anni e sarà un controcanto alle celebrazioni del bicentenario, culminando con il concerto al Madison Square Garden per la liberazione del pugile nero Rubin "Hurricane" Carter ingiustamente incarcerato - partecipano Allen Ginsberg e Sam Shepard, che da quell’esperienza ricaverà un libro che darà il senso dell’importanza di Dylan nella cultura americana.

Il mancato sostegno della CBS e i conseguenti problemi finanziari costringono Dylan a sciogliere la Revue, ma l’idea di ridefinizione del rock come performance dal vivo ha mosso i primi convincenti passi.

Niente dischi nuovi da promuovere, nessun effetto sul palco, solo la forza della musica e delle parole.

Alla rilettura del suo repertorio - che approfondisce le canzoni scavandone l’essenziale fino al nucleo che le rende sempre vive - si unisce la rilettura della tradizione folk americana da Woody Guthrie ai canti tradizionali, nel tentativo di precisare il senso della forma canzone come espressione d’arte.

Dal 1978 al 1987 Dylan sviluppa ulteriormente la sua idea di performance live come luogo privilegiato della creatività, in questo aiutato dal fatto di avere già alle spalle un repertorio imponente che è già riconosciuto come riferimento ineliminabile - recentemente Giancarlo Susanna ha scritto sull’Unità "è lui l’unico veramente indispensabile" - da tutto il mondo della canzone, e non solo, come testimonia l’inserimento nella rosa finale per l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura nel 1996.

Le tappe saranno scandite dal tour mondiale del 1978 - con il ritorno in Europa dopo dodici anni -, dai gospel tour dal 1979 al 1981 - a chi gli chiedeva come mai dopo solo un anno ritornasse nelle stesse città degli States con il rischio di non avere più folle imponenti in cerca dell’evento rispondeva che non era quello il senso dei suoi concerti... -, dal tour del 1984 con Mick Taylor alla chitarra, dai tre tour con Tom Petty e gli Heartbreakers nel 1986 e nel 1987 inframmezzati da sei concerti americani nel luglio del 1987 con i Grateful Dead che ancora oggi detengono tutti i primati di affluenza di pubblico.

Ed è proprio durante questi concerti che matura l’idea del Neverending Tour: "Se sei un’artista vero, ti devi dare al tuo pubblico interamente, non puoi andare in tour ogni tre anni, come facevo anch’io prima del tour con i Grateful Dead" (P. Vites cit.). E dal giugno 1988 ad oggi Dylan è ininterrottamente in tour, suonando in tutto il mondo sia in grandi città che in provincia - in Italia, ad esempio, ha suonato a Merano, Aosta, Udine - o in piccoli club - famosa la serata al Toad’s place di New Haven, un piccolo club con circa cento posti, dove nel gennaio 1990 ha suonato per più di quattro ore - con una media di centoventi/centocinquanta concerti in un anno.

Lontano dai riflettori dei media, ma non della critica più attenta, Dylan sta ponendo le basi di una definizione del concerto dal vivo come forma d’arte.

Una forma d’arte che per la sua unicità di performance e la sua non ripetibilità

è in grado di rendere al meglio i travagli dell’uomo contemporaneo.

Credo si possa tentare di enucleare alcune caratteristiche salienti di questo lavoro. In primo luogo il rifiuto di qualsiasi artificio esterno alla musica. In clamorosa controtendenza sia con i suoi coetanei - vedi gli Stones - che con le generazioni più giovani - U2 - nei concerti di Dylan c’è solo la musica.

Suona solo in luoghi di dimensioni contenute dove il rapporto con il pubblico non sia di tipo celebrativo - i "grandi stadi della dannazione" li ha definiti una volta - ma dove sia possibile ascoltare.

Non cede alla tentazione del "come eravamo". Nei suoi concerti non ci sono "i Favolosi anni sessanta"; per lungo tempo non ha cantato le canzoni che tutti volevano, o se le ha cantate ha dato loro una veste calata nella contemporaneità.

Le scelte musicali. La formazione della band è essenziale: due chitarre - una è Dylan - basso - contrabbasso nei pezzi acustici - , batteria - nei concerti del 1992 ci sono state due batterie - , a cui si è aggiunto dal 1992 il pedal steel. I musicisti non sono molto famosi, a parte G.E. Smith che ha suonato i primi due anni. Il rapporto con le sue canzoni.

Come hanno notato Gino Castaldo e Roberto Giallo per Dylan non esiste la versione originale di una canzone. C’è un appunto pubblicato sul disco continuamente sviluppato, lasciato cadere se non funziona o lasciato quando sembra non offrire altri spunti, salvo riprenderlo dopo qualche tempo se si trova un aspetto inedito o un versante non esplorato.

Sempre tenendo la canzone ben dentro la contemporaneità - che non vuol dire attualità - mai per celebrarsi. Le linee melodiche sono continuamente cambiate - nei concerti del 1990 e 1991 ha tentato persino di cantare su tonalità diverse da quelle suonate - i testi continuamente sviluppati con cambi di prospettiva - ad esempio in Simple Twist Of Fate la terza persona narrante cambia continuamente da un versione all’altra - soppressione di strofe o scrittura di nuove, ricerca di aggettivi sempre più calzanti, ma sempre in sequenze logiche: ogni versione presuppone le precedenti sia musicalmente che per i testi.

La parte musicale è dilatata sovente oltre la durata del testo cantato con continue improvvisazioni.

Non esiste una scaletta di concerto. Dylan prova gruppi di settanta/ottanta canzoni per volta che ruota ciclicamente. Ogni sera la scaletta dipende dal clima che si crea sul palco e spesso i musicisti devono improvvisare canzoni che non sanno: "Provare, per me e la mia band, nel senso di provare una canzone, vuol dire sapere il titolo e in che accordo va suonata. Fatto questo, abbiamo provato" (P. Vites cit.).

Alle sue canzoni si affiancano pezzi della tradizione folk, country songs, o cover di autori non sempre conosciuti. Il risultato di tutto questo è elettrizzante. Il pubblico avverte subito che non c’è né routine, né mestiere ma qualcosa di vivo. Ogni sera Dylan mette a repentaglio la sua carriera senza rete, ed infatti può capitare il concerto in tono minore. Questa lunga digressione credo possa consentire di rileggere il lavoro di De Gregori in una luce nuova.

Il riferimento al lavoro di Dylan - sentito come l’esperienza centrale della musica contemporanea che cerca di dare alla canzone dignità di forma d’arte - appare evidente in alcune scelte, così come l’ulteriore elaborazione secondo la propria sensibilità di artista e la propria cultura.

Così si inquadrano i cambi di scaletta sera dopo sera, la ricerca di un suono non interamente pacificato - nel 1992 De Gregori adotta la stessa formazione adottata da Dylan con una chitarra in più per poi aggiungere strumenti della tradizione italiana come l’organetto o la fisarmonica - il lavoro sulle linee melodiche delle canzoni e sui testi per saggiarne la capacità di essere sempre significanti, insomma il tour come work in progress, come momento di produzione artistica del quale non si può fare a meno.

Certo De Gregori è legato a un concetto di canzone più formale, perché la letteratura italiana ha alle spalle una tradizione più vincolante che si riflette anche sulle culture popolari, mentre la letteratura americana è più giovane, per certi versi senza storia.

Credo, quindi, che il senso ultimo della pubblicazione dei dischi live sia lasciare un documento - la tradizione... - di questo continuo lavoro sul palco, "la mia attività stradaiola" come l’ha definito De Gregori in un intervista a Vincenzo Mollica.

La valutazione andrebbe allora fatta sulla validità e sul senso complessivo dei risultati raggiunti, piuttosto che sulla constatazione che si tratta dell’ennesimo disco live.

 

 

 

INTERVISTA A CARLO GAUDIELLO, TASTIERISTA DI 

FRANCESCO DE GREGORI ALLA FINE DEGLI ANNI NOVANTA

 

Quegli anni alla Corte del Principe.

 

(di Mimmo Rapisarda - www.iltitanic.com - 26 marzo 2007)

 

Nato a Torino, pianista, musicista, arrangiatore. Ma nei ricordi dei degregoriani, il tastierista di Francesco De Gregori alla fine degli anni Novanta.

Il Nostromo: Ciao Carlo, è un piacere invitarti a bordo del Titanic per un caffè. Accomodati sul cassero della nave e ricordiamo un po' di cose passate davanti a questo mare nero come il petrolio e a questa luna metallo.
Dal 1996 al 2001, fra spizzichi e bocconi, quasi cinque anni nel castello del Principe. Il tour di Prendere e lasciare, La valigia dell'attore, Amore nel pomeriggio, La Notte degli Angeli, il Lingotto di Torino, gli organetti di Sparagna. Un periodo, immagino, per te indimenticabile.
Gaudiello: Innanzitutto ciao Mimmo, e grazie per il caffè e l'ospitalità. E' un piacere salire a bordo per un giro in compagnia di un vecchio amico.
Allora... dicevi un periodo indimenticabile. Ed io confermo, davvero indimenticabile sotto il profilo umano e professionale. Come non dimenticare i vari tour, i dischi, "La notte degli angeli", un concerto per la FAO a Roma nella splendida cornice dei fori imperiali, le innumerevoli trasmissioni televisive... Ma anche le vicende meno "pubbliche" come i viaggi, le cene, le prove, ...e quant'altro.

Il Nostromo: A Torino e dintorni, il pastore maremmano Guglielminetti trovò dei buoni pascoli da dove attingere. Eravate tutti ragazzi di talento, chi aveva già un curriculum di tutto rispetto, chi - come te - proveniva dal conservatorio. Com'erano gli altri tuoi compagni di viaggio?
Gaudiello: Una band di ragazzi giovani e forse un pò inesperti. Devo dire che Francesco dimostrò un grande coraggio nel concederci un'opportunità simile. E Guido si assunse l'enorme responsabilità di scegliere gli uomini giusti per formare "la squadra". Credo che si siano ottenuti dei buoni risultati e spero che il pubblico abbia apprezzato il lavoro svolto in quegli anni.

Il Nostromo: Fra la vita e la morte, fra la vita e la morte…. avrei scelto l'America! Sappiamo tutti che la cultura statunitense, specialmente quella musicale, ha sempre affascinato Francesco. Anche nelle musiche e negli arrangiamenti di Prendere e lasciare si respira quell'aria. Quanto Dylan c'era in quel disco?
Gaudiello: Non saprei dire se in quel disco si respiri o meno un'aria Dylaniana. Io credo di riconoscere il tocco di un grande Corrado Rustici e di un dream-team di musicisti di tutto rispetto. E poi lasciamelo dire... ritengo "Compagni di viaggio" un momento di pura emozione. Senza dimenticare "Baci da Pompei" e la splendida "Un guanto".

Il Nostromo: Un anno dopo, nel 1997, arriva La valigia dell'attore. Com'è nato quel live?
Gaudiello: Durante il tour estivo di Prendere e lasciare. L'idea del disco live erà già stata decisa l'anno prima e quindi occorreva rifornirlo di materiale che solo allora potevamo acquisire. In pratica, nel tour estivo del '96 eravamo in periodo di semina per la raccolta finale de "La Valigia dell'attore". Così in quell'estate, da giugno a settembre, registrammo tutti i concerti del tour e l'indomani, durante il percorso verso la nuova tappa, io e Guido riascoltavamo attentamente tutto il risultato della serata precedente. Ogni giorno, sulla strada, ci mettevamo al volante a turno per valutare i suoni del concerto del giorno prima, scartando pezzi da gettare francamente in un cestino e lasciando quelli migliori. Ma alla fine era Guido che vagliava la decisione finale, anche se l'ultima parola spettava sempre al Capo.

Il Nostromo: Quanti concerti hai fatto con De Gregori?
Gaudiello: Posso quantificare più o meno sui 150 concerti... ma su questo immagino tu sia maggiormente preparato! Comunque un giro d'Italia in lungo e in largo con alcune trasferte estere in Svizzera e Germania. Abbiamo suonato in palasport, teatri, anfiteatri, piazze, campi sportivi, parchi, spiagge. Ricordo all'idroscalo di Milano su un palco galleggiante e letteralmente divorati dalle zanzare.

Fantastico!

Il Nostromo: Com'è il Capo durante il lavoro? Ci sono due o tre cose che esige dai suoi musicisti, oppure delle cose che non tollera?
Gaudiello: Massima serietà durante il lavoro, com'è giusto che sia. Nessuna esigenza particolare, semplicemente l'assoluta professionalità delle persone con le quali lavora. Ma questo è scontato.

Il Nostromo: In un clip di Sempre e per sempre ricordo le tue mani mentre suonavi il pianoforte presso lo studio di Locasciulli a Vicovaro, e Francesco che ti guardava suonare, rilassato sul divano. In quel disco suoni anche su Deriva, la mia preferita. Insomma, Amore nel pomeriggio è un lavoro ben fatto.
Gaudiello: Si, direi che "Amore nel pomeriggio" possa essere considerato un lavoro davvero ben fatto. Costruito nell'arco di una quindicina di mesi nella rilassatezza di uno studio immerso nel verde dei dintorni di Roma. Un disco in studio ma con un approccio live. Francesco "illustrava" il pezzo cantando e accompagnandosi con la chitarra, e noi subito cominciavamo a suonare insieme, coordinati e supervisionati da Guido. E poi il video di "Sempre e per sempre"... con le mie mani. Doveroso precisare, però, che in quel pezzo il pianoforte lo suonò lo stesso Francesco.

Il Nostromo: Per i passeggeri della nave, puoi raccontare un particolare ricordo di quel periodo?
Gaudiello: Guarda, te ne racconto uno soltanto che ricordo benissimo ancor oggi… perché…. c'entra proprio con il titolo dell'album La valigia dell'attore.
Era il 1997, sarà stato dicembre, non ricordo il giorno.
Il Forum di Assago era già con gli spalti stracolmi. Quando eravamo già pronti per uscire, stavamo transitando fra i camerini e un corridoio poco illuminato che avrebbe dovuto portarci direttamente al palco. Sarà stato il buio d
i quel corridoio o la confusione generale, ma nel chiudere la porta uno degli organizzatori non si accorse che il nostro camerino non era completamente vuoto: c'ero ancora io! Chiuse la porta a chiave, lasciando lì dentro il sottoscritto mentre i miei compagni si avviavano al palco.
Cercai di aprire, con insistenza gridai alla porta sperando che qualcuno, di passaggio, mi sentisse. Niente da fare, non c'era anima viva, erano già tutti in quel palazzetto pienissimo di gente, gremito fino all'ultimo posto.

Seduto con rassegnazione sul divano, aspettando che qualcosa sbloccasse quella situazione anomala, cominciai a sentire il boato del pubblico e la pressione mi salì a mille, lo sconforto era totale.

In testa avevo tanti pensieri che frullavano tutti insieme in quei cinque minuti, che sembrava non finissero mai. Già immaginavo la band che sul palco si stava chiedendo dove fossi finito, pensavo che piega avrebbe preso il concerto, alla scaletta che doveva essere stravolta velocemente, a quel faro che illuminava un pianoforte senza il musicista, ma soprattutto in quel momento ….. mi sentivo l'uomo più solo del mondo!
E in quel camerino, ascoltando l'attacco di Sangue su sangue (per fortuna con le chitarre) mi guardavo attonito in quel camerino già vecchio, fra il lavandino e lo specchio, in quella situazione quasi surreale che mi ricordava proprio la famosa canzone.
Quando qualcuno capì che c'era un pezzo della scacchiera che mancava e corse a sbloccarmi, filai di corsa sul palco e … avviandomi verso la mia postazione, avevo una faccia con un'espressione che la diceva tutta: "non sparate sul pianista"!
Poi il concerto filò liscio, durante il quale un preoccupato Francesco, mentre suonava la chitarra, ogni tanto si avvicinava facendomi dei cenni come per dire "come stai? ti senti bene? tutto a posto?". Io suonavo e non potevo rispondergli, ma mi veniva una gran voglia di ridere al pensiero di raccontargli tutto quel che mi era successo! 

Un'esperienza indimenticabile!

Il Nostromo: Che provavi quando suonavi il finale de La Donna cannone e Francesco, davanti a quel "nero", si inchinava salutandoti?
Gaudiello: Beh...un po' di imbarazzo. Tu immagina, un artista che scrive e canta una tale canzone, il pubblico che gli tributa un'ovazione e lui che fa? Si volta, si inchina e mi saluta. Grazie Francesco... davvero!

Il Nostromo: Dopo la parentesi con Francesco hai lavorato con Grignani, Fortis, Syria, Ferro ma , secondo me, ... la permanenza alla Corte del Principe sarà stata indimenticabile. Che ti ha lasciato De Gregori?
Gaudiello: E' normale che ogni artista con il quale lavori rappresenti un'esperienza diversa l'una dall'altra. Per varie ragioni. L'età dell'artista stesso, la musica che propone, la sua personalità. Però il primo tour non si scorda mai. Quelle emozioni e quelle sensazioni te le porti dentro per sempre. 

Avere avuto Francesco come punto di partenza della mia carriera è stato importante. Chissà che prima o poi non ci si ritrovi...

Il Nostromo: Carlo, adesso lo possiamo anche dire. Tu sei quel Pablo che mi presentò Ciccio ad Adrano nel 1997 e che, come ho scritto in quel racconto che girava in rete, ci scattò una foto in cui io venni con una faccia da bufalo in agonia.
Fino a quel giorno ero tranquillo, una persona normale. Poi sei arrivato tu e da allora ….. insomma, al di là della nostra decennale amicizia, anche tu hai contribuito alla costruzione di questa nave dove stiamo prendendo il caffè.
Gaudiello: Pensa te! .....1997… Mimmo, ma ci pensi?… son passati dieci anni!
Ricordo la tua espressione smarrita quando entrasti in quella roulotte. Come smarrita era la faccia di Francesco quando gli hai detto che quel pubblico era totalmente impregnato del suo veleno. Ricordo che gli dissi "questa non l'ho capita nemmeno io". E nemmeno lui l'aveva capita, fino a quando non gli hai ricordato non so cosa.
Se la mia conoscenza ha contribuito a costruire tutto questo ben di Dio che vedo attorno, queste belle chitarre e questi dischi appesi alle pareti, queste cabine dove basta aprire le porte per entrare nel mondo di Francesco, ebbene… io sono ben felice di essere stato uno degli artefici della costruzione del Titanic! 

Ciao Mimmo, grazie per l'accoglienza ricevuta a bordo e per il caffè.
Il Nostromo: Ciao Carlo, è stato un piacere averti conosciuto. Grazie a te per la visita e....buona fortuna!

 

 

(De Gregori - Dylan)

 

Se la vedi dille ciao, salutala dovunque sia

è partita tempo fa e adesso forse è in Tunisia

dille che non si preoccupi per le cose lasciate qui

e se crede che l'abbia scordata, non dirle che non è cosl

Abbiam dovuto dividerci e sbatterci qua e la

ma per quelli che si amano non h certo una novita`

e adesso che se n'h andata e adesso che non c'è

è ancora nel mio cuore, h ancora vicina a me

Se mai la incontrerai, dalle un bacio da parte mia

ho sempre avuto rispetto per lei, per come se ne è andata via

se c'è un altro che le sta accanto, certamente non saro’ io

a mettermi fra di loro, ci scommetto che non saro io

Faccio un lavoro strano, vedo gente in quantita`

e mi capita ogni tanto di sentire il suo nome in giro per le citta`

e non ci ho fatto ancora l'abitudine, o forse mai ce la farò

sara` che sono troppo sensibile, o nella testa chissa` che c'ho

Sole grande, luna bly, il passato h ancora qu`

e so a memoria i ricordi, e il tempo prende velocita`

se tornasse da queste parti, il mio indirizzo la gente lo sa

tu dille che pur cercarmi, se trova il tempo mi trovera`.

 

 

 

   

 

Gli organetti di Sparagna

 

Era lui a scusarsi, per il ritardo, sai, il traffico. Gentilissimo. Lo dirà anche Ambrogio più tardi. Subito prima io gli avevo detto "ringrazia di nuovo Francesco, è stato dawero gentilissimo". Ma lui è così, avrebbe detto Ambrogio, è uno che nelle cose che canta ci crede veramente.
Qualcuno avrebbe voluto occuparsi di jazz

Qualcuno l'avrebbe saputo perEno suonare queljazz certamenfe non proprio benissimo
La linea è un poco disturbata. Il cellulare è di Ambrogio Sparagna. Il nome Francesco è invece di De Gregori. Siete a Modena? Sta andando bene il tour? "Sta andando molto bene, direi. Sia dal punto di vista "mercantile" che da quello, sicuramente più importante, della resa artistica. Ma forse te lo ha già detto Ambrogio. La verità è che ci stiamo divertendo...".
Si divertiranno poi per tre serate in Sardegna, una a Roma, due a Bari e una a Napoli, "che chiuderà questa prima parte del tour. Stiamo fermi un mese e poi ripartiamo per andare invece nei teatri, alternando questi ai palazzetti. In un clima più invernale...".
La formazione che si porta in giro è la classica band dal forte impatto rock: due chitarre, uno o due bassi, batteria, percussioni e tastiere. Tutti giovani musicisti dell'area torinese, uno più bravo dell'altro. Età media 22-23 anni. "Vuoi che dica quel che penso dell'attuale livello musicale italiano? Mah, io credo che ci sia un sacco di gente brava in giro a suonare. Trovo che i giovani oggi quelli che lavorano adesso con me ne sono esempio- sono molto più bravi e preparati di quanto non lo fossero i giovani di 10 o 15 o 20 anni fa. Poi, per il resto, c'è confusione... In quella che è la musica di consumo, ci sono parecchie cose davvero brutte, però meno forse che in altri paesi europei e americani".
Come sappiamo, verrai anche a Ravenna a...
"Sì, vengo a Ravenna, però appunto con l'opera di Ambrogio Sparagna. Vengo in veste di tenorino!".
Ma quel tanto che basta e che fa
Che si dica "Ha vissuto la vita sotto i colpi deljazz"
Che si dica ''Qllell'uomo ha vissuto sotto i colpi deljazz" Infatti, Francesco De Gregori sarà il cantastorie della favola musicale che Ambrogio ha scritto sotto il titolo "La Via dei Romei", Le meravigliose avventure di Crispino e Procopio. Sarà la prima volta che la porteranno insieme davanti al pubblico: l'hanno già interpretata, ma per Rai Radiotre, che ha voluto candidare La Via dei Romei al Premio Italia. Chiedo come è nata questa collaborazione con Sparagna.
"Com'è nata... ehm... non lo so... com'è nata? E' nata che io e Ambrogio abbiamo cominciato a vederci per motivi musicali, scambi di idee... è nata che io gli ho chiesto di lavorare con me su un pezzo e mentre lui lavorava con me su questo pezzo mi ha detto "io sto facendo questa cosa in radio che parteciperà al Premio Italia", mi ha detto "ci stanno un paio di canzoni che secondo me potresti cantare tu", me le ha fatte sentire e io me le sono imparate. No? Ecco, adesso Ambrogio sta qui davanti a me e ridacchia, ma insomma, è la verità... è stato tutto, diciamo, giustamente casuale, non c'è stato un lavoro preparatorio di nessun tipo. La verità è che ci siamo sempre trovati bene io e Ambrogio a lavorare insieme, sin dalla prima volta, quando gli chiesi di accompagnarmi...".
Qualcuno avrebbe dovuto tuffarsineljazz

liontano dagli occhi del mondo, uolendo in un 'altra città Altri portici e portoni
 Quella volta, per un programma radiofonico Rai sull'intolleranza, Francesco aveva deciso che invece di cantare le sue gli sarebbe piaciuto cantare canzoni popolari legate al tema dell'emigrazione. Lui non lo conosceva Ambrogio, se non di fama, però gli telefonò: "gli dissiv perché non la facciamo con te all'organetto? Lui, entusiasta, arriva a casa mia il pomeriggio stesso, ci mettiamo a provare e ci succede di sentire questa strana sensazione che è come se fossimo nati per suonare insieme. Finora è stato così. Tutto molto spontaneo...".
Con questa Via dei Romei ti sei divertito? Sì, si è molto divertito, ma era anche molto preoccupato all'inizio...
"Perché la melodia delle canzoni di Ambrogio è molto semplice da ascoltare, ma non è così semplice da cantare e poi, soprattutto, è un po' troppo alta per me... Però mi sono trovato bene a lavorare con il suo gruppo, le parole dei testi sono molto belle, quindi, superata la preoccupazione, quando abbiamo registrato in Rai è andato tutto liscio. E ho capito che Ambrogio aveva ragione... in effetti quando si inserisce la mia voce, che è così poco prevedibile in un contesto colto popolare qual è l'opera di Sparagna, si apre una pagina di sonorità diversa, che fa bella figura. Ambrogio mi fa fare una bella figura. Mi auguro che dal vivo venga bene... (e ride). Io ti posso dire di come è andata lì, ma mi sforzerò di farla venire bene anche dal vivo...".
Dove anche il buio è diverso da qua
E perfno l'amore è più bello a livello di jazz
Ela pioggia più tiepidasotto l'ombrello delj azz
Un poeta con la chitarra. Un artista che, pur awezzo al successo e protagonista di una brillante carriera, vive il suo mestiere senza farsi derubare della capacità di emozionarsi. Un uomo che ha di meglio da fare che non frequentare i salotti televisivi.
Fa'cheduriEltempoJ fa'chegirilenfoJ fa'chescorrailpianto Fa' che mi conosca e che mi riconosca quando mi vedrà Cantando con gli occhi come solo lei sa Cantando e ballando al ritmo deljazz
E il rapporto con gli altri generi musicali? Ad esempio il jazz... Non a casoJ nel tuo ultimo disco...

"Ti riferisci a questa canzone che stiamo ascoltando? "Jazz"J appunto. MahJ il mio rapporto con il jazz è esattamente come quello di questa canzoneJ cioè qualcosa di visto da molto lontano, di vagheggiato, ma di assolutamente incompreso. E' una musica molto lontana da me perché è difficile intanto da suonare -non se ne parla nemmeno!- ma anche da ascoltare. E' per me una specie di zona mitologica della musica. Stimo molto quelli che riescono a suonarla...".
Gli piace Keith Jarrett, ma se fosse un jazzista suonerebbe il sax.
 Mi chiedo e gli rigiro la domanda: un idolo di più generazioni avrà a sua volta avuto i propri, di idoli, no?, i propri punti di riferimento musicali...
"All'inizio, quando ero ragazzo, Fabrizio De André. Lui più grande di me, aveva cominciato a fare i suoi primi dischi. Testamento, La guerra di Piero... mi piacevano moltissimo. E' stato De André a farmi capire che con le canzoni si poteva anche cercare di raccontare delle cose non soltanto vincere un festival. Poi, dopo, in una fase più matura, sicuramente Bob Dylan e molta musica americana, rock americano. Forse De André mi ha fatto capire che si potevano scrivere delle canzoni e Dylan mi ha fatto anche capire come si potevano scrivere. Questi sono i miei riferimenti. Poi, ad un certo punto, sono diventato collega di molta gente che stimavo e quindi il rapporto è cambiato. Ho imparato molte cose anche da Lucio Dalla soprattutto dal punto di vista vocale, però già lavoravamo insieme, eravamo amici, per cui il rapporto era diverso. Non più da discepolo, ma da collega desideroso di apprendere".
Spostandosi in altri campi, Kafka è uno dei suoi scrittori preferiti. Tra i registi, cita Kubrick, Fellini e Nanni Moretti. Il luogo che più ama al mondo, l'Umbria. Si ritiene più un animale diurno che notturno, e gli piace la pizza napoletana. C'è Ambrogio che si sta arrabbiando per queste domande frivole... Grazie della chiacchierata. Allora ciao, ci vedremo a Ravenna... Il telefonino torna nelle mani di Ambrogio. Posso fare una domanda anche a te? Ho chiesto a lui l'incontro con te. Adesso chiedo a te I'incontro con lui. Com'è stato? "Te lo ha già detto lui". Ma io voglio sentire la tua. "Quando Francesco mi ha chiamato per fare questa cosa alla radio, io, emozionatissimo, ho accettato subito. Ma, sai, non sapevo in che tonalità lui volesse suonare, così quel pomeriggio, a casa sua, mi sono presentato con un carrello con cinque organetti... Dico, di questi, almeno uno andrà bene... E Francesco ogni tanto mi ripete che la prima immagine che gli è rimasta impressa di me è proprio questa, di un uomo che guida questo carretto con tutti questi organetti...".
Qui vi stiamo aspettando con ansia e trepidazione... I ragazzi del coro, venticinque giovani di Ravenna e dintorni, non vedono l'ora di ripetere l'evento nella loro città, tra i rossi broccati del loro bellissimo teatro...
"Penso che verrà una cosa molto bella. Tra l'altro, in questa tournée, ci siamo ulteriormente affiatati...".
Qualcuno aurebbe potuto sfumare neljazz
Qualcuno l'avrebbesaputo perfino imparare queljazz Decifrare la nota incredibile diognisingola tonalità
E buttarsi la vita alle spalle a tempo di jazz
E buttarsi in un giro di valzer a tempo di jazz
Grazie, Ambrogio. Ringrazia di nuovo anche Francesco, è stato davvero gentilissimo. E Ambrogio dice ma lui è così, è uno che nelle cose che canta ci crede veramente...

 

 

https://www.iltitanic.com/2023/nos.jpgADRANO (CT), PIAZZA UMBERTO - 3 AGOSTO 1997

SOTTO LE STELLE DI ADRANO AD EMOZIONAR.

 De Gregori è il mio idolo, lo ammiro da tanto tempo e nel mio ambiente, ormai, la mia passione per lui è diventata leggendaria, al punto da scatenare una gara, in occasione del mio compleanno, per chi deve regalarmi il suo ultimo CD. Lo seguo dagli anni Settanta e quindi appartengo alla prima generazione dei suoi fans. Allora la musica non mi appassionava e non avevo nessuna preferenza in tal senso ma un giorno, dopo aver ascoltato (per sbaglio) “Pezzi di vetro”, fui folgorato da una luce simile a quella che riceve un novizio quando viene chiamato dal Signore per diventare sacerdote. Da allora tutto mi apparve chiaro e cominciai quasi una missione: acquistai i dischi precedenti e imparai a suonare la chitarra da solo, invogliato dal desiderio di ascoltare le sue canzoni che ho sempre definito delle opere d'arte, paragonabili a un dipinto, a una scultura o a una poesia.

Cominciarono così le manie: il “ricordino” a calamita sul cruscotto della mia vecchia ‘500’ con la scritta “Non correre, pensa a noi”, con a fianco la foto della ragazza e quella di Francesco; i concerti, i dischi, le musicassette, le videocassette, le riviste, i libri, le sue ballate cantate e suonate fedelmente con la chitarra imitandone l’arpeggio “finger picking”.

Un primo incontro ravvicinato lo ebbi nel 1976. Arrivai in teatro con un mostruoso anticipo di due ore e lui era là, da solo; mi passò vicino e guardandomi con curiosità avrà pensato: “Che fa costui alle sette se il concerto inizia alle nove? Mah, sarà uno delle pulizie…”.

Esattamente 20 anni dopo, in occasione del concerto che tenne a Catania nel novembre ’96, incontrai alla fine dello spettacolo un mio collega che mi disse di essere lo zio (a volte il destino ci riserva fantastiche coincidenze!) di una persona molto vicina a De Gregori. Per discrezione questo personaggio sarà in seguito citato con lo pseudonimo “Pablo”. L’indomani il mio collega venne a salutarmi e dopo avere constatato, attraverso quello che dicevo, di trovarsi davanti a un caso davvero patologico, decise di accontentarmi per il prossimo concerto siciliano, tramite suo nipote e nel limite del possibile.

E fu così che alla fine di luglio 1997 mi disse che De Gregori avrebbe suonato in Sicilia per una settimana, facendo tappa in un paese della provincia di Catania: Adrano. Alla vigilia del concerto conobbi il giovane Pablo il quale mi fissò un appuntamento per l’indomani nella piazza principale del paese per tentare di realizzare l’incontro. Più mi parlava del vicinissimo e possibile evento e più mi tremavano le gambe, quasi al punto da desiderare una sua risposta negativa.

3 agosto 1997. Libero da qualsiasi impegno familiare e autorizzato a fare tutto ciò che volevo in quel magico “momento tutto mio”, quella domenica pomeriggio mi misi in viaggio in direzione di Adrano con appresso la macchina fotografica. Durante il tragitto pensai a tante cose, pensavo alla ruota di scorta sgonfia che nel malaugurato caso di foratura avrebbe mandato alle calende greche quel probabile incontro; pensavo al mio carattere emotivo e a cosa cavolo dire a De Gregori nel caso fossi riuscito a conoscerlo. Cominciai così a prepararmi un discorso di circostanza per non fare brutta figura ma, con tutta la buona volontà di questo mondo, non mi venne in mente assolutamente nulla!

Guidando piano (non per la mia persona, ma per evitare burocratici incidenti che avrebbero pregiudicato tutta la serata) e ascoltando “Prendere e lasciare” dall’autoradio, anziché scervellarmi alla ricerca di discorsetti accettabili, stranamente pensavo, come in tanti flash, a tutte le cose di De Gregori: la vecchia Wolkswagen, le due Renault, la sua famiglia di bibliotecari (suo padre, suo fratello Ludwig, suo nonno Luigi), le sue  passioni per il buon vino, le aragoste, il fumo dopo il caffè, la pizza napoletana, l’Umbria, Pasolini, Antonioni, Tenco, l’Inter di Giuliano Sarti, Paperino, la Pellerossa, Tex Willer, il folk americano, Guthrie, Simon e Garfunkel, Bob Dylan, Lou Reed, De Andrè, Kafka, Twain, il flipper, il suo mestiere, l’odore delle tavole del palco, la fotografia, la pesca, il mare e tante, tante, tante  altre cose.

Appena arrivai in piazza Pablo mi indicò dove sistemarmi e concordammo che in caso di difficoltà avrei dovuto presentarmi come suo cugino. Dopo aver salutato Guglielminetti, il mitico bassista di Francesco, mi appartai di lato e cominciai ad aspettare. Osservavo come provavano e organizzavano il recital, ero dietro le quinte di un concerto di De Gregori! Fhttps://www.iltitanic.com/2023/073.jpgra una prova di “Atlantide” e una di “Generale” le forze dell’ordine facevano allontanare tutti, allora uno dello staff disse ai vigili “Uno, due e tre possono stare, gli altri non sono nostri” ed io subito “Sono il cugino di Pablo”. “E quattro, anche lui è con noi”, aggiunse quello. Il sogno stava cominciando, a poco a poco, a diventare realtà.

Il tempo passava, erano ormai le 20.30 e Francesco non arrivava. Arrivava la notizia che era intrappolato con la sua Mercedes nel traffico catanese, in compagnia di Filippo Bruni. Appreso l’inconveniente, la sua guardia del corpo si mise in sella a una grossa moto e corse a prenderli. Alle 21.00 Pablo mi fa entrare con lui nel recinto retrostante il palco, dove c’era una piccola roulotte, e mi avverte di non allontanarmi dalla postazione conquistata (quelli autorizzati a stare dentro il recinto erano pochi intimi, la band e il sottoscritto!!!!) ma, scoraggiato, mi disse pure che era ormai troppo tardi e che Francesco, appena arrivato, avrebbe cominciato subito il concerto (peccato, ormai ci stavo credendo!).

Alle 21.30, finalmente, i muri attorno si colorano della luce blu delle pantere della polizia, un faro squarcia l’oscurità delle stradine circostanti ed ecco arrivare la grossa moto, guidata stavolta da Filippo Bruni con De Gregori alle sue spalle, abbigliato con un vestito nero, una maglietta grigia e un paio di scarpe da tennis ormai da gettare via. Entrati nel recinto, Filippo esclama “Eccolo, ve l’ho portato, è tutto vostro!”. Francesco, fra gli applausi, si toglie il casco e ammiccando un sorriso sornione solleva le sue lunghe leve dalla moto e si infila nella roulotte abbassando la testa, essendo alto quasi due metri. Al di là del fatto che De Gregori è veramente bello, io quella sera lo vedevo ancora più bello; intendo dire bello come Re Artù, Federico Barbarossa, Giuseppe Garibaldi, George Custer o Bufalo Bill, miti anche loro.

Intanto la porta della roulotte si chiuse ed io, seduto sulla transenna del recinto e sul mio cuore deluso che mi arrivava alle scarpe, stavo già pensando di andarmene via e di ritentare una prossima volta. Ma all’improvviso vidi che Pablo, con la grande prontezza di spirito tipica dei giovani, si infila nella roulotte e va a chiedere a Francesco se potevo salutarlo.

Dopo un po’ fece capolino e mi gridò: “Mimmo, vieni!!!”. Saltai giù dalla transenna con un’agilità che non mi riconoscevo e in due secondi ero già all’ingresso della piccola roulotte. Stavo per conoscere Francesco De Gregori!

Conoscevo però anche la mitica riservatezza del “Principe” e ciò mi preoccupava. Appena giunto all’interno della roulotte, illuminata da un neon, sentii vagamente la voce di Pablo: “Francesco... ti presento Mimmo”. Di colpo me lohttps://www.iltitanic.com/2023/074.jpg ritrovai di fronte, con in testa il famoso cappellino con la “C”, alto e magro, la pelle chiara con qualche ruga in più, la barba rossiccia e i capelli un po’ lunghi sulle spalle, quasi come Gesù.

Al contrario di come pensavo, invece, fu con me gentilissimo e molto cordiale. Mi guardò con i suoi occhi verdi e stringendomi la mano che non lavai fino all’indomani perché mi piaceva annusarne il profumo (scherzo, si fa per dire), mi disse: “Ciao, io sono Francesco De Gregori”. Solo al sentire pronunciare quel nome e cognome da quella leggenda vivente, a una distanza di soli venti centimetri, sentii una scarica di adrenalina scendere velocissima in tutto il corpo. Avevo lì davanti a me l’idolo che avevo sempre amato fin da ragazzo e in quel momento lo potevo riconoscere, ascoltarlo da vicino. Essendo ancora impreparato (non avevo studiato!) e incapace di formulare la più banale, frivola e imbecille battuta, trovai solo la forza di dirgli con voce tremolante: “Piacere, Mimmo......scusa Francesco, ma sono così emozionato che direi solo cazzate…… meglio che sto zitto”. Lui, già abituato a queste situazioni e nonostante provi fastidio nell’essere considerato un divo, sorrise divertito sotto i baffi e mi disse: “Tieni, prendi un grappolo, vuoi?”. Accettai un chicco d’uva che non ricordo bene dove andò a finire, se lo arrotolai tra le dita o lo mangiai, o mi andò di traverso. Ormai in stato confusionale e veramente convinto di parlare ad un essere celeste gli dissi: “Francesco, un regalo più bello non potevo riceverlo per l’onomastico di domani”. “Auguri,...e gli anni?” domandò lui. “40 anni a settembre” risposi io. “40 anni? Sembri mj figlio!” ribattè Francesco con accento romanesco.

Dopo altri discorsi che adesso non ricordo, Pablo chiese se eravamo pronti per una foto ricordo (si possono immaginare le attuali dimensioni di quella foto). Gli consegnai la macchina fotografica e quando con Francesco mi voltai verso di lui avvertii un peso nuovo su di me: un braccio che ha suonato famosissimi accordi avvolgeva la mia spalla poggiandole sopra la sua enorme mano! Un contatto che mi fece andare definitivamente in tilt.

Poco dopo Filippo Bruni entrò nella roulotte per comunicargli qualcosa, trascinandosi dietro l’eco del numeroso pubblico che  reclamava la sua presenza: “Ciccio, Ciccio, Ciccio” (non sopporta essere chiamato Ciccio). I reclami ci arrivavano dentro come un fiume in piena e così ritenni giusto lasciare libero Francesco, che prima di lasciarmi volle offrirmi ancora dell’uva.

Prima di salutarlo, però, mi ricordai una cosa del suo passato: quando Francesco De Gregori era ancora poco conosciuto, al momento della separazione artistica dal suo amico-fratello Giorgio Lo Cascio, dedicò a questi una canzone che diceva: “E io vado a cantare per il Re, mentre tu canterai per la tua donna, e per l’alba, il vino e le altre cose che abbiamo amato insieme tempo fa. E io vado a cantare per il Re, mentre tu canterai per la tua donna, ma mentre il Re ascolterà senza capire, a gocce il mio veleno assorbirà”. Un paio di anni dopo fu invitato alla discoteca modenese “Il Picchio Rosso”. Quel giorno il suo “compagno di viaggio” Lo Cascio, accompagnandolo, lo avvertì che quei ragazzi erano abituati a ballare con ben altra musica e mai avrebbero capito le sue canzoni. Durante l’esibizione, invece, dovette ricredersi: quei ragazzi, anche se amavano ballare con la musica dei Pooh, del Guardiano del Faro e di Carlos Santana, ascoltavano incantati, sospesi a mezz’aria sulla pista da ballo, quella di Francesco. A quel punto Lo Cascio cominciò a rendersi conto che nel corpo dell’ignaro Re (il pubblico) stavano cominciando a circolare, a piccole dosi, le gocce di veleno che Francesco, come aveva previsto nella canzone, iniettava. Il seguito della storia è noto a tutti.

Dunque, prima di uscire e indicando con la mano il pubblico che aspettava fuori, gli dissi: “Francesco, il corpo del Re, adesso, è completamente intriso delle gocce del tuo veleno”. Pablo, ridendo, disse: “Francesco, sta cosa qui non l’ho capita nemmeno io....”. De Gregori, voltandosi verso di me, facendo mente locale mi guardò sorpreso come per dire “o è il caldo o è diventato matto”; poi io continuai “….Lo Cascio”. Masticando ancora dell’uva, annuì ed approvò la cosa alzando verso di me l’indice della sua mano come a confermare “ah già, ….vero”.

Alla fine io e il “fantastico” Pablo, felici per la riuscita dell’incontro e consacrandoci per sempre “cugini di sangue”, ci salutammo. Ascoltai un po' il concerto e alla fine tornai a casa distrutto, ma felice come un fan scatenato di quindici anni che ritorna soddisfatto da un concerto degli U2. Un giorno difficile da dimenticare.

Adesso, dopo aver letto questo breve reportage, si potrà pensare: “Ma possibile che a 40 anni si comporti ancora come un ragazzino fanatico?” Io penso, invece, che è una cosa bellissima, perché è giusto che in ognuno di noi, in questo mondo senza più ideali, anche a 40 anni rimanga un po’ di quel bambino che abbiamo lasciato tanti anni fa nella nostra infanzia (compresi miti e passioni che possono essere cantanti, collezioni, poeti, hobby, ecc.) e che ci illudiamo di nascondere dietro i nostri ombrosi problemi quotidiani della nostra età adulta. Quel pizzico di infantile euforia (o quel diavoletto, quel folletto...) come quella balzata fuori in questa o in tutte le occasioni goliardiche di ogni uomo, aiuta certamente a rimanere giovani, a divenire adulti di 20 anni anzichè ragazzi di 60 anni; basta avere il coraggio di evocare quello spiritello e si blocca la propria anima all’età della giovinezza. Diciamo che tutto questo fa bene alla salute.

Quel bambino, come per incanto, assumerà le sembianze di un austero funzionario statale ritornando in me ogni qualvolta De Gregori sarà nelle vicinanze della mia città, ma d’ora in poi lo ascolterà con tranquillità (sempre in prima fila però), senza ansie, senza quelle tentazioni di fare la posta davanti ai teatri. E quando vedrà affiggere i prossimi manifesti sui muri, il Peter Pan che in futuro si impossesserà del mio cuore non sarà più assalito da antiche frenesie, perché ha finalmente raggiunto la sua “Isola che non c’è”: è stato, anche soltanto per cinque minuti, un amico di Francesco De Gregori.

Mimmo Rapisarda

(TO: RMS TITANIC - FROM: FREEWEB.ORG/MUSICA/DEGREGORI DI ANTONIO CALVANI)

 

 


"Ma come si fa a dire "i cantautori"? A parte il fatto che è una parola spuria (come diceva Michele Straniero), bruttissima, come "doppiobrodo" o "maxicono". Poi, è come dire "i giornalisti" o "i magistrati". E invece ciò che è vero per alcuni non lo è per altri. Questa generalizzazione la dice lunga sul grado di approssimazione con cui ci si accosta, in genere, al mondo della musica leggera. La buona canzone è come la buona letteratura: rimane come il segno del tempo".
Così la pensa Francesco De Gregori, cantante e autore fra i più importanti della scena italiana dell'ultimo quarto di secolo. Che anche su un altro argomento va controcorrente. Dice infatti: "Non sopporto chi dice che la canzone è poesia. A volte ti puoi sbarazzare di uno dandogli del poeta Un conto è dirgli che è comunque un narratore, un altro è pretendere che i suoi versi conservino un senso anche se avulsi dalla musica".
Ma la molla per scrivere come scatta?
"Bisogna parlare delle cose che fanno parte della vita. Se leggi un giornale e prendi parte a un fatto, non vedo perché non puoi scriverci sopra una canzone. Così come la fai su una donna che ami e ti ha lasciato. La musica deve avere anche contenuti civili".
E noi, in quanto a civiltà come stiamo?
"Male. Anche le piccole illegalità stanno dietro alla generazione del nostro paese. Perché le tangenti sono un fatto grave, ma anche lasciare l'auto chiusa a chiave in seconda fila non va bene. La rinascita italiana può partire anche dalla riscosperta di questi codici elementari di convivenza civile. Non c'è molta differenza tra chi non paga le tasse e chi passa col rosso: alla base c'è sempre una mancanza di rispetto per gli altri".
Intanto si parla molto di libertà...
"Ci sono libertà che abbiamo guadagnato, altre che abbiamo perso. Quella di non trovare la macchina spaccata, di non avere la porta blindata, di poter mandare i figli in una scuola pubblica che funzioni davvero, quella di farci curare in un ospedale. L'Italia può migliorare modificando certi comportamenti individuali".
La canzone può far poco...
"Le canzoni sono testimonianza di un disagio o di uno stato di insoddisfazione. Comunque di una reazione a ciò che ti circonda. L'artista lancia sempre segnali di allarme, a volte anche senza rendersene conto".
De Gregori, a Lei sarebbe piaciuto fare qualcos'altro?
"Qualsiasi scelta totale toglie sempre qualcosa. Questo è un mestiere che non lascia spazio per gli hobby, forse perché è esso stesso un hobby. Ci sono di certo cose che avrei voluto fare, ma che ho trascurato perché troppo assorbito dalla musica".
Qualcosa che ha a che fare con i libri?
"La letteratura è un corredo fondamentale della mia vita. Un futuro senza libri sarebbe triste. E come tutti quelli innamorati di una cosa, ho sognato anch'io di passare dall'altra parte. Anni fa avevo fondato persino una piccola casa editrice".
L'America è ancora un mito?
"Sì, anche se tutto è diverso quando puoi toccare una cosa con mano. Oggi ci vai in otto ore e con una spesa relativamente accessibile. Insomma, non è più l'America di quand'eri ragazzino. Però, è sempre qualcosa di inafferrabile, di diverso, qualcosa che ci sfugge".
Le hanno sempre dato del "dylaniano". Ne è infastidito?
"Dipende da come l'hanno detto. Un aggettivo può essere usato come un insulto, come una diminuzione di quel che fai. O come il riconoscere una base culturale e musicale importante. E' difficile negare i miei debiti con Dylan. Come è difficile, per chi scrive canzoni, prescindere dalle pietre miliari".
Ci sono canzoni che non riscriverebbe?
"Non ce ne sono. Anche "Viva l'Italia" va bene così. Testimonia quel che succedeva ne nostro Paese alla fine degli anni settanta: Aldo Moro, il terrorismo, le Brigate Rosse. E' una canzone di cui vado fiero. Non ce ne sono altre, di quel periodo, che danno un riscontro di quel che avveniva".
Il tempo che passa?
"Ho un buon rapporto, direi quasi dolce, col tempo che passa. I figli sono ci che ti consente di invecchiare con gioia. La crescista, il diventare vecchi vanno accettati".
E quando ripensa al ragazzo che cantava al Folkstudio?
"Il successo? E' sorprendere un 45 enne che sa a memoria le tue nuove canzoni" (che pensasse a Mimmo?). Il Principe sorride. I fan lo chiamano così: un po' per affetto, un po' per stima incondizionata. Per due sere, la voce di De Gregori ha volteggiato nel Teatro del Giglio. Tutto esaurito, naturalmente, per questo cantautore con la faccia da eroe buono, che lunedì sarà al Genovese.
De Gregori, che volto ha il suo pubblico?
"Non riesco mai a immaginarlo, a dargli un'identità. Del resto, io scrivo per me stesso. "Buonanotte fiorellino" negli anni della contestazione gelò i fan, così come sono stati in controtendenza "Titanic" o "Miramare". Nel nuovo album Prendere e lasciare ho dedicato a temi sociali solo "L'agnello di Dio", brano per stomaci forti..."
I cattolici se la sono presa...
"Solo quelli più realisti del re. Ma con i cattolici ho rapporti sereni. La chiesa si avvicina al 2000 e si guarda bene dal lanciare scomuniche, specialmente per una canzone come "L'agnello di Dio", che infatti i Paolini hanno lodato pubblicamente. Semmai, è un brano meno accettabile per i contenuti politici: la descrizione di un mondo devastato dagli errori della politica planetaria".
Vent'anni fa lei veniva contestato al Palalido di Milano...
"E' un ventennale che francamente non ho celebrato. Fu un periodo di gande disagio, di grande movimentazione del mondo giovanile. Io ero un testimone eccellente per ciò che scrivevo, al di fuori di schemi prevedibili. A Milano, i concerti dei cantautori dovevano passare attraverso chiese politiche: io mi rifiutai di sottostare e così..."
Lei non ama molto gli anni settanta...
"E' ancora troppo presto per giudicarli ma, per esempio, furono anche gli anni degli espropri proletari, che, oggi, nelle rievocazioni televisive, vengono ricordati solo marginalmente. Succedeva di tutto, anche che Luciano Lama fosse contestato all'università..."
Eppure, un varietà come Anima mia li ha esaltati...
"La televisione dà alla gente ciò che vuole vedere. Forse è giusto che, parlando di quell'epoca, si facciano vedere anche i Cugini di campagna".
Il tribunale le vieta di cantare in pubblico "Prendi questa mano, zingara"...
"Sentirsi privare di una propria canzone per via legale è intollerabile. Mi sento danneggiato moralmente. L'ordinanza va comunque accettata: bisogna essere discepoli di Socrate. Però, ho fatto appello".
Lei è davvero diffidente e scontroso come la dipingono?
"Molti credono che i cantanti debbano avere un comportamento frivolo e superficiale. Io non sono mai stato così e non vedo per quale motivo dovrei convertirmi a vivere come in una perenne conferenza stampa..."
In compenso è considerato uno dei padri nobili della civile...
"Non mi sento una mosca bianca: sono in buona compagnia. Forse tutto questo rigore, che mi ha anche creato qualche incidente diplomatico, mi rende finalmente giustizia. D'altra parte, sono esposto a rischi terribili: se vado a trasmissioni come Vota la voce o Domenica In, scoppia il finimondo..."
E quando viene adottato da una parte politica?
"E' molto fastidioso. Quando scrissi "Viva L'Italia", il Pci mi chiese di poterla utilizzare per un manifesto. Risposi di no, anche se avevo sempre votato per quel partito. Trovo sconveniente che un artista accetti un ruolo subordinato per una sua canzone".
Nell'album "Prendere e lasciare" affiora l'America...
"Uno nato, come me, nel 1951, non può non avere mitologie legate all'America. Sono cresciuto con i grandi film di Hollywood. In camerino ho un videoregistratore: prima del concerto mi guardo film come "Scarface" con Al Pacino o "Indipendence day"..."
Chissà cosa diranno i fan...
"Io lo trovo straordinario. Nel mettere in scena la frivolezza, gli americani non sono mai banali. Nemmeno in letteratura: penso ai romanzi noir di Patricia Cornwell..."
Sono queste le sue passioni?
"Naturalmente c'è anche il Salinger del "Giovane Holden" e il McCormack di "Cavalli selvaggi". Mi piace Carver: molti autori, anche di cinema, dovrebbero essergli riconoscenti".
Al cinema chi le piace?
"Robert Altman e Sam Peckimpah che mi ha ispirato "Bufalo Bill". Ho preso spunto dal protagonista della "Ballata di Cable Hogue": l'avventuriero che finisce schiacciato da un'automobile. Un modo molto bello per descrivere il passaggio dall'età dei bufali a quella delle macchine".
Così preferisce gli americani agli europei...
"Sono molto più bravi a comunicare idee ed emozioni. Quando, in Italia, si parla di cinema impeganto, si finisce sempre dalle parti del neorealismo. Allora, forse, è meglio la commedia all'italiana..."
E la canzone d'autore?
"Ha saputo riempire dei vuoti culturali. Specie quello lasciato dalla poesia, che ha un ruolo marginale nella cultura dei giovani d'oggi".

 

 

La valigia dell'attore


di Giovanni Cerutti

Con il doppio CD "La valigia dell'attore" Francesco De Gregori pubblica il sesto live della sua carriera. Se si eccettua, infatti, "Banana Republic" che testimoniava il tour con Lucio Dalla del 1979 - peraltro si tratta di registrazioni per la massima parte provenienti dai check-sounds a causa di problemi tecnici - ha già pubblicato "Nientedacapire", "Musica leggera" e "Catcher in Sky" nel 1990, "Il bandito e il campione" nel 1993 e "Bootleg" nel 1994.
Mentre i primi tre live erano il risultato di due anni di registrazioni - dal 1987 al 1989 - , gli ultimi due testimoniano un tour - "Bootleg" addirittura un singolo concerto. Anche se i quattro inediti presenti - per tre si tratta di versioni registrate in studio - sono stati generalmente ben accolti dalla critica, la scelta di pubblicare un altro disco dal vivo ha sollevato qualche critica, simile del resto alle polemiche nate in corrispondenza all'uscita di "Bootleg" a ridosso del "Bandito e il campione".
Non ci si è invece interrogati a fondo sul senso del lavoro di De Gregori nei concerti di questi anni, che la pubblicazione di questi dischi vuole sottolineare.
La lettura che propongo è che De Gregori si stia confrontando con il più significativo tentativo di trovare un posto alla canzone nell'espressione artistica contemporanea, cioè con il Never Ending Tour di Bob Dylan.
A partire dal 1975, dopo la pubblicazione di Desire, Dylan decide di riprendere un suo vecchio progetto a più riprese vagheggiato durante gli anni Sessanta che prevedeva di costruire uno spettacolo rock avendo come riferimento le rappresentazioni teatrali di Broadway.
Ha ormai capito che la registrazione in studio ha assunto una complessità tecnica a cui non intende adeguarsi - Planet Waves e Blood On The Tracks sono stati registrati in tre giorni, Desire in una notte - , come invece fanno molti suoi coetanei, perché non la ritiene in grado di confrontarsi con le altre modalità espressive dell'arte contemporanea.
Lo farà di tanto in tanto - Infidels nel 1983, Oh Mercy nel 1989, Time Out of Mind quest'anno - e saranno sempre capolavori.
Se la canzone avrà un futuro come arte in grado di parlare all'uomo contemporaneo dipenderà dal palcoscenico: "Ciò che faccio è più che una cosa immediata. Sei su di un palco e canti, ottieni una cosa immediata... non è come scrivere un libro o registrare un disco... ciò che faccio è così immediato che cambia la natura, il concetto stesso di arte" (cfr. Paolo Vites "Friend of the devil" Satisfaction settembre 1992).
Nel 1975 costituisce la Rolling Thunder Revue con la sua band - T-Bone Burnett, Howie Wyeth, Dave Mansfield, Steve Soles, Rob Stoner, Luther Rix , Mick Ronson e Scarlet Rivera - e molti altri artisti tra cui Joan Baez, Joni Mitchell, Bob Neuwirth, Roger McGuinn, che gira la provincia americana con concerti annunciati sulle radio locali fuori da ogni circuito.
Al tour - che dura due anni e sarà un controcanto alle celebrazioni del bicentenario, culminando con il concerto al Madison Square Garden per la liberazione del pugile nero Rubin "Hurricane" Carter ingiustamente incarcerato - partecipano Allen Ginsberg e Sam Shepard, che da quell'esperienza ricaverà un libro che darà il senso dell'importanza di Dylan nella cultura americana.
Il mancato sostegno della CBS e i conseguenti problemi finanziari costringono Dylan a sciogliere la Revue, ma l'idea di ridefinizione del rock come performance dal vivo ha mosso i primi convincenti passi.
Niente dischi nuovi da promuovere, nessun effetto sul palco, solo la forza della musica e delle parole.

 

Alla rilettura del suo repertorio - che approfondisce le canzoni scavandone l'essenziale fino al nucleo che le rende sempre vive - si unisce la rilettura della tradizione folk americana da Woody Guthrie ai canti tradizionali, nel tentativo di precisare il senso della forma canzone come espressione d'arte.
Dal 1978 al 1987 Dylan sviluppa ulteriormente la sua idea di performance live come luogo privilegiato della creatività, in questo aiutato dal fatto di avere già alle spalle un repertorio imponente che è già riconosciuto come riferimento ineliminabile - recentemente Giancarlo Susanna ha scritto sull'Unità "è lui l'unico veramente indispensabile" - da tutto il mondo della canzone, e non solo, come testimonia l'inserimento nella rosa finale per l'assegnazione del premio Nobel per la letteratura nel 1996.
Le tappe saranno scandite dal tour mondiale del 1978 - con il ritorno in Europa dopo dodici anni -, dai gospel tour dal 1979 al 1981 - a chi gli chiedeva come mai dopo solo un anno ritornasse nelle stesse città degli States con il rischio di non avere più folle imponenti in cerca dell'evento rispondeva che non era quello il senso dei suoi concerti... -, dal tour del 1984 con Mick Taylor alla chitarra, dai tre tour con Tom Petty e gli Heartbreakers nel 1986 e nel 1987 inframmezzati da sei concerti americani nel luglio del 1987 con i Grateful Dead che ancora oggi detengono tutti i primati di affluenza di pubblico.
Ed è proprio durante questi concerti che matura l'idea del Neverending Tour: "Se sei un'artista vero, ti devi dare al tuo pubblico interamente, non puoi andare in tour ogni tre anni, come facevo anch'io prima del tour con i Grateful Dead" (P. Vites cit.). E dal giugno 1988 ad oggi Dylan è ininterrottamente in tour, suonando in tutto il mondo sia in grandi città che in provincia - in Italia, ad esempio, ha suonato a Merano, Aosta, Udine - o in piccoli club - famosa la serata al Toad's place di New Haven, un piccolo club con circa cento posti, dove nel gennaio 1990 ha suonato per più di quattro ore - con una media di centoventi/centocinquanta concerti in un anno.
Lontano dai riflettori dei media, ma non della critica più attenta, Dylan sta ponendo le basi di una definizione del concerto dal vivo come forma d'arte.
Una forma d'arte che per la sua unicità di performance e la sua non ripetibilità
è in grado di rendere al meglio i travagli dell'uomo contemporaneo.
Credo si possa tentare di enucleare alcune caratteristiche salienti di questo lavoro. In primo luogo il rifiuto di qualsiasi artificio esterno alla musica. In clamorosa controtendenza sia con i suoi coetanei - vedi gli Stones - che con le generazioni più giovani - U2 - nei concerti di Dylan c'è solo la musica.
Suona solo in luoghi di dimensioni contenute dove il rapporto con il pubblico non sia di tipo celebrativo - i "grandi stadi della dannazione" li ha definiti una volta - ma dove sia possibile ascoltare.
Non cede alla tentazione del "come eravamo". Nei suoi concerti non ci sono "i Favolosi anni sessanta"; per lungo tempo non ha cantato le canzoni che tutti volevano, o se le ha cantate ha dato loro una veste calata nella contemporaneità.
Le scelte musicali. La formazione della band è essenziale: due chitarre - una è Dylan - basso - contrabbasso nei pezzi acustici - , batteria - nei concerti del 1992 ci sono state due batterie - , a cui si è aggiunto dal 1992 il pedal steel. I musicisti non sono molto famosi, a parte G.E. Smith che ha suonato i primi due anni. Il rapporto con le sue canzoni.
Come hanno notato Gino Castaldo e Roberto Giallo per Dylan non esiste la versione originale di una canzone. C'è un appunto pubblicato sul disco continuamente sviluppato, lasciato cadere se non funziona o lasciato quando sembra non offrire altri spunti, salvo riprenderlo dopo qualche tempo se si trova un aspetto inedito o un versante non esplorato.
Sempre tenendo la canzone ben dentro la contemporaneità - che non vuol dire attualità - mai per celebrarsi. Le linee melodiche sono continuamente cambiate - nei concerti del 1990 e 1991 ha tentato persino di cantare su tonalità diverse da quelle suonate - i testi continuamente sviluppati con cambi di prospettiva - ad esempio in Simple Twist Of Fate la terza persona narrante cambia continuamente da un versione all'altra - soppressione di strofe o scrittura di nuove, ricerca di aggettivi sempre più calzanti, ma sempre in sequenze logiche: ogni versione presuppone le precedenti sia musicalmente che per i testi.
La parte musicale è dilatata sovente oltre la durata del testo cantato con continue improvvisazioni.
Non esiste una scaletta di concerto. Dylan prova gruppi di settanta/ottanta canzoni per volta che ruota ciclicamente. Ogni sera la scaletta dipende dal clima che si crea sul palco e spesso i musicisti devono improvvisare canzoni che non sanno: "Provare, per me e la mia band, nel senso di provare una canzone, vuol dire sapere il titolo e in che accordo va suonata. Fatto questo, abbiamo provato" (P. Vites cit.).
Alle sue canzoni si affiancano pezzi della tradizione folk, country songs, o cover di autori non sempre conosciuti. Il risultato di tutto questo è elettrizzante. Il pubblico avverte subito che non c'è né routine, né mestiere ma qualcosa di vivo. Ogni sera Dylan mette a repentaglio la sua carriera senza rete, ed infatti può capitare il concerto in tono minore. Questa lunga digressione credo possa consentire di rileggere il lavoro di De Gregori in una luce nuova.
Il riferimento al lavoro di Dylan - sentito come l'esperienza centrale della musica contemporanea che cerca di dare alla canzone dignità di forma d'arte - appare evidente in alcune scelte, così come l'ulteriore elaborazione secondo la propria sensibilità di artista e la propria cultura.
Così si inquadrano i cambi di scaletta sera dopo sera, la ricerca di un suono non interamente pacificato - nel 1992 De Gregori adotta la stessa formazione adottata da Dylan con una chitarra in più per poi aggiungere strumenti della tradizione italiana come l'organetto o la fisarmonica - il lavoro sulle linee melodiche delle canzoni e sui testi per saggiarne la capacità di essere sempre significanti, insomma il tour come work in progress, come momento di produzione artistica del quale non si può fare a meno.
Certo De Gregori è legato a un concetto di canzone più formale, perché la
letteratura italiana ha alle spalle una tradizione più vincolante che si riflette anche sulle culture popolari, mentre la letteratura americana è più giovane, per certi versi senza storia.
Credo, quindi, che il senso ultimo della pubblicazione dei dischi live sia lasciare un documento - la tradizione... - di questo continuo lavoro sul palco, "la mia attività stradaiola" come l'ha definito De Gregori in un intervista a Vincenzo Mollica.
La valutazione andrebbe allora fatta sulla validità e sul senso complessivo dei risultati raggiunti, piuttosto che sulla constatazione che si tratta dell'ennesimo disco live.


http://www.maggiesfarm.it/valigia.htm

 

 

 

 

 

06 GEN - Reggio Calabria - 07 GEN - Cosenza 09 GEN - Brindisi 10 GEN - Gallipoli 13 GEN - Sanremo 14 GEN - Biella 15 GEN - Mantova 20 GEN - Napoli 21 GEN - Firenze 22 GEN - Firenze 23 GEN - Livorno 04 FEB - Vicenza 05 FEB - Pistoia 06 FEB - Siena 07 FEB - Pisa 08 FEB - Bagnacavallo 10 FEB - Venezia 10 MAR - Torino 12 MAR - Cuneo 13 MAR - Pavia 14 MAR - Desio 15 MAR - Brescia 16 MAR - Pesaro 18 MAR - Terni 19 MAR - Lucca 20 MAR - Lucca 21 MAR - Vercelli 22 MAR - Belluno 24 MAR - Genova 25 MAR - Alessandria 26 MAR - Trieste 27 MAR - Trento 4 APR - Catanzaro 6 APR - Salerno 8 APR - Benevento 10 APR - Padova 16 APR - Bergamo 17 APR - Chiavari 21 APR - Milano 22 APR - Milano 24 APR - Tavagnasco 17 GIU - Sannicandro garganico 18 GIU - Bari 24 GIU - Varese 19 LUG - Priverno 20 LUG - Guglionesi 21 LUG - Milano 22 LUG - Borgaro Torinese 25 LUG- Norimberga 26 LUG - Salza di Pinerolo 27 LUG - Firenzuola 28 LUG - San Giovanni al Natisone 01 AGO - Vittoria 03 AGO - Adrano 07 AGO - San Martino Valle Caudina 08 AGO - Nettuno 09 AGO - Montalto di Castro 11 AGO - Chianciano Terme 12 AGO - Massa 14 AGO - Martinafranca 15 AGO - Gallipoli 17 AGO - Letojanni 24 AGO - Loro Piceno 26 AGO - Pescara 28 AGO - Ventimiglia 30 AGO - Castagnole Lanze 01 SET - Todi 04 SET - Portici 05 SET - Fiuggi 06 SET - Bologna 07 SET - Ravenna 08 SET - Genova 09 SET - Cagliari 11 SET - Roma 12 SET - Reggio Emilia 14 SET - Belmonte Mezzagno 15 SET - Cefalu' 16 SET - Caltanissetta 17 SET - Realmonte 16 OTT - Torino (Lingotto) 4 DIC - Torino (Palastampa) 11 DIC - Udine (Palasport) 13 DIC - Milano (Forum Assiago) 16 DIC - Bari (Teatroteam) 18 DIC - Roma (Palaeur) 19 DIC - Napoli (Palapartenope) 31 DIC - Assisi 16 DICEMBRE - Ravenna - La Via dei Romei (con A. Sparagna) - Teatro Alighieri 17 DICEMBRE - Ravenna - La Via dei Romei (con A. Sparagna) - Teatro Alighieri

 

Un concerto in segreto per Francesco De Gregori

Un concerto in segreto per Francesco De Gregori, ricomparso improvvisamente, a cinque mesi dall'esibizione di San Silvestro ad Assisi, al Teatro Masini di Faenza, davanti a 450 spettatori paganti. Tanto mistero attorno a questa apparizione pero' non celava alcuna sorpresa. un concerto durato nemmeno due ore, circa 25 pezzi, qualcuno in meno di quelli incisi nell'ultimo cd La valigia dell'attore. De Gregori ha rispettato abbastanza la scaletta del disco, proponendo le classiche La donna cannone, Rimmel, Alice e La leva calcistica della classe '68 e Titanic. Una dedica per il monsignor Tonini, Agnello di Dio, e poi i bis Niente da capire, Bufalo Bill e Battere e levare. Delusione del pubblico che non ha potuto ascoltare la tanto richiesta Generale. Di sicuro quello di Faenza e' stato il suo unico concerto italiano per il '98.

(30 maggio 1998)

Francesco De Gregori: concerto spartano. Fazio sul palco

Il "Corriere della Sera" racconta di una "Sorpresa ieri sera alla Villa Reale di Monza al primo concerto del nuovo tour estivo di Francesco De Gregori. Il cantautore aveva appena eseguito due bis e la gente si avviava all'uscita quando è apparso sul palco Fabio Fazio, che ha detto: "Ci sono volute due ore a convincerlo, ma è ancora qui e ci canterà 'Pablo'". De Gregori ha replicato: "E' un bravo ragazzo, ha solo un difetto: ha presentato Sanremo. Ma lo perdono". E ha intonato la canzone sull'emigrante Pablo. E' stato l'unico colpo di coda spettacolare di un concerto "alternativo"", ineccepibile anche se piuttosto freddo. De Gregori ha proposto a Monza un normalissimo concerto all'insegna della ruvidezza sonora privilegiando i brani meno conosciuti. Economia nell'allestimento significa maggior margine economico per l'artista e biglietto accessibile per gli spettatori (32 mila lire seduti). (...) La scarsa voglia di comunicare è compensata dall'ineguagliabile timbrica e dalla grandezza del repertorio nel quale l'artista sceglie a capriccio stando attento a non assecondare i gusti da hit parade della gente: manca "La valigia dell'attore", in compenso ci sono "Ninetto e la colonia", "Atlantide" e perfino "L'uccisione di Babbo Natale". (02 Lug 99)

 

 

 

 

ERMANNO: Contraddistinto dall’odore del sigaro che porta sempre dietro, è arrivato Francesco De Gregori. Benvenuto!

DE GREGORI: Grazie.

ERMANNO: Salve, come va?

DE GREGORI: Bene, bene.

ERMANNO: Grazie per questa improvvisata. Oramai qui lei è di casa, visto che…

DE GREGORI: Bè, sono di casa anche perché abito qui vicino, quindi….

ERMANNO: Quindi questo è l’unico motivo per cui ci fa visita qui?

DE GREGORI: No, no, anche per l’amore che porto per la radio in genere e a Radio Subasio.

ERMANNO: Allora, c’è quest’album che è ancora in voga, un album che sta viaggiando, Non inspiegabilmente, però sta viaggiando molto bene, forse al di là delle sue più rosee previsioni.

DE GREGORI: Non è che si facciano delle previsioni quando uno fa un disco; si augura chiaramente che venda, che vada bene, che la gente lo apprezzi. Si cerca di non mettere il carro davanti ai buoi. Comunque sì, per essere un disco dal vivo, è un disco che mi ha dato parecchie soddisfazioni.

ERMANNO: Cosa le è successo dall’ultimo concerto di Capodanno, che ha avuto questa….

DE GREGORI: Quello è stato l’ultimo concerto che ho fatto e quindi lo ricordo con un po’ di nostalgia.

ERMANNO: Quindi si è riposato.

DE GREGORI: Mi sto riposando. E anche troppo. Mi piacerebbe ricominciare ad andare un po’ in giro però adesso credo che  io e anche il pubblico abbiamo bisogno di riposo.

ERMANNO: Quindi se ne va in vacanza?

DE GREGORI: Sto già in vacanza. Questa è una specie di vacanza.

ERMANNO: Una domanda che io avrei sempre voluto farle, poi l’occasione non c’è mai stata. Guardando le sue canzoni, anche quelle di vent’anni fa, quelle più vecchie, c’è questa… c’è bisogno, per scrivere una canzone di De Gregori, di una dose massiccia di fantasia, o no? Da dove nascono le sue canzoni? Sì, c’è molta realtà, però….

DE GREGORI: La fantasia è un ingrediente fondamentale di ogni creazione, no? Qualsiasi tipo di arte, se non c’è la fantasia dietro……. più che la fantasia ci vuole, secondo me, mancanza di pudore per scrivere delle canzoni, come anche per fare un quadro, ecco. Si tratta un po’ di scoprirsi, di raccontare se stessi, no? La fantasia ce l’abbiamo tutti, la mancanza di pudore è una cosa che invece… forse è un privilegio. Comunque è una cosa che uno deve coltivare con disciplina, perché io non avrei sempre voglia di raccontare gli affari miei, però spesso nelle mie canzoni lo faccio.

ERMANNO: E’ per questo che lei passa per antipatico?

DE GREGORI: Mah… questa è una vecchia diceria, non mi sembra di essere antipatico.

ERMANNO: E’ vero, comunque, che non c’è un’intervista di De Gregori in ogni settimanale che fa un milione di copie….

DE GREGORI: Questo non vuol dire essere antipatici, vuol dire non avere troppa voglia di svendere  se stessi…..

ERMANNO: Sì, voglio dire: viene cinque volte a Radio Subasio che ha tre-quattro milioni di radioascoltatori e questo ci riempie di orgoglio e di gioia. Poi, magari, snobba altre tirature, altre cose importanti…

 

https://www.iltitanic.com/2023/066.jpg

 

DE GREGORI: No, è perché mi piace di più la radio che non i giornali, perché c’è una mediazione in più nei giornali che è il giornalista. Il giornalista spesso ti fa dire delle cose che tu non hai detto, non perché vuole fartele dire ma perché deforma un po’ le cose. Invece la radio … sto parlando, si sente esattamente quello che dico, tutte le stupidaggini o tutte le cose insensate che eventualmente posso dire. Quindi mi piace di più parlare col pubblico attraverso il microfono, anche perché il mio lavoro si svolge attraverso un microfono, quindi…Non dico che è come se stessi cantando, però ci somiglia un po’.

ERMANNO: Da quando era un ragazzo che giocava a ramino e fischiava alle donne a oggi cos’è cambiato, cos’è successo? Chiaramente ci vorrebbe un libro!

DE GREGORI: Bè, quello che è successo a tutti qando si passa dai vent’anni ai quaranta.

ERMANNO: Si sente giovane o si sente vecchio?

DE GREGORI: Mi sento l’età che ho, che è un’età di mezzo. Vorrei rispondere con una banalità: che mi sento più vecchio di allora e mi sento più giovane di quello che sarò. Certo, se mi paragono a Ermanno mi sento molto più giovane. Sto scherzando. Certo, quando ero giovane non mi rendevo conto dell’età che avevo e nemmeno adesso mi rendo conto dell’età che ho.

ERMANNO: Quindi secondo lei è bene vivere senza porsi troppi problemi?

DE GREGORI: Bè, non quello dell’età, non in maniera prioritaria. Poi te lo ricordano gli altri: il medico, il barbiere….

ERMANNO: Che effetto le fa avere tra i suoi fans i quindicenni, i sedicenni, i ventenni, gente che l’ha scoperta anche tardi. Per esempio il mio caso, io l’ho scoperta molto tardi, forse perché il suo non curare l’immagine fa sì che certe cose non arrivino …

DE GREGORI: Mi fa piacere avere un pubblico. Un pubblico comunque. Un pubblico giovane in questo mestiere vuole dire avere la garanzia che quello che fai viene ancora ascoltato, perché chi compra musica, di solito, ha quell’età lì: dai 15 ai 20-22 anni. Quindi se non ci fosse questa fascia di età fra la gente che compra i miei dischi (o che sente le mie canzoni) io sarei uno tagliato fuori dal mercato. Potrei forse andare in teatro a fare concerti per la gente della mia età ma non mi piacerebbe più di tanto.

ERMANNO: Crede di più nella dimensione Live, nel contatto che le dà un giovane, quindi sente di più di poter…?

DE GREGORI: Sì, io sicuramente mi diverto di più quando vado in giro a suonare con il gruppo. Fare un disco è anche interessante però è un lavoro che richiede molta disciplina, richiede anche una certa freddezza. E poi tutte le volte che faccio un disco dopo un mese vorrei già cambiare certe cose. Invece se fai un concerto, la sera dopo ne fai un altro e quindi le cose che vuoi cambiare le puoi cambiare.

ERMANNO: Un disco da studio a quando?

DE GREGORI: Non credo prima di un anno.

ERMANNO: C’è qualcosa in cantiere, sta scrivendo?

DE GREGORI: Idee, cose varie…

ERMANNO: Cos’è che la ispira principalmente? Se c’è qualcosa che la ispira. O lei si mette a tavolino e dice “adesso scrivo!”? Non credo.

DE GREGORI: No, non mi metto a tavolino. Mi ispira un po’, lo dicevo prima, la mia vita e quello che mi succede. Comunque mi metto anche a tavolino, non è vero che l’ispirazione ti colga in un momento .. mentre magari stai viaggiando in treno e scrivi una canzone così, no. Magari ti viene un’idea mentre stai viaggiando, però poi ti devi mettere al pianoforte, se non al tavolino.

ERMANNO: Certo, dosi massicce di realtà. Io ricordo la mia esperienza quando uscì “Bambini venite parvulos”. Non si capì molto, lì per lì, cosa voleva dire. Poi uscì Tangentopoli quache anno dopo e allora dissi “Ma allora De Gregori è stato profetico in questo caso”.

DE GREGORI: Mah… questo fatto della profezia…

ERMANNO: Ecco, era facile prevedere.

DE GREGORI: Diciamo che forse un artista, spesso, può decifrare la realtà contemporanea con più lucidità di un giornalista o di un politico, proprio perché essendo svincolato, essendo libero, riesce a guardare la contemporaneità con maggiore attenzione, con maggiore lucidità. E questo può sembrare, a volte, di avere un comportamento profetico. In realtà no, non credo ancora di essere diventato un profeta.

ERMANNO: Va bene, la liquido e la lascio alle sue amicizie e a questo grosso incontro che c’è qui in radio, coi suoi fans che verranno a trovarla, credo che ci sia qualcuno di sopra ad attenderla…Io so che lei non firma molti autografi …

DE GREGORI: Ahh… questi glieli firmo perché hanno fatto tutta questa strada!

ERMANNO: Ascoltiamo una canzone che non è una canzone tra le più importanti, che è Atlantide, ecco il motivo che lei mi ha lasciato scegliere….

DE GREGORI: Per me, comunque, sono tutte importanti. Questa è particolare, è una canzone che amo molto, una canzone che non ha avuto un grande successo. Spesso le canzoni che non hanno avuto successo sono quelle che uno ama di più.

ERMANNO: Se questo può consolarla, qualcuno l’altro giorno disse “cos’è questa canzone cosi bella? Ditemi il titolo che me la vado a prendere!”.

DE GREGORI: Va bene. Grazie, allora.

ERMANNO: A presto. E aspettiamo un nuovo album.

DE GREGORI: Speriamo presto. Arrivederci.

 

 

Il cantautore contro il senatore

28 aprile 1998 - AI.Men.

Il senatore contro il cantautore. E poi il cantautore contro il senatore. La querelle che contrappone Francesco Da Gregorí e Maurizio Ronconi si arricchisce di un nuovo capitolo: dopo le denunce scritte siamo alle querele in tribunale. E tutto per colpa di quella recinzione dietro alla quale, a sentire Ronconi, ci sarebbe una truffetta messa in atto da Da Gregorí con la complicítà di funzionari e amministratori della Provincia di Perugia e dei Comune di Spello. E lo scontro, c'era da prevederlo, era inevitabile essendo Da Gregori un personaggio spígoloso e Ronconí una sorta di Píerino che si diverte a creare difficoltà agli amministratori del centrosinistra.

E così nella storia del recinto e dell'íscrizione dei cantautore Francesco Da Gregori nell'"albo dei rípopolatori" di fauna (condizione necessaria per ottenere l'autorizzazione a recintare) c'è adesso anche la díffamazione. Ronconi aveva accusato Da Gregori, in un giomale di partito, di avere ottenuto con favoritismo politici l'autorizzazione a recintare la sua villa di Spello. Il parlamentare ha fatto sapere attraverso il suo difensore, l'avvocato Marzio Modena, che sarà "il primo a caldeggíare" l'autorizzazione a procedere da patte dei Senato per giungere al processo. Da Gregori -ha detto Modenaha una tenuta di otto ettari, in gran parte oliveti, sulle pendici del Monte Subasio. Per recintare il terreno si è iscritto nell'albo dei "ripopolatori", gestito dalla Provincia, poichè intende allevare 20 daíni.

Così -secondo l'avvocato- in poco tempo ha ottenuto dal Comune di Spello la concessione edílízia per la recínzione.

Nel settembre scorso Ronconí, in un articolo della "Discussione di Spello", periodico del Cdu locale, dal títok "De Gregori sì, i cittadini di Spello no", denunciava "accelerazioni e favoritismo" nella "iscrizione in tempi record" nell'albo di "ripopolatorí" e nella concessione per il recinto per le sue "simpatie politiche" affini alle giunte locali. Cosa ci ha fatto vomitare di bile il cantautore. Che, convinto di stare nel giusto, adesso vuole giustizia.

 

  

L' altro De Gregori. Concerto senza politica e brani poco conosciuti. A sorpresa Mimmo Locasciulli come ospite

 Francesco De Gregori ieri sera all' ex Mattatoio ha portato a spasso i suoi brani meno noti. Con uno stile ruvido, un impatto sonoro essenziale, il cantautore ha chiamato a raccolta oltre diecimila persone. Erano tre anni, dal concerto a Caracalla, che non si esibiva a Roma. Al centro una pedana in legno per i disabili. Sullo sfondo i tetti di Testaccio; a sinistra il Gasometro e poi il centro sociale Villaggio Globale: sul tetto sventola la bandiera rossa dei curdi di Ocalan: fa mmolto Festival dell' Unita (all' antica). E infatti siamo qui per questo. De Gregori ieri si e offerto gratis, giocando in casa al Festival dell' Unita . Il piazzale e tutto un ribollire di umori popolari. C' e l' odore forte delle salsicce grigliate. Ci sono i riverberi fastidiosi del Testaccio Village, ma nessuno ci fa caso (l' acustica ieri era eccellente). I portici ocra dell' ex Mattatoio, con i bambini indifferenti alla musica che giocano a palla lungo i murales, ricordano una piazza sudamericana. Chiusa al traffico via Galvani. Il cappello in testa, la maglietta bianca, il Principe (lo chiamano cosi per il carisma impastato di coerenza) mostra il suo rock nudo, poesie metafisiche, rime dissacranti, filastrocche dolci e sinuose e poi politiche a ripercorrere gli enigmi dell' Italia repubblicana. Ma ieri sera era un De Gregori diverso, e non solo per la scaletta avara di classici: un concerto dell' anima, interiore, arrangiamenti ridotti all' osso, ma lunghi e corposi. A sorpresa, a meta concerto dopo la fisarmonica e gli organetti di Ambrogio Sparagna, arriva il secondo ospite: Mimmo Locasciulli, che De Gregori considera il suo delfino. E l' unico momento in cui Francesco prende la parola: aveva appena proposto la cover di uno splendido brano di Leonard Coen, Il futuro, tradotto in italiano proprio da Locasciulli. E poi ecco Battere e levare, le disillusioni in un mondo poco consolatorio, dove bisogna fare e disfare, continuamente e malamente e con amore, mentre guarda una strada ma non sa dove andare.... Scorre la Bell' Italia di De Gregori, integrita e autenticita . Ma lui non lancia proclami. Non una parola dal palco. Quasi immobile, pochi sorrisi, non compra la platea con scorciatoie da saltimbanco. Algido, a tratti quasi scostante, l' unica cosa che non si riesce a perdonargli e il no perentorio ai fotografi (ma lo speaker prima che il concerto inizi dice al pubblico: Potete fotografare quanto volete). Si comincia alle 21.30 con la remota Pezzi di vetro, eseguita solo alla chitarra. Il De Gregori acustico torna per La donna cannone, e il pubblico si unisce in coro a lui: caso raro di canzone che sopravvive al film (era la colonna sonora della pellicola con Monica Vitti). Un concerto minimalista con una carica emotiva nascosta eppure e li . Ecco Alice e Rimmel, Generale. Fino a Buonanotte Fiorellino: giorni fa alla radio, in una delle sue rare uscite pubbliche, De Gregori ha detto che e la sua canzone piu bella. In molti si aspettavano che la sua preferenza andasse ad una canzone politica. Ma ieri De Gregori ci ha fatto capire che Pablo e ancora vivo. Valerio Cappelli

Cappelli Valerio -  (17 luglio 1999) - Corriere della Sera

 

 

Incanto a due voci (Maria Piera Bartolini Salimbeni)

La musica e le sue emozioni non hanno niente a che vedere con le leggi dei numeri; in matematica, il "tutto" e’ la somma delle parti. L’altra sera a Modena dividevano lo stesso palco Fiorella Mannoia e Francesco De Gregori, ma quello a cui hanno assistito i 30mila spettatori presenti non e’ stato un semplice incontro artistico, un puro accostarsi di voci. Testimone una vivida luna piena, su quel palco e’ nato qualcosa di nuovo che ha attraversato le coscienze, i cuori e le schiene di tutti i presenti. C’era nell’aria il senso dell’evento: come se Fiorella e Francesco si stessero incontrando dopo essersi cercati per una vita; come se ognuno aspettasse da tempo la voce dell’altro per portare la propria ancora piu’ in alto, e per dare fiato insieme ad una sensibilita’ comune, ad un mondo visto dalla stessa angolazione, ad una realta’ vissuta rifuggendo dalle verita’ immediate, scavando nei risvolti di cose e persone. Da questo punto di vista, gia’ da anni Fiorella e Francesco cantano la stessa poesia.

Il concerto si apre con le rispettive esibizioni "a solo". Prima De Gregori, poi la Mannoia; e mentre Fiorella racconta le sue storie, Francesco fa il giro del palco e si siede ad ascoltarla. Si siede per terra; da amico, da ammiratore. E’ poi il momento dell’incontro. Nel dividere il palco ci guadagnano entrambi. A lui, nella sua parte di esibizione misurato e vagamente distante come di consueto, l’intervento sulla scena di Fiorella regala grazia, leggerezza e solarita’: e’ un De Gregori inedito quello che sorride, si lascia andare, scherza con il pubblico e con la sua compagna di scena e si presta anche ad interpretare a due voci I treni a vapore, successo di Fiorella scritto dal collega Fossati, e Il pescatore, in omaggio a Fabrizio De Andre’. Alla voce di lei, il misurarsi su un terreno meno consolidato rispetto al proprio repertorio, il poter fare propri brani cercati, voluti, e soprattutto amati per una vita, dona una potenza ed un’intensita’ che levano il respiro.

La scaletta attinge alla parte piu’ ritmica e coinvolgente del repertorio di De Gregori. Arrivano cosi’ Titanic, Ninetto e la colonia, Bufalo Bill, Sotto le stelle del Messico e L’uccisione di Babbo Natale. Ma il pubblico aspetta anche le pagine storiche e piu’ struggenti, ed accoglie cosi’ con un forte applauso Generale e poi La donna cannone, forse il brano piu’ amato di Francesco, che lui decide di consacrare al talento di Fiorella cedendole del tutto il palco.

Le due voci, cosi’ diverse eppure mai come l’altra sera parte di uno stesso canto, si completano alla perfezione, e l’emozione ormai avvolge tutti: i due sul palco -i cui occhi brillano per l’orgoglio di un’amicizia che va ben oltre il rapporto professionale,- ed il pubblico, che da questa realta’ uscira’ completamente conquistato.

Dopo tre ore di spettacolo e due bis, Fiorella e Francesco salutano e abbandonano il palco abbracciati. Forse sono anche loro parte dei 30mila per i quali sara’ difficile dimenticare.

 

 

 

alcune date

1999

29 GIUGNO - Cervia 01 LUGLIO - Monza - Villa Reale 11 LUGLIO - Villafranca (VE) 15 LUGLIO - Ricaldone (Al) - campo Sportivo 16 LUGLIO - Roma Festa dell'Unità - Testaccio Village 17 LUGLIO - Trepuzzi (LE) - Stadio 18 LUGLIO - Polignano a Mare (BA) - Lungomare 21 LUGLIO - Napoli - Festa dell'Unità 23-27 LUGLIO - Catania - Piazza Università 29 LUGLIO - Alghero, campo sportivo 04 SETTEMBRE - Taormina (ME) - Teatro Greco 25 SETTEMBRE - Modena - Festa dell'Unità (con F. Mannoia) 13 OTTOBRE - Teramo - Piazza dei Martiri (con M. Locasciulli) 

2000

APRILE - S. Benedetto del Tronto (AP) - Palacongressi Teatro-Concerto (Ascoli Festival oltre il Medioevo): 17 LUGLIO - Ascoli Piceno - Chiostro di S. Domenico "La via dei Romei"