Era il 1975. Nella sua stanza il mio amico, tra un panino con la mortadella,qualche sigaretta fumata di nascosto e un complicato problema algebrico, mette sul piatto del famoso stereo Readest Digest un lp con l'etichetta azzurra.
Allora io non capivo un cacchio di musica. Con la bocca piena gli chiedo "Cos'è, l'ultimo successo di Sandro Giacobbe?".
Lui mi dice "No, e' un certo Francesco De Gregori. Senti che bella". Aveva sul soffitto un lampadario a tre vetri colorati: bianco, blu, rosso. Lascia acceso solo quello rosso creando una di quelle atmosfere che si usavano allora nei night club, aumenta i bassi, alza il volume e poggia delicatamente la puntina sul vinile.
"Dai, ma cosi' non vedo piu' niente! Accendi, che mi sono morso un dito!" gli dico mentre cominciano le prime pizzicate sulle corde della Martin D41.
"Piu' niente,….l'uomo che cammina sui pezzi di vetro…. dito ….. Dicono ha due anime ….. piu' ………. E un sesso di ramo duro il cuore ………. Niente….. e la luna e …………piu' niente! Non capivo piu' niente! Pezzi di vetro: la prima volta che l'ascoltavo!
Suonata in quel momento mi fece venire i brividi addosso. Scatenò dentro di me tutto quello che avevo nascosto e che dormiva profondamente in attesa che qualcuno suonasse la sveglia. Da quella sera cominciò la mia "degregoripatia".
Ma De Gregori mi ha anche aiutato ad amare la musica. Mai, allora, avrei immaginato di vivere con sei chitarre, un piano elettrico, mixer vari e un migliaio di cd che mi fanno compagnia in molti momenti della mia vita! Chi l'avrebbe detto? Da quella sera in poi cambio' tutto.

Già "stregato", chiesi ad un mio amico barbiere di insegnarmi a suonare la chitarra. La voglia, la curiosità e la bramosia di sapere che da quello strumento poteva uscire qualcosa che desideravo ma che non potevo ottenere mi faceva star male, a tal punto da soffrire nel canticchiare Buonanotte fiorellino tambureggiando soltanto sulla "passiva" tastiera di legno. Io dovevo suonarla!

Il mio amico mi insegnò il giro di Do e poi , da solo, imparai tutti gli altri accordi strimpellandoli nel suo Salone con la sua chitarra, con i clienti che dapprima mi imploravano di smettere e poi mi chiedevano di suonare. Poi ne comprai una mia, e la forte volontà che ebbi nell'acquistarla dimostra come un disco o un cantante può trasformare gli interessi di una persona. Pezzi di vetro è stata la chiave che ha aperto qualcosa che avevo nascosta incosapevolmente dentro di me; ha scardinato con forza quella porta chiusa ed entrando nelle altre stanze mi ha fatto accorgere della presenza di altri inaspettati ma graditi ospiti, che non sapevo dimorassero a casa mia. Da quel giorno vivono con me anche tutti gli artisti che ho imparato ad amare grazie al Principe.

La mia passione per De Gregori è ormai diventata leggendaria e questo, ormai, lo sa bene anche lui. In rete ho raccontato del Principe fin dagli albori di internet, guadagnandomi i nomignoli che mi hanno appioppato sul campo gli appassionati della casa di Alice: Pioniere degregoriano del web, Capostipite, Sior Capitano, Zio Mimmo, Sellerone, Mimmote ecc.

Però scrivevo un po' dovunque, come uno zingaro, così nel 2005 decisi di varare una nave tutta mia, un transatlantico con a bordo tante belle cose infilate in cabine che al solo pensiero di dormirci dentro alletterebbe qualsiasi degregoriano. E questa nave come si poteva chiamare, se non Titanic?

Vi chiederete, ma De Gregori ...... c'è salito, almeno una volta, a bordo? C'è salito, c'è salito.

Di seguito sono pubblicate le mie impressioni in occasione di tutte le volte che l'ho incontrato quando Francesco è sbarcato dalle mie parti.

Ormai conosco la sua tipica camminatura, di come muove le braccie e le mani quando riceve complimenti, o si emoziona. La prima volta fu nel 1997 ad Adrano (CT) e dai racconti di questa pagina vi accorgerete che il Principe non è come come lo dipingono, come lui stesso si dipinge o si fa dipingere. Vi renderete conto che, invece, è ancora quel ragazzo che nemmeno lui lo sa, che sale sopra un albero e cerca il punto esatto dove muore la città. Adesso non mi capita più, ma trovarselo davanti fa sempre un certo effetto. Sarò l'altezza o la sua carriera, o il mito che si porta addosso, ma emana qualcosa che ti fa quasi tremare le gambe, come incontrare all'improvviso Garibaldi.

E' capitato a parecchi, a giornalisti, gente dello spettacolo. Non me lo invento, ma lui ti mette subito a tuo agio perchè, al contrario di quel che si legge, è una persona disponibilissima, cordiale, gentile e alla mano.

Leggere sotto per credere.
               

 

 

 

 

CATANIA, TEATRO AMBASCIATORI - OTTOBRE 1976

GLI ALBORI. – Credo sia stato l'autunno del 1976, forse ottobre. In città avevano attaccato sui muri i manifesti con la fotoposter inside del disco Rimmel, quella con la faccia di Francesco di profilo, e sotto la data fissata al Teatro Ambasciatori di Catania.

Se c’è qualche attempato catanese che mi legge mi può dire esattamente la data? Quel concerto lo ricordano ancora in tanti ma nessuno sa la data.

Allora era abitudine fare due concerti, uno il pomeriggio e l’altro la  sera. Io arrivai con un mio amico nell’intervallo fra i due spettacoli ma, come direbbe Fantozzi, con un mostruoso anticipo di due ore!

Sull’altezza di Francesco avevo un’idea sbagliata. Lo immaginavo di statura normale, chissà perchè. Invece, appena entrati nella hall del Teatro, vedemmo una testa sovrastare su una piccola folla di ragazzi al bar del teatro. Era lui, con un giaccone di panno a scacchi bianconero, che beveva una Coca Cola offertagli da quei ragazzi. Scherzava, rideva e parlava con tutti. Lo vedevo per la prima volta e non immaginavo fosse così alto.

Facendoci obliterare i biglietti entrammo nella sala vuota e ci sedemmo (in prima fila, ovviamente prenotati da tempo).

Dopo un po’ sentimmo arrivare sulle nostre nuche uno spiffero d’aria, il rumore di una porta posteriore che si apriva e dei passi che attraversavano il corridoio centrale. Uno spilungone di 24 anni, con la barba e i capelli rossi, ci passò di fianco guardandoci stupito e chiedendosi cosa facevamo lì a quell’ora. Avrà pensato “forse quelli delle pulizie che si riposano”.

Quando arrivò sotto al palco, uno dei componenti del gruppo folk Taberna Mylaensis (supporters del suo tour) si affacciò gridandogli “Francesco…. Alice guarda i gatti….” .

Balzando sul palco con uno stile da “Olio Cuore” De Gregori rispose “… e i gatti se magnano i topi…” e sparì dietro il tendone.

A quel punto la mia poltrona stava trasformandosi nel sedile dello Shuttle. Volevo andare lì dietro anch’io, rischiando di farmi mandare a quel paese; avrei voluto chiedergli tante cose, ma quel mio amico mi convinse a restare seduto.

Subito dopo entrò in sala una signora, qualcuno fece capolino dal tendone e la invitò dietro le quinte. La signora salì comodamente le scalette del palco e restò lì dietro quasi un’ora a vedere tante belle cose, mentre io mi ero già mangiato le mani, le braccia e il velluto della poltrona che avevo davanti.

Alle 21 il teatro era già pieno e con un pubblico diverso da quello pomeridiano, più “by night”. Alla fine del breve recital del gruppo che gli faceva da spalla, nella sala calarono il buio e il silenzio. Un faro di luce accompagnò l’apertura del tendone rosso e Francesco entrò con camicia celeste, jeans e cappellino da notte. Inizia da solo, con la chitarra imbracciata e canta subito Cercando un altro Egitto. Stava immobile a gambe unite e non faceva nessun movimento per paura di allontanare la chitarra dal microfono (allora non c’erano i radiomicrofoni). Poi parlò della capra della casa di Hilde, cantò Niente da capire ed altri pezzi che non ricordo e poi si fece accompagnare dalla sua band (Michele Ascolese, Giampaolo Ascolese, Peppe Caporello  e Fabrizio Cecca).

Un concerto favoloso! Era il De Gregori allo stato puro, quello di Rimmel e della Pecora e il grande Bufalo Bill era stato pubblicato da poco.

Oggi, quando parlo con un giovane degregoriano di Catania arrivo puntualmente, senza accorgermene, alla domanda “ma tu l’hai visto il concerto del ’76 all’Ambasciatori?”. Quando lui mi risponde “ma io non ero ancora nato nel ‘76” mi rendo conto che in quel momento l’età mi strattona la manica della giacca per farmi tornare alla realtà.

Mimmo Rapisarda

 

(FROM: RMS www.iltitanic.com  - TO: FORUM www.rimmelclub.it)

 

 

 

 

 

ADRANO (CT), PIAZZA UMBERTO - 3 AGOSTO 1997

SOTTO LE STELLE DI ADRANO AD EMOZIONAR.

 

De Gregori è il mio idolo, lo ammiro da tanto tempo e nel mio ambiente, ormai, la mia passione per lui è diventata leggendaria, al punto da scatenare una gara, in occasione del mio compleanno, per chi deve regalarmi il suo ultimo CD. Lo seguo dagli anni Settanta e quindi appartengo alla prima generazione dei suoi fans. Allora la musica non mi appassionava e non avevo nessuna preferenza in tal senso ma un giorno, dopo aver ascoltato (per sbaglio) “Pezzi di vetro”, fui folgorato da una luce simile a quella che riceve un novizio quando viene chiamato dal Signore per diventare sacerdote. Da allora tutto mi apparve chiaro e cominciai quasi una missione: acquistai i dischi precedenti e imparai a suonare la chitarra da solo, invogliato dal desiderio di ascoltare le sue canzoni che ho sempre definito delle opere d'arte, paragonabili a un dipinto, a una scultura o a una poesia.

Cominciarono così le manie: il “ricordino” a calamita sul cruscotto della mia vecchia ‘500’ con la scritta “Non correre, pensa a noi”, con a fianco la foto della ragazza e quella di Francesco; i concerti, i dischi, le musicassette, le videocassette, le riviste, i libri, le sue ballate cantate e suonate fedelmente con la chitarra imitandone l’arpeggio “finger picking”.

Un primo incontro ravvicinato lo ebbi nel 1976. Arrivai in teatro con un mostruoso anticipo di due ore e lui era là, da solo; mi passò vicino e guardandomi con curiosità avrà pensato: “Che fa costui alle sette se il concerto inizia alle nove? Mah, sarà uno delle pulizie…”.

Esattamente 20 anni dopo, in occasione del concerto che tenne a Catania nel novembre ’96, incontrai alla fine dello spettacolo un mio collega che mi disse di essere lo zio (a volte il destino ci riserva fantastiche coincidenze!) di una persona molto vicina a De Gregori. Per discrezione questo personaggio sarà in seguito citato con lo pseudonimo “Pablo”. L’indomani il mio collega venne a salutarmi e dopo avere constatato, attraverso quello che dicevo, di trovarsi davanti a un caso davvero patologico, decise di accontentarmi per il prossimo concerto siciliano, tramite suo nipote e nel limite del possibile.

E fu così che alla fine di luglio 1997 mi disse che De Gregori avrebbe suonato in Sicilia per una settimana, facendo tappa in un paese della provincia di Catania: Adrano. Alla vigilia del concerto conobbi il giovane Pablo il quale mi fissò un appuntamento per l’indomani nella piazza principale del paese per tentare di realizzare l’incontro. Più mi parlava del vicinissimo e possibile evento e più mi tremavano le gambe, quasi al punto da desiderare una sua risposta negativa.

3 agosto 1997. Libero da qualsiasi impegno familiare e autorizzato a fare tutto ciò che volevo in quel magico “momento tutto mio”, quella domenica pomeriggio mi misi in viaggio in direzione di Adrano con appresso la macchina fotografica. Durante il tragitto pensai a tante cose, pensavo alla ruota di scorta sgonfia che nel malaugurato caso di foratura avrebbe mandato alle calende greche quel probabile incontro; pensavo al mio carattere emotivo e a cosa cavolo dire a De Gregori nel caso fossi riuscito a conoscerlo. Cominciai così a prepararmi un discorso di circostanza per non fare brutta figura ma, con tutta la buona volontà di questo mondo, non mi venne in mente assolutamente nulla!

Guidando piano (non per la mia persona, ma per evitare burocratici incidenti che avrebbero pregiudicato tutta la serata) e ascoltando “Prendere e lasciare” dall’autoradio, anziché scervellarmi alla ricerca di discorsetti accettabili, stranamente pensavo, come in tanti flash, a tutte le cose di De Gregori: la vecchia Wolkswagen, le due Renault, la sua famiglia di bibliotecari (suo padre, suo fratello Ludwig, suo nonno Luigi), le sue  passioni per il buon vino, le aragoste, il fumo dopo il caffè, la pizza napoletana, l’Umbria, Pasolini, Antonioni, Tenco, l’Inter di Giuliano Sarti, Paperino, la Pellerossa, Tex Willer, il folk americano, Guthrie, Simon e Garfunkel, Bob Dylan, Lou Reed, De Andrè, Kafka, Twain, il flipper, il suo mestiere, l’odore delle tavole del palco, la fotografia, la pesca, il mare e tante, tante, tante  altre cose.

Appena arrivai in piazza Pablo mi indicò dove sistemarmi e concordammo che in caso di difficoltà avrei dovuto presentarmi come suo cugino. Dopo aver salutato Guglielminetti, il mitico bassista di Francesco, mi appartai di lato e cominciai ad aspettare. Osservavo come provavano e organizzavano il recital, ero dietro le quinte di un concerto di De Gregori! Fra una prova di “Atlantide” e una di “Generale” le forze dell’ordine facevano allontanare tutti, allora uno dello staff disse ai vigili “Uno, due e tre possono stare, gli altri non sono nostri” ed io subito “Sono il cugino di Pablo”. “E quattro, anche lui è con noi”, aggiunse quello. Il sogno stava cominciando, a poco a poco, a diventare realtà.

Il tempo passava, erano ormai le 20.30 e Francesco non arrivava. Arrivava la notizia che era intrappolato con la sua Mercedes nel traffico catanese, in compagnia di Filippo Bruni. Appreso l’inconveniente, la sua guardia del corpo si mise in sella a una grossa moto e corse a prenderli. Alle 21.00 Pablo mi fa entrare con lui nel recinto retrostante il palco, dove c’era una piccola roulotte, e mi avverte di non allontanarmi dalla postazione conquistata (quelli autorizzati a stare dentro il recinto erano pochi intimi, la band e il sottoscritto!!!!) ma, scoraggiato, mi disse pure che era ormai troppo tardi e che Francesco, appena arrivato, avrebbe cominciato subito il concerto (peccato, ormai ci stavo credendo!).

Alle 21.30, finalmente, i muri attorno si colorano della luce blu delle pantere della polizia, un faro squarcia l’oscurità delle stradine circostanti ed ecco arrivare la grossa moto, guidata stavolta da Filippo Bruni con De Gregori alle sue spalle, abbigliato con un vestito nero, una maglietta grigia e un paio di scarpe da tennis ormai da gettare via. Entrati nel recinto, Filippo esclama “Eccolo, ve l’ho portato, è tutto vostro!”. Francesco, fra gli applausi, si toglie il casco e ammiccando un sorriso sornione solleva le sue lunghe leve dalla moto e si infila nella roulotte abbassando la testa, essendo alto quasi due metri. Al di là del fatto che De Gregori è veramente bello, io quella sera lo vedevo ancora più bello; intendo dire bello come Re Artù, Federico Barbarossa, Giuseppe Garibaldi, George Custer o Bufalo Bill, miti anche loro.

Intanto la porta della roulotte si chiuse ed io, seduto sulla transenna del recinto e sul mio cuore deluso che mi arrivava alle scarpe, stavo già pensando di andarmene via e di ritentare una prossima volta. Ma all’improvviso vidi che Pablo, con la grande prontezza di spirito tipica dei giovani, si infila nella roulotte e va a chiedere a Francesco se potevo salutarlo.

Dopo un po’ fece capolino e mi gridò: “Mimmo, vieni!!!”. Saltai giù dalla transenna con un’agilità che non mi riconoscevo e in due secondi ero già all’ingresso della piccola roulotte. Stavo per conoscere Francesco De Gregori!

Conoscevo però anche la mitica riservatezza del “Principe” e ciò mi preoccupava. Appena giunto all’interno della roulotte, illuminata da un neon, sentii vagamente la voce di Pablo: “Francesco... ti presento Mimmo”. Di colpo me lo ritrovai di fronte, con in testa il famoso cappellino con la “C”, alto e magro, la pelle chiara con qualche ruga in più, la barba rossiccia e i capelli un po’ lunghi sulle spalle, quasi come Gesù.

Al contrario di come pensavo, invece, fu con me gentilissimo e molto cordiale. Mi guardò con i suoi occhi verdi e stringendomi la mano che non lavai fino all’indomani perché mi piaceva annusarne il profumo (scherzo, si fa per dire), mi disse: “Ciao, io sono Francesco De Gregori”. Solo al sentire pronunciare quel nome e cognome da quella leggenda vivente, a una distanza di soli venti centimetri, sentii una scarica di adrenalina scendere velocissima in tutto il corpo. Avevo lì davanti a me l’idolo che avevo sempre amato fin da ragazzo e in quel momento lo potevo riconoscere, ascoltarlo da vicino. Essendo ancora impreparato (non avevo studiato!) e incapace di formulare la più banale, frivola e imbecille battuta, trovai solo la forza di dirgli con voce tremolante: “Piacere, Mimmo......scusa Francesco, ma sono così emozionato che direi solo cazzate…… meglio che sto zitto”. Lui, già abituato a queste situazioni e nonostante provi fastidio nell’essere considerato un divo, sorrise divertito sotto i baffi e mi disse: “Tieni, prendi un grappolo, vuoi?”. Accettai un chicco d’uva che non ricordo bene dove andò a finire, se lo arrotolai tra le dita o lo mangiai, o mi andò di traverso. Ormai in stato confusionale e veramente convinto di parlare ad un essere celeste gli dissi: “Francesco, un regalo più bello non potevo riceverlo per l’onomastico di domani”. “Auguri,...e gli anni?” domandò lui. “40 anni a settembre” risposi io. “40 anni? Sembri mj figlio!” ribattè Francesco con accento romanesco.

Dopo altri discorsi che adesso non ricordo, Pablo chiese se eravamo pronti per una foto ricordo (si possono immaginare le attuali dimensioni di quella foto). Gli consegnai la macchina fotografica e quando con Francesco mi voltai verso di lui avvertii un peso nuovo su di me: un braccio che ha suonato famosissimi accordi avvolgeva la mia spalla poggiandole sopra la sua enorme mano! Un contatto che mi fece andare definitivamente in tilt.

Poco dopo Filippo Bruni entrò nella roulotte per comunicargli qualcosa, trascinandosi dietro l’eco del numeroso pubblico che  reclamava la sua presenza: “Ciccio, Ciccio, Ciccio” (non sopporta essere chiamato Ciccio). I reclami ci arrivavano dentro come un fiume in piena e così ritenni giusto lasciare libero Francesco, che prima di lasciarmi volle offrirmi ancora dell’uva.

Prima di salutarlo, però, mi ricordai una cosa del suo passato: quando Francesco De Gregori era ancora poco conosciuto, al momento della separazione artistica dal suo amico-fratello Giorgio Lo Cascio, dedicò a questi una canzone che diceva: “E io vado a cantare per il Re, mentre tu canterai per la tua donna, e per l’alba, il vino e le altre cose che abbiamo amato insieme tempo fa. E io vado a cantare per il Re, mentre tu canterai per la tua donna, ma mentre il Re ascolterà senza capire, a gocce il mio veleno assorbirà”. Un paio di anni dopo fu invitato alla discoteca modenese “Il Picchio Rosso”. Quel giorno il suo “compagno di viaggio” Lo Cascio, accompagnandolo, lo avvertì che quei ragazzi erano abituati a ballare con ben altra musica e mai avrebbero capito le sue canzoni. Durante l’esibizione, invece, dovette ricredersi: quei ragazzi, anche se amavano ballare con la musica dei Pooh, del Guardiano del Faro e di Carlos Santana, ascoltavano incantati, sospesi a mezz’aria sulla pista da ballo, quella di Francesco. A quel punto Lo Cascio cominciò a rendersi conto che nel corpo dell’ignaro Re (il pubblico) stavano cominciando a circolare, a piccole dosi, le gocce di veleno che Francesco, come aveva previsto nella canzone, iniettava. Il seguito della storia è noto a tutti.

Dunque, prima di uscire e indicando con la mano il pubblico che aspettava fuori, gli dissi: “Francesco, il corpo del Re, adesso, è completamente intriso delle gocce del tuo veleno”. Pablo, ridendo, disse: “Francesco, sta cosa qui non l’ho capita nemmeno io....”. De Gregori, voltandosi verso di me, facendo mente locale mi guardò sorpreso come per dire “o è il caldo o è diventato matto”; poi io continuai “….Lo Cascio”. Masticando ancora dell’uva, annuì ed approvò la cosa alzando verso di me l’indice della sua mano come a confermare “ah già, ….vero”.

Alla fine io e il “fantastico” Pablo, felici per la riuscita dell’incontro e consacrandoci per sempre “cugini di sangue”, ci salutammo. Ascoltai un po' il concerto e alla fine tornai a casa distrutto, ma felice come un fan scatenato di quindici anni che ritorna soddisfatto da un concerto degli U2. Un giorno difficile da dimenticare.

Adesso, dopo aver letto questo breve reportage, si potrà pensare: “Ma possibile che a 40 anni si comporti ancora come un ragazzino fanatico?” Io penso, invece, che è una cosa bellissima, perché è giusto che in ognuno di noi, in questo mondo senza più ideali, anche a 40 anni rimanga un po’ di quel bambino che abbiamo lasciato tanti anni fa nella nostra infanzia (compresi miti e passioni che possono essere cantanti, collezioni, poeti, hobby, ecc.) e che ci illudiamo di nascondere dietro i nostri ombrosi problemi quotidiani della nostra età adulta. Quel pizzico di infantile euforia (o quel diavoletto, quel folletto...) come quella balzata fuori in questa o in tutte le occasioni goliardiche di ogni uomo, aiuta certamente a rimanere giovani, a divenire adulti di 20 anni anzichè ragazzi di 60 anni; basta avere il coraggio di evocare quello spiritello e si blocca la propria anima all’età della giovinezza. Diciamo che tutto questo fa bene alla salute.

Quel bambino, come per incanto, assumerà le sembianze di un austero funzionario statale ritornando in me ogni qualvolta De Gregori sarà nelle vicinanze della mia città, ma d’ora in poi lo ascolterà con tranquillità (sempre in prima fila però), senza ansie, senza quelle tentazioni di fare la posta davanti ai teatri. E quando vedrà affiggere i prossimi manifesti sui muri, il Peter Pan che in futuro si impossesserà del mio cuore non sarà più assalito da antiche frenesie, perché ha finalmente raggiunto la sua “Isola che non c’è”: è stato, anche soltanto per cinque minuti, un amico di Francesco De Gregori.

Mimmo Rapisarda

(TO: RMS TITANIC - FROM: FREEWEB.ORG/MUSICA/DEGREGORI DI ANTONIO CALVANI)

 

 

TAORMINA (ME) - TEATRO GRECO – 10 AGOSTO 2002

IN TOUR CON MANNOIA, DANIELE E RON. Andare a Taormina di sabato sera è già un problema; andare poi a vedere un concerto nel suo Teatro Greco in questi giorni della settimana diventa un’impresa ardua.

Anche partendo con largo anticipo da Catania il casello della nota località produceva una coda di tre chilometri e le auto in uscita dal casello erano già in salita pellegrina in direzione del grande parcheggio, peraltro già pieno, come comunicatoci via cellulare.

E’ già tardi. Insieme a moglie e amici prendiamo una geniale decisione: all’uscita dal casello scendiamo a Giardini Naxos e saliamo a Taormina con la funivia, nonostante il sottoscritto soffra di vertigini (Francesco, anche questo per te). E’ stato l’unico modo per arrivare in tempo al concerto. A quel punto altri possibili stratagemmi erano il possesso di un elicottero, il dono divino di saper volare, la residenza a Taormina o …. chiamarsi Berlusconi.

Entro e mi accomodo al mio posto (naturalmente Poltronissima). Il Teatro alle 21.30 è già stracolmo. Una marea umana faceva da collana a quel diamante che è il teatro antico, con il suo palco circondato da resti di colonne doriche e con le quinte squarciate al centro dello stesso in modo da spalancare in platea un panorama notturno mozzafiato. Uno spettacolo nello spettacolo. Al centro di quel diamante stavano per essere incastonati quattro smeraldi: De Gregori, Daniele, Ron e Mannoia. Un collier unico al mondo.

Allle 21.45, eccoli arrivare finalmente: La Roscia, il Lungo, il Corto e il Pacioccone. Daniele, Ron e Fiorella salutano il pubblico..  poi a seguire, come lo chiamano i suoi colleghi, arriva il Generale. Con un cenno della mano che vuol dire “salve a tutti” entra in scena con una bandana rossa in testa (stile Dylan a Woodstock) da farlo sembrare un pirata appena sbarcato sulle coste joniche. Anzi, per via della sua barba rosso-scozzese: il pirata “Francis Mc Gregor alla conquista della Trinacria”.

Cominciano subito insieme con “Una città per cantare”, “Quando”, “Alice”, “I treni a vapore” dove Ciccio saluta a modo suo il popolo siciliano modificando la strofa “delle città importanti mi ricordo Milano” con “delle città importanti mi ricordo Maalaanu” con un tipico accento siculo. Risata generale.

Dopo l’inizio insieme si è andati avanti senza Francesco con Pino Daniele che diceva “approffittiamo per fare questo pezzo, ora che il Generale e il suo sigaro non ci sono” e poi, senza sosta, con quattro piccoli concerti personali integrati da fugaci interventi di ogni artista con le rispettive band (quella di Ciccio era al gran completo, compreso Lucio Bardi) che suonavano a turno o tutti insieme per Pino, per Fiorella o per Ron. Era strano vedere Guglielminetti suonare il basso e cantare “Sei volata via” o Piero Fabrizi suonare la Telecaster di Ciccio. Insomma, grande armonia e collaborazione delle band per ottenere un ottimo risultato finale.

Pino Daniele indossava pantaloni e maglietta blu sulla quale mancava solo la scritta Texaco. Per via dei capelli bianchi, della sua mole, dei baffi e della sua carnagione ha ormai assunto l’aspetto di un attempato meccanico messicano di stanza in una stazione di servizio sulla Route 66, nei pressi dell’Arizona. Quando suonava quella sua strana chitarra sembrava stesse valutando con perizia la sorte della testata di una vecchia Ford Mustang ormai da rottamare nel deserto del New Mexico. Comunque grande Pino! con le sue “Sara”, “Napule” cantata con Ciccio, “Je so pazzo” ed altre di cui non conosco il titolo ha mandato in estasi la sua fetta di pubblico.

E’ il turno di Fiorella (vista da vicino è veramente una bella donna irlandese, degna della canzone scrittale da Bubola). Canta, sorride e si muove con disinvoltura agitando la chioma rossa che ogni tanto svolazzava sugli occhi verdi che guardavano sempre in alto, fino all’ultima fila. Durante “Quello che le donne non dicono”, “L’amore con l’amore si paga”, “Non sono un cantautore”, “O che sarà”, “Il cielo d’Irlanda”, “Sally” è perfettamente accompagnata da Fabrizi e stuzzicata da fugaci interventi del Pirata Barbarossa che gioca a fare il galante con lei: il baciamano, l’offerta della rosa rossa, l’abbraccio dopo “La storia”.

Devo dire che secondo le precedenti recensioni che ho letto in rete ho capito che la scaletta del concerto è quasi sempre la stessa, così come le battute di spirito e questi atteggiamenti “spontanei”. Quindi i quattro, come attori consumati, recitano ogni sera la stessa parte di un copione già scritto, con un ruolo ben definito per ciascuno di loro.

E’ la volta di Ron, secondo me il vero leader del gruppo per la sua abilità nel trascinare virtualmente il pubblico sul palco: incita, invita a cantare i ritornelli delle sue canzoni e si muove con una gestualità teatrale che coinvolge tutti gli astanti. E’ stato l’unico a far da portavoce del gruppo spiegando le ragioni che li hanno spinti alla realizzazione di questo tour, sottolineando che un esperimento del genere lo proietta anche davanti a un pubblico non suo che deve, per forza di cose, sentire e conoscere anche le sue canzoni.

I suoi pezzi: “Cambio stagione”, “Non abbiam bisogno di parole”, “Sei volata via”, “Canzone triste, “Vorrei incontrarti fra cent’anni”, “Joe Temerario” e “Piazza grande” cantanta con gli altri.

Ora sicuramente vorrete sapere di Ciccio. Diciamo che è sempre lo stesso. Da un po’ di tempo si diverte con pezzi roccheggianti come Sangue su sangue e la nuova Niente da capire, suonando la chitarra a gambe unite e con una tracolla che gli arriva troppo in basso, facendolo appena curvare come un elegante fenicottero. Poi credo che quasi quasi ci provi gusto a stravolgere le sue canzoni spiazzando anche la band, perché entra improvvisamente con la voce quando non è l’ora.

Sa che la gente vuole i classici. E via con Pablo, Generale, Rimmel e Buonanotte fiorellino cantata dando uno sguardo alla platea ed uno a un barrè metallico che non voleva saperne di collocarsi nel capotasto della sua chitarra. Comunque è sempre un grande. Vedrei un suo concerto anche se cantasse le canzoni dello Zecchino d’Oro.

Alla fine i bis finali (anche questi come da copione): “Je so pazzo” e “Viva l’Italia”. Ma durante l’ultimo bis, Bufalo Bill cantata in quattro, era veramente bello vederli cantare e suonare tutti insieme davanti a quel mare di mani che si agitavano, sotto stelle cadenti che si curvavano nel blu della notte per finire la loro corsa proprio su altre quattro stelle che brillavano in questa speciale notte di San Lorenzo.

Il concerto è finito alle 0.45. Siamo tutti soddisfatti. Questo tour resterà nella storia e un giorno in molti potremo dire “io c’ero”.

All’uscita dal teatro, senza dirlo a nessuno, vengo preso dalla voglia di andare a salutare Francesco, consapevole di dover affrontare il servizio d’ordine ma poi faccio rientrare i miei propositi pensando che mia moglie, stavolta, avrebbe preso in seria considerazione la richiesta di divorzio. Povera donna… ormai rassegnata ad essere il mio grande amore….dopo Francesco De Gregori.

Mimmo Rapisarda

(TO: RMS TITANIC - FROM: FORUM RIMMEL CLUB)

 

 

CATANIA - ANFITEATRO LE CIMINIERE - 12 AGOSTO 2001

CONCERTO IN UN POSTO SCOMODO - In attesa del prossimo concerto a Catania vi voglio raccontare cosa mi è capitato l’anno scorso in occasione dell’ultima volta che De Gregori è stato da noi, il 12 agosto del 2001.

Il suo recital era inserito nella rassegna “Le ciminiere e le stelle”, chiamata così perché svolta nell’anfiteatro dell’Ente Fiera, un grande spazio espositivo ricavato dall’antica raffineria catanese. La zona ora è moderna, le ciminiere le hanno però lasciate per abbellimento, ma quell’anfiteatro è tuttora un orribile posto per concerti di questa portata, sia per la limitata capienza (appena mille posti) sia per la pessima disposizione delle due tribunette e la prova del nove è stata proprio il concerto di Francesco. Allettati dal costo del biglietto di appena 10.000 lire i catanesi hanno fatto subito scorpaciate di biglietti  quindi il luogo risultò insufficiente. Di conseguenza la vigilia del concerto diventò un inferno, un vero tormentone dell’estate, con tante critiche pubblicate a mezzo stampa, fra le quali una mia che finiva così: “Mai come quest’anno i giovani catanesi hanno apprezzato la rassegna “Le Ciminiere e le stelle”. Proprio nella notte di San Lorenzo, seduti alle quattro del mattino sul freddo marciapiede antistante la biglietteria, col naso all’insù scrutando il cielo fra le vecchie ciminiere di Viale Africa, hanno aspettato pazientemente una stella cadente che potesse realizzare il loro desiderio: la conquista del tanto agognato biglietto al primo raggio di sole del nuovo giorno.” Io ho dovuto ottenere il biglietto con uno stile tutto all’italiana (avrete immaginato come).

Il 12 agosto, siccome non c’erano posti prenotati, mi sono presentato all’ingresso alle 18 (3 ore prima!!!). Mi sono seduto sui gradini con alcuni ragazzi più pazzi di me, attrezzatissimi ed abituati a bivaccare davanti agli ingressi dei teatri per conquistare le prime file. Per loro tutto questo faceva parte del gioco, era quasi un piacere che li faceva divertire; avevano di tutto: cuscini, tè ghiacciato, fumo, carte da gioco, libri, panini, brioches, patatine, noccioline e….(chissà perché) tappi per le orecchie.

Alle 19 ci siamo alzati e siamo stati due ore in piedi, in attesa che aprissero i cancelli. Nel frattempo quei ragazzi, con cellulare alla mano, riuscivano ad organizzare una vacanza in campeggio per venti persone in meno di dieci minuti! Beata gioventù!

Davanti ai cancelli altri giovani facevano un gran casino per ognuno che vedevano passare davanti alla loro pole-position. Fra gli altri, passano anche due signori: uno magro, pallido in viso e l’altro più robusto, stempiato, con gli occhiali scuri e accompagnato da una donna. Allora, dalla testa di un pitone prevenuto e inviperito, partiva di tutto: “Vergogna! Noi siamo qui da due ore e avete anche la sfacciataggine di far sfilare i raccomandati”, “Chi sono adesso questi due?, “Dov’è il servizio d’ordine?”, “Va bè che quello è cieco, ma noi poi dove ci sediamo?”.

Si sono calmati quando ho detto loro che quei due erano erano Gregg Cohen e Toto Torquati! E che se non passavano il concerto non poteva cominciare!!!

Comunque, appena entrato (con repentini movimenti degni di “Giochi senza frontiere”) ho conquistato una sedia della seconda fila. Prima dell’inizio intravedo la signora Chicca Gobbi che parlava con due signori del pubblico. Al centro del palco ancora con le luci spente, mentre dava le ultime disposizioni prima dell’inizio, c’era Filippo Bruni. Sempre più ossigenato e sempre più somigliante a Mario Merola.

Alle 21.30, finalmente, in quell’angusto luogo dove l’artista deve cantare faccia al muro e guardare il pubblico una volta a sinistra e una volta a destra (par condicio forzata), entra la band con Francesco. Credo che la foto di copertina di “Fuoco amico” sia stata scattata proprio lì. Con berretto a visiera, occhiali, polo blu e barba molto lunga, senza salutare, attacca: (p.s.: non voglio vantare una formidabile memoria; i titoli delle canzoni li avevo già trascritti allora) Bambini venite parvulos (in rock) L’aggettivo mitico (molta batteria, mettendo sotto tono quegli accordi portanti della canzone e sminuendo il basso, molto importante nel pezzo. Se in questa canzone fai sentire meno importante il basso non c’è più niente)  Spaad….(uguale al disco). A questo punto ci ha detto “Grazie”, poi:

Canzone per l’estate (uguale al disco) Alice (un po’ troppo roccheggiante) Un guanto (idem come sopra) Il cuoco di Salò (uguale al disco) Vecchi amici (uguale al disco) Cercando un altro Egitto (ottima, l’ha fatta come nel disco live “Musica leggera”, ma senza sax) Buonanotte fiorellino (versione molto bella, il tempo del walzer era accentuato dal mandolino di Rosini) Bufalo Bill (a modo suo, con una svogliata pennata alla chitarra) I muscoli del capitano (ha cambiato in peggio tutta la prima parte, stravolgendo anche gli accordi) Sangue su sangue (e dopo, naturalmente, Sangue su sangue) La valigia dell’attore (L’ha cantata bene, mimando un po’ le gesta di un attore davanti alla platea. Era accompagnato al piano da Arianti (ma quanti anni ha?) Condannato a morte (uguale al disco) Compagni di viaggio (troppa batteria) La donna cannone Povero me (uguale al disco) Stella della strada (L’ha fatta nella versione che preferisco: come nel live “Bootleg”.) Tutto questo per due ore, senza sosta. Alla fine ha detto “Grazie, grazie veramente. Buonanotte” .

Dopo i soliti “Fuori!”, eccolo di nuovo per i bis. I fans si radunano in piedi a due metri da lui, su sua mimica richiesta fatta con un cenno con la mano:

Generale (da solo con la chitarra) Chi ruba nei supermercati? (molto coinvolgente, col Maestro che incitava i ragazzi a cantare e ballare a pochi passi da lui)

Battere e levare (suonata in rap e finale con armonica). Fine.

Troppo rumore, troppa batteria e certe volte non si distingueva nemmeno la voce fra i suoni degli strumenti. Invece la voce di Francesco, come il vino, più invecchia e più diventa calda e tonante. L’indomani, però, ho avvertito un senso di oppressione e un sibilo continuo all’orecchio sinistro. Vado al pronto soccorso e dopo un esame audiometrico mi ricoverano con urgenza al reparto Otorino per un’improvvisa ipoacusia (trauma uditivo), causato dalla vicinanza agli altoparlanti e dalle frequenze mal tagliate dal fonico. Ecco perché quei ragazzi della prima fila erano forniti di tappi!.

Dopo tre giorni di ricovero ospedaliero con una terapia a base di flebo, al momento delle dimissioni il medico mi chiese se stavo meglio. Gli risposi di sì aggiungendo che l’unico aspetto negativo era quello di perdere per sempre, da lì a poco, quel naturale LA maggiore incorporato nel mio orecchio sinistro che mi avrebbe consentito di accordare la mia chitarra. Il medico, senza capire la battuta di spirito, mi guardò perplesso e si tuffò immediatamente nella mia cartella clinica controllando se per caso avevano dimenticato di precrivermi una visita alla Neuro.

Oh…però a casa il controllo l’ho fatto davvero: era, invece, un MI maggiore (cantino) molto tenue.

Mimmo Rapisarda

(TO: RMS TITANIC - FROM: FORUM RIMMEL CLUB)

   

 

CATANIA, TEATRO METROPOLITAN -  29 OTTOBRE 2002

BATTICUORE NEL POMERIGGIO - Davvero brillanti le recensioni tecniche del webmaster Daniele di Grazia e quella di Salvo da Ragusa. E ora di che parlo, degli stivaletti di Guglielminetti? Andiamo a incominciare con la cronaca delle emozioni.

Attendere Francesco ti attanaglia quasi sempre le gambe perché la sua presenza suscita sempre una certa trepidazione ma alle 18 di ieri ci ha attanagliato le gambe anche un’altra cosa: un “movimento ondulatorio” che dopo ti fa sentire come quando scendi dalle montagne russe. Ma noi attendiamo lo stesso, anche con la testa svuotata. Dunque, quante volte avete sentito in televisione o alla radio un personaggio, anche famoso, che prima di cominciare a parlare col Principe dice di essere emozionato perchè se lo vede davanti? E’ vero.

Il momento atteso arriva. Alle 18.30 vediamo arrivare il Maestro che, con portamento regale e con un passo alla “Corto Maltese”, si avvicina verso di noi e si accinge ad andare in auto con Filippo Bruni. Ha un nuovo look: barba accorciata, capelli con un nuovo taglio più corto e una forma davvero smagliante.

Con coraggio gli vado incontro, mi presento, lo saluto e gli chiedo come sta. Lui, stringendomi la mano, mi saluta sorpreso e mi dice “Mimmo! …Ciao, come stai?”. Cambiando subito il suo itinerario (e dopo aver tranquillizzato Bruni) ci invita a prendere qualcosa al bar. Devo dire che, da buon mastino, Filippo sa fare bene il suo mestiere perché poi ci ha confessato di essersi già accorto di noi prima dell’incontro. Caffè per noi e un bicchiere d’acqua per Ciccio.

“L’avete sentita la scossa?”. E qui comincia il colloquio con Francesco, abilissimo nel metterci subito a nostro agio. Abbiamo parlato della limpidezza e della discrezione del nostro sito, della decadenza del vecchio forum della Sony e di Fascio, dei prossimi CD con Giovanna Marini e con i Superquattro, di Otello Diotaiuti, del mio racconto con lui ad Adrano, del viaggio Coast to Coast proposto dal sottoscritto nel forum, di quanto mi volete bene e di tante altre cose. Un consiglio per tutti: se lo incontrate non gli rompete le palle con domande tipo “che significa quella canzone?”, “a chi era dedicata?”, “la tua produzione musicale in quale contesto politico si colloca?”, “che relazione c’era fra le tue canzoni e l’Italia degli anni di piombo?”, oppure l’inevitabile “ma chi era veramente Pablo?”!!!

Smettiamola. Non lo fate scervellare a scovare chissà quale risposta per accontentare colui che vuole fare la bella figura da intellettuale formulandogli domande alla Marzullo. Fatelo divertire invece, fatello rilassare, fatelo ridere. Penso che quando è con un suo ammiratore preferisca di più parlare di un vecchio film di Totò che di altre rotture di scatole.

Si è divertito quando gli ho ricordato del concerto del ’76 a Catania, quello riportato nel forum, quello di “Alice guarda i gatti e i gatti che se magnano i topi”. Anzi, mi ha corretto precisando che quel concerto doveva essere del 1975 e non del 1976. (ma era del76).

Dopo aver autografato la cartolina del sito ha inviato un saluto, tramite noi, a tutti i forumisti del Rimmel Club aggiungendo di essere contento che i suoi ammiratori dimostrino tanto affetto nei suoi confronti.

Poi abbiamo parlato delle sue chitarre. E quando due suonatori di chitarra parlano di chitarre è come se parlassero di belle donne, di curve flessuose, di fedeltà negli anni, di corde che sembrano capelli neri, dell’importanza del tocco quando le fai vibrare, ecc.. Alla fine ho vuotato il sacco spifferandogli i nomi delle sue amanti: Martin D41, e Francesco annuisce; Martin D45, e Francesco annuisce; Aria Elecord AE100, e Francesco annuisce; Takamine EG560, e Francesco: “Quella non ce l’ho più”; Gibson L7-C, e Francesco annuisce; Ovation Legend 1617, e Francesco annuisce; Fender Stratocaster, e Francesco annuisce; Fender Telecaster, e Francesco annuisce; Mantra del liutaio Bonora di Milano, e Francesco: “Ma come cazzo fai?”

Poi, sorridendo: “Eh..Mimmo… ma una l’hai dimenticata: stasera suono con la Taylor!”

Poi usciamo fuori tutti e quattro. Parliamo ancora con lui e quando stavo per dirgli “Francesco, svegliami” arriva Filippo Bruni con l’auto. Ci accorgiamo che Francesco, invece, si attarda; forse vuole continuare a stare con noi, quasi dispiaciuto per non averci incontrati prima. Comunque li salutiamo e voltiamo loro le spalle, già pienamente appagati.

All’improvviso sentiamo una voce: “Dai, venite al soundcheck. Fate strada voi?” Con Daniele ci guardiamo negli occhi come due rincoglioniti. Un’occasione da non perdere, quando ricapiterà mai? Dando disposizioni a Bruni, ci dà appuntamento all’ingresso del Teatro.

Corro a casa per darmi una pulita e cambiarmi, nell'androne incontro mia moglie che esce dall'ascensore che mi dice "dove stai andando così di fretta?". Quando le rispondo "mi aspetta De Gregori in teatro!"  mi guarda e alza egli occhi al cielo come per dire "va bè, è completamente pazzo!".

Fra la polvere nera che si sollevava per le strade di Catania per via dell'eruzione, in prossimità del teatro compio in dieci minuti tutte le infrazioni del codice stradale occorrenti per conquistare il ritiro della patente. Daniele arriva prima di me ed entra trionfalmente in teatro abbracciato da Francesco mentre io arrivo subito dopo. All’ingresso non mi fanno entrare e così, forte di un’autorizzazione principesca, faccio chiamare Bruni. Ora ditemi voi, chi è quel fan di De Gregori che trovandosi faccia a faccia con l’Orco cattivo Filippo viene invitato ed accompagnato da questi in sala durante le prove?

Entro nel grande teatro buio e vuoto. Soltanto il palco è illuminato dalle luci e dalla figura longilinea di Francesco che suona con la band. Mi avvicino, arrivo in prima fila accanto a Daniele che era già lì in semicoma e appena mi siedo accanto vedo che, mentre canta la Casa di Hilde, il Generale si accorge di me e mi fa un cenno col saluto militare! Il Generale che saluta il soldato! Senza parole!!!

Con Daniele, felicissimi di essere entrati nelle stanze di un indimenticabile pomeriggio, guardavamo dietro di noi tutte le poltrone rosse vuote e ci sembrava di sognare. Ascoltando le canzoni i nostri discorsi erano soltanto “dammelo tu… no, dammelo tu…” (che cosa? il pizzicotto per svegliarci a vicenda!). Ha provato: L'abbigliamento di un fuochista, Baci da Pompei, Signor Hood, I muscoli del capitano, Caldo e scuro, Cercando un altro Egitto, Bufalo Bill, La casa di Hilde.

Ricordate di quanto ho scritto che 26 anni fa mi ero mangiato il velluto della poltrona che avevo davanti per l’occasione perduta? Ebbene, ieri sera quella poltrona non c’era più, anzi non c‘era proprio niente, solo un palco a un metro di distanza e una leggenda vivente che sembrava cantasse solo per noi. Le persone normali tutto questo non lo potranno capire mai, ma proponete una cosa del genere a un degregoriano e poi vedete cosa succede.

Alla fine delle prove ci risaluta e andiamo a staccare i nostri biglietti. Dopo, in sala, ci conosciamo per la prima volta con i simpatici forumisti Mauro, Francesco e lo storico Salvo da Ragusa del forum Sony. E’ stato bello ritrovarci lì, con mogli e fidanzate che alzavano gli occhi al cielo sospirando, coscienti di vivere accanto ad eterni bambinoni che non hanno ancora deciso di crescere (e meno male!!).

Il concerto è già stato descritto in modo magistrale da Salvo. Questa la scaletta (in ordine alfabetico): Alice, Battere e levare, Bufalo Bill, Buonanotte fiorellino, Caldo e scuro, Cercando un altro Egitto, Chi ruba nei supermercati?, Compagni di viaggio, Condannato a morte, Dr. Dobermann, Generale, Il bandito e il campione, I muscoli del capitano, I shall be release di Dylan con testo suo, La casa di Hilde, La donna cannone, L’attentato a Togliatti, Niente da capire, Pentatlon, Pezzi di vetro, Rimmel, Signor Hood, Viva l'Italia. Stupenda la versione della Donna cannone fatta da solo con la chitarra e sempre coinvolgenti “Chi ruba nei supermercati?” e “Cercando un altro Egitto”. Via via tutte le altre.

Ora vi voglio dire (no, mio padre non è un guardiano di mucche) che da ieri in me è cambiato qualcosa e sono certo che Francesco, se mi legge, condividerà. Sì, lo avevo visto cinque anni fa, ma continuavo ad immaginarlo sempre come un mito. Rivedendolo ieri, questo mito è caduto (ma come, Mimmo, che dici?) ma non in senso negativo per una delusione ma in senso positivo per una conquistata familiarità col personaggio che ho ammirato da sempre. Quando stavolta ho parlato a lungo con lui e al bar mi ha chiesto “che prendi, Mimmo?” detto come te lo dice ogni mattina il tuo collega d’ufficio, mi sono accorto che l’emozione in me cominciava stranamente a svanire per lasciare il posto alla consapevolezza di trovarmi davanti ad una persona normale, fatta di carne ed ossa e non di spirito; il sapere di essere stato riconosciuto da lui (perché anche lui, come tutti gli uomini, è curioso) ha stravolto tutti quei miei convincimenti sulla sua presunta superbia e scontrosità, peraltro costruita dalla stampa; il sentirmi quasi invitare ad entrare con lui in auto per andare al Teatro ha fatto crollare nella mia mente tutte le immagini fatte di fotografie, di carta stampata, di recensioni, di chicche, di libri, di riviste.

Chi ha letto il mio racconto sul vecchio sito di Calvani sa che concludo dicendo di aver raggiunto la mia “Isola che non c’è” perché ero stato, anche soltanto per cinque minuti, un amico di Francesco De Gregori. Sapendo che ieri sera quei cinque minuti erano aumentati di parecchio, tornando a casa ho guardato tutti i miei “altarini” su Francesco ed ho pensato “ma si possono mai costruire degli altarini dedicati a un amico?” e stavo quasi per toglierli di mezzo.

C’è da crederci? Tanto, ormai, non mi crederà più nessuno. Specialmente voi. Ciao a tutti. Alla prossima.

Mimmo Rapisarda

(TO: RMS TITANIC - FROM: FORUM RIMMEL CLUB)

 

ZAFFERANA (CT), ANFITEATRO - 2 AGOSTO 2003

DE GREGORI DAY - Tocca a me. Sono sicuro che oltre alle recensioni tecniche (già descritte) siete in attesa di sapere…. altre cosine. Andiamo!

Il 2 agosto il tempo è canaglia. Nel pomeriggio un temporale rischia di rovinare tutto. Ma possibile che dopo due mesi di Tropico mi sono dovuto ridurre a guardare le previsioni del tempo, in piena estate? Quando venni a conoscenza della data mi sentivo già in una roccaforte, era una data che mi metteva al sicuro da qualsiasi capriccio del meteo estivo, e invece….

La quiete dopo la tempesta. Mi chiama Daniele e dopo un rocambolesco appuntamento mi scaravento lì, accanto al mio idolo, salutandolo con baci e abbracci. Ancora adesso e nonostante mi conosca già, quando me lo vedo davanti vengo bloccato dall’emozione e mi comporto con lui come un fan di Baglioni. Sarà la sua altezza, il carisma, la sua acutezza, ma in queste occasioni non mi preparo mai i compiti a casa e rischio, come al solito, di dire stupidaggini e cazzate che mi fanno apparire per quello che non sono.

Dopo i saluti gli ho detto “Francesco, qui mi ci vuole un tranquilante” e lui, ridendo sottovoce alle mie orecchie: “Vaffanculo… ormai siamo amici, no?” facendomi intendere di trattarlo non come un mito ma come il chitarrista che dialoga col capobanda, facendomi capire che lui (una volta per tutte!) è un “ragazzo” come me!  Ma che ci posso fare? E’ più forte di me. Ma stavolta lui c’è riuscito, stavolta mi sono tranquillizzato ed ho parlato con lui in maniera diversa, è stato come se lo conoscessi da tempo, come averci fatto l’asilo assieme.

Abbiamo parlato del sito e ci ha detto che gli piace perché è carico d’affetto nei suoi confronti, che finora ha trovato delle persone squisite ed educate ricordando, fra le altre, la dolce Pippina. Quando gli ho parlato di Adriano, la nostra mascotte, aggiungendo che a 4 anni canta dalla mattina alla sera le sue canzoni, mi ha detto “Poveretto, lo state già a rovinà!”.

Nel pomeriggio, con Daniele Di Grazia andammo a salutarlo in albergo. Dopo il caffè, il Capo chiede un foglietto a Filippo Bruni, disegna un triangolo che secondo lui era la Sicilia e ci disse “Ragazzi, domani  devo suonare a S. Margherita Belice e l’indomani devo arrivare al porto di Milazzo dove mi attendono su una barca per trascorrere una settimana alle Eolie con mia moglie. Mi raccomando, non deve saperlo nessuno. Ecco, io domani sarò qua (e indica un puntino a Sud) e poi devo arrivare qui (altro puntino, a Nord sul Tirreno). Sapreste dirmi quale sarebbe il percorso più veloce da S. Margherita Belice fino a Milazzo?

Io e Daniele ci guardammo in faccia, non avevamo bisogno di mappe per rispondergli perché sapevamo benissimo che da puntino a puntino per lui sarebbe stato un incubo.

In quel nostro momento di panico fu dura a dirgli, con gran vergogna, che per evitare di perdersi fra le aree depresse siciliane aveva tre alternative: 1) ritornare indietro  a Palermo, perchè tagliare la Sicilia da Sud a Nord sarebbe stato un inferno 2) perdersi per strade rimaste così fin dallo sbarco di George Patton nel 1943; 3) imboccare la statale ed arrivare fino ad Agrigento, risalire con strade più comode fino a Enna e poi proseguire per la A19 e la A20. Le nostre facce erano a terra per quella ammissione.

Da buoni siciliani, ovviamente non dicemmo nulla di quella sua vacanza nemmeno alle nostre mogli, anche se dopo qualche giorno Sorrisi e Canzoni pubblicò le foto di Francesco con la compianta Chicca a spasso per le strade di Panarea. Meglio della CIA, cazzarola!

Quando nel 2015 fu interrotta la Catania - Palermo, De Gregori dichiarò a La Repubblica “Autostrada spezzata? Meglio, così vedo più Sicilia!”Leggendo quell'articolo, col senno di poi forse avremmo dovuto indirizzarlo davvero in quei meandri siculi, augurargli “buon viaggio”, farlo entrare nel cuore dell’Isola e fargli ammirare le Madonie, i Nebrodi, fino all’arrivo a Milazzo (forse).

Come ha già detto Di Grazia, ci invita alle prove. Arriviamo a Zafferana poco prima di lui dove all’ingresso del parco comunale ci sono già tante persone in fila. In quel momento incontriamo Luca, che si trova al posto giusto nel momento giusto. Ci avviamo all’ingresso secondario. Inizialmente non ci fanno entrare ma dopo cinque minuti arriva l’autovettura con il Nostro a bordo e si ferma un attimo all’ingresso a parlottare. Subito dopo vediamo un uomo della sicurezza che con un cenno della mano ci dice di avvicinarci e ci chiede “Di Grazia e Rapisarda?”. Siiii!! Acchiappo Luca al volo e me lo trascino alle prove, all’interno dell’anfiteatro.

Francesco prova, prova, prova. Alla fine consegna la sua Taylor e ……. che fa? Si avvicina a noi scambiando qualche parola e salutandoci ancora una volta. Questa non me l’aspettavo! E’ stato un gesto di estrema signorilità e gentilezza, una forma di riguardo straordinaria; ma non per il Rimmel Club (che poi, in fondo, anche se ormai riconosciuto dall’artista, è pur sempre un sito multimediale di suoi ammiratori) ma per la gente in generale. Francesco ha un profondo rispetto per la gente ed io sono rimasto molto colpito da questo nobile atto, fatto con stile e immensa educazione. Il grande De Gregori, quello che ha scritto Alice, Rimmel, La donna cannone, finisce le prove e prima di andare in camerino non si dimentica di salutare tre suoi fans. Anche se più conosciuti degli altri, ma sempre semplici fans. Ormai da tempo, quando leggo qualcosa sulla sua presunta scontrosità volto sempre pagina, non ci credo più. In vita mia ho avuto la fortuna di incontrarlo più volte ed ogni volta è stato con me di una cordialità indescrivibile. Da lui ti devi aspettare le cose più semplici della vita, perché è questo che vuole. Lo puoi incontrare mentre scherza con i vecchietti seduti sulle panchine, mentre allaccia le scarpe a un bambino o mentre bacia le mani al suo batterista dopo i bis. E’ un uomo di grande generosità ed umiltà, doti che nasconde sotto quell’alone di timidezza che lo fa sembrare superbo. La sua grandezza d’animo non la conoscono in molti: sarebbe capace di approntarsi a trovare qualsiasi escamotage pur di aiutare gli amici in difficoltà.

De Gregori, anche se ancora qualcuno si ostini a pensarla diversamente, è una persona per bene, è una brava persona, un signore! Lo dico sinceramente, senza alcuna forma di ruffianeria. E stavolta non lo dico da fan, ma da semplice uomo della strada.

L’anfiteatro si riempie. Conosco finalmente Elena. Una donna meravigliosa, esplosiva, intelligentissima, raggiante, solare, mediterranea. E’ una donna che da poche parole è in grado di analizzare qualsiasi cosa; quando ti ascolta è come se leggesse un libro tutto d’un fiato e in pochi minuti ti dice la fine, se il libro è da buttare o no (nonostante le difficoltà della lingua). Leghiamo subito nelle nostre discussioni, ci sediamo in prima fila e ci godiamo il concerto.

La scaletta è quasi simile a quella di Vittoria ma rispetto a Vittoria quello di Zafferana è stato un concerto più teatrale, più silenzioso, col solito spettatore che chiede a Francesco di parlare e di fare discorsi. “Ahooo! (come diciamo a Roma), basta con questa storia dei discorsi, i discorsi li faccio già nelle mie canzoni!” è stata l’unica cosa che ha detto. Grandiose le sue interpretazioni della Donna cannone e del Signor Hood. Quando ha cantato Pezzi di vetro ha fatto uscire perfino le stelle dal cielo pumbleo dell’Etna. Grande.

(TO: RMS TITANIC - FROM: FORUM RIMMEL CLUB)

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nell'ultima foto, il Nostromo viene cancellato dall'unico fotogramma risultato bruciato nel rullino di Di Grazia (scatto di Filippo Bruni)

 

 

VITTORIA (RG), FIERA EMAIA - 3 AGOSTO 2003

LA WOODSTOCK DEGREGORIANA - L’indomani, 3 agosto, conosco il giovane e tenero Frank, un ragazzo dotato di una memoria degregoriana impressionante. Sarebbe capace di ricordarsi la scaletta di qualsiasi concerto….. dimenticavo: è anche un ghiro da competizione! Il tempo di fare gli auguri a Zia Pippy da casa mia e poi via in partenza per Vittoria: il sottoscritto, Daniele, Elena e Frank (quattro pazzi per strada!). Era pure la prima volta che andavo in trasferta.

Vi rivelo una cosa. Desideravo da tempo farmi due ore di macchina ascoltando ad alto volume le canzoni del Ciccio senza che nessuno potesse dirmi “adesso cambia disco”. Desiderio esaudito: avevo a bordo dei degregoriani DOC e questo non potevano mai chiedermelo. Due ore “on the road” con un CD pieno di canzoni di Ciccio fra le colline ragusane, le nuvole minacciose che ci scrutavano dall’alto come aquile, bivi stradali saltati per la distrazione e un paio di infrazioni tali da farmi retrocedere nella serie C dei patentati.

A Marina di Ragusa arriviamo a casa di Salvo dove finalmente conosco Marcello. Marcello è una giornata di agosto nel mese di novembre, una Dyane 2 cavalli in una concessionaria di auto di lusso, un girasole in un campo di crisantemi, un piattone di patatine fritte in un menù vegetariano, la luce dopo un black-out, un film di Alberto Sordi in una rassegna impegnata. E’ una forza della natura. E spero che quel bambino che c’è in lui (e anche in me) continui ad esistere, perché è la valvola di sfogo che serve a non farci morire.  

Dopo la passeggiata a Marina di Ragusa ci avviamo a Vittoria, agli spazi Emaia. Lì incontriamo Alessandro, Roswhita, Giovanni Puma, Luca e tanti altri.

Appena inizia il concerto sventoliamo l’ormai famoso striscione e Ciccio, appena lo vede, fra le sue risate e quelle di Giovenchi, ci fa un cenno di saluto con la mano. Tre ore in piedi, ad accompagnare in coro Francesco. Alla fine l’ultimo accordo è dedicato, col manico della chitarra rivolto verso di noi, al nostro striscione. Il concerto era diventato solo un pretesto per vederci tutti insieme, sono arrivati da tutte le parti. Vittoria è stata la nostra Woodstock, un raduno di soci che rimarrà nella storia del sito. Quella foto fatta tutti insieme con i musicisti vale molto di più di una foto con Francesco fatta soltanto per cortesia dell’artista (e sono sicuro che se lui legge sarà contento di questo). Alla fine le nostre firme e quelle di Giovenchi e Svampa sullo striscione, ormai trattato come la Sacra Sindone. Indimenticabile. Vittoria è stato il coronamento di migliaia di post che ci siamo scambiati in tutto questo tempo. Come dice Elena, è stato il nastro (filo) che ha unito tutti i forumisti del Rimmelclub.

Le ultime foto, gli ultimi saluti e poi un salto a Ragusa, dove Salvo e la sua Tiziana hanno fatto gli onori di casa in modo eccezionale portandoci a cena in un caratteristico localino ragusano. A fine pasto (e a fine schitarrata) i saluti e la corsa di ritorno a Catania.

Nel viaggio di ritorno a Catania Daniele non disse nemmeno una parola perché era stanco (era anche preoccupato perché alle tre del mattino, per distrazione e per il sonno, saltai il bivio per Catania e andai a finire a …Comiso!!!!), disse soltanto…. “chi lo doveva dire che doveva accadere tutto questo?…” e rigirò lo sguardo a destra, verso il finestrino.

Stavo per rispondergli “Daniele, siamo tutti pazzi o... stiamo vivendo una favola?” ma subito mi rituffai nel mio pessimo senso di orientamento alla ricerca di un‘indicazione per tornare a casa, mentre la radio cantava “..stasera guardo questa strada e non so più dove mi tocca andare..!!”.

Elena ci rideva sopra e Frank (e quando mai) dormiva. Povero Frank, non sapeva che con un autista del genere rischiava di farsi tutta una tirata fino alla seconda stella a destra, dritto fino al mattino……. fino all’isola che non c’è.

Grazie ragazzi! Ieri mi avete fatto ringiovanire di vent’anni!

Mimmo Rapisarda

(TO: RMS TITANIC - FROM: FORUM RIMMEL CLUB)

 

 

 

QUEL GIORNO CHE DISSI A DE GREGORI “NON ME LO TOLGO PIU!’”

(TO: RMS Titanic - FROM: Forum Rimmelclub - dicembre 2005)

Mano, manina, gelida manina, smanetta, un po’ di manetta, dai più aria……. dai alzati, vola, vola vola.

….. rieccomi. Finalmente posso scrivere qualcosa per giustificare la mia assenza da voi, senza stancarmi, e salutarvi dopo tanto tempo.

Come state? Volevo raccontarvi dell’infortunio che mi ha bloccato per quasi tre mesi. A questo punto potete anche chiudermi, se non vi interessa una cosa estranea alla carriera del Principe. Altrimenti scendete più in basso.

Siete ancora qui? Sì? Dunque, il motivo della mia frattura al polso mi sono vergognato a postarlo perché è accaduto nel modo più stupido e incauto: stavo per appendere qualcosa al muro (non è difficile intuire cosa) mettendo i piedi su una poltrona con le ruote che è schizzata via come una Ferrari a Maranello e, volando in aria, mi sono ritrovato a terra con la mano a forma di elle. Risultato: frattura scomposta del polso destro con interessamento dell’ulna.

Questa mi mancava. Per il calcio, in vita mia mi sono rotto caviglia, tibia, costole e clavicola tutti a destra. Avrei voluto una frattura bolscevica proprio mentre cadevo per appendere una cosa di sinistra, ma non c’è stato niente da fare. In quegli attimi non ci sono riuscito. A destra anche questa volta!

Dopo essere stato steccato in posizione inversa da poco raccomandabili “luminari” del pronto soccorso e a seguito di un week-end pieno di allucinanti dolori dovuti a quell’errore da denuncia ai Carabinieri, il lunedì mattina sono stato ricoverato in Ortopedia fra lo stupore degli specialisti quando sfasciarono quella specie di ”obrobrio sanitario”.

In tutto 3 giorni. Il giorno della riduzione (che non si può fare da svegli) della frattura e poco prima di addormentarmi, in sala operatoria ricordo solo il primario che chiese “e questo chi è, come si chiama?” e l’aiuto: “il polso", "ah! Ecco". Dopo non ricordo più niente. Mi sono risvegliato su un letto che mi scarrozzava nei corridoi del reparto come al Luna Park.

Lì nessuno viene chiamato col proprio cognome, c’è chi si chiama Scapola, chi Clavicola, chi Acromion, chi Processo zigomatico. Io ero il polso, il signor Polso. Una notte, il Polso non aveva sonno e dopo aver passeggiato per tutto l’ospedale, per far passare il tempo interminabile è uscito fuori per fumare una sigaretta. Al rientro ha suonato al citofono: “Sì?....”, “Rapisarda sono!” (Frank starà ridendo, pensando a Montalbano!) e loro: “Rapisarda chi?”. “Il Polso!” Cazzo, mi avevano riconosciuto, la porta si è aperta come quella di Fort Knox al solo sentire quella parola d’ordine radiografica!

L’indomani, già ingessato, cominciavo ad annoiarmi e qualcuno mi portava qualcosa per far passare il tempo: La settimana enigmistica! Ne potevo leggere solo le definizioni non potendo scrivere, ma alcune erano sottolineate e …. già mi veniva voglia di cliccarci sopra!

Proprio l’indomani dalle dimissioni mi sono ritrovato con Daniele Di Grazia per dare un saluto a Francesco De Gregori in occasione del suo concerto a Priolo. Arriviamo in albergo poco prima dell’appuntamento e intorno alle 18 il Principe entra nella hall per salutarci prima di andare alle prove. Viene verso di noi sorridendo. Stivali da texano, giacca di pelle, lo zainetto alle spalle, il cappello in testa che sembrava prestato da Clint Eastwood dopo le riprese di Qualche dollaro in più, gli occhiali alla Geppetto e la barba lunghissima da cercatore d’oro del Klondike. Per istinto mi viene di dirgli “ciao cowboy!”. Ride, mi saluta, saluta Daniele, ci offre il caffè e mi dice “Che ti è successo? Scommetto che te sei rotto la mano appendendo un disco mio!” ed io “no Francesco, un’altra cosa: il poster delle tue chitarre!” Poi mi venne di dirgli una cosa a cui non avevo minimamente pensato: “Mi hanno pure detto che, sapendo che eri nei paraggi, mi sono rotto il polso apposta per farti firmare l’ingessatura…. e a questo punto ……una firma ad un povero ingessato non si rifiuta mai!”.

Mi prende il braccio destro come se fosse uno scrittoio e con le sue enormi mani comincia a scriverci sopra col pennarello blu. “Mo’ te lo faccio come si deve … nome e cognome” e ridacchiava. Firmare un gesso è sempre una bella cosa e lui si divertiva come un discolo ragazzino di fronte a un muro completamente rimasto bianco apposta per lui. Quel suo enorme autografo campeggiava da destra a sinistra sul mio braccio, come la scritta Hollywood sulla collina di Los Angeles.

Come sempre, è stato cordiale. Ci ha confessato che il tour estivo lo ha sfiancato. Poi abbiamo parlato del mio cognome, Rapisarda. Mi disse che lo riteneva “sonoro” mentre aspettavamo un impresario che si chiamava Giuseppe Rapisarda di fronte alla gioielleria Sebastiano Rapisarda.

Gli spiegai che Rapisarda sta a Catania come Brambilla a Milano, mentre mi accorgevo che proprio l’insegna luminosa di quel negozio era sottolineata …. e un impulso partiva dalla mia mano destra, mi veniva voglia di cliccare per vedere quali orologi c’erano in catalogo …… ma non accadeva nulla, non si apriva nessuna finestra. Mi mancava qualcosa.

Quel giorno era assente tutto il circo che ruota attorno a Francesco; lo accompagniamo fino all’autista che lo avrebbe portato al concerto e ci saluta con un “ci vediamo più tardi a Priolo…. ma com’è sto Priolo?”. Glissiamo per non scoraggiarlo. Ci avviamo anche noi in auto con un peso in più, quel gesso pesava più di prima. Era da collezione, un gesso da E-Bay.

Ma chi lo doveva dire! Straordinaria sta cosa…. prima di incontrarlo non ci avevo nemmeno pensato, l’idea mi era venuta al bar mentre prendevamo il caffè, ma …forse non c’è niente di straordinario, perchè …. secondo voi, Mimmo Rapisarda poteva mai avere un’ingessatura normale? No! Secondo voi, chi poteva apporre la prima firma? Lui, no? E poi, sarà stata una mia impressione ma….. da quando è stato autografato dal Nostro ho cominciato a sentire un po’ di sollievo. Anche fisioterapeuta l’ho scoperto!

Dopo avergli detto, fra le sue risate, “Francesco, questo non me lo tolgo più”, io e Daniele lo salutiamo e usciamo fuori dall’albergo accorgendoci che la Renault 5 di Di Grazia era diventata una zucca come nella canzone! Una zucca pronta per essere trainata da 300 milioni di topolini che dovevano correre non in via Frattina, ma in direzione di Siracusa per fare tappa in quell’allucinante cittadina che si chiama Priolo Gargallo. Per chi non la conosce, appena vicini a Priolo si ha l’impressione di essere contenti di arrivare. Illuminata di notte sembra Las Vegas: un’enorme città piena di luci sfavillanti. Verrebbe da dire “cos’ha di brutto questa località? Da quello che si vede sembra che sia pure un luogo allegro!”. Avvicinandosi, poi, ci si accorge che tutte quelle luci non sono altro che le segnalazioni luminose delle raffinerie petrolifere, ed entrando al paese si avverte immediatamente la puzza dei gas, delle sostanze nocive e di tutti quei veleni che hanno provocato quell’alta incidenza di tumori fra i suoi abitanti che, per lavorare, sono rimasti in questa pattumiera voluta dalle multinazionali.

Quando arriviamo a Priolo incontriamo Salvo Cascone e Alessandro Noto. Sul concerto niente da dire: bellissimo come tutti quelli estivi del 2005.

Il giorno in cui mi rimossero il gesso dovetti affrontare un’animata discussione col medico e l’infermiere. La mia strana richiesta era quella di fare piano con il seghetto elettrico, non per la mia salute ma per la conservazione del gesso stesso, ancora ricoperto col lenzuolo. Quei due si guardarono come dire “ma questo è pazzo, dai, chiedi assistenza alla Psichiatria!” Quando sollevai il lenzuolo, il medico sorrise e disse “ah, va bè, adesso ho capito! però ce lo poteva dire prima!”. Ridendo, l’infermiere utilizzò le forbici e con un lavoro certosino ritagliò qualcosa che in quel momento sembrava un pezzo di stoffa rimosso dalla Sacra Sindone.

In questo momento la “reliquia” è qui con me, ripulita e in bella vista nel mio studio, in mezzo ad altre mie diavolerie..

Dopo la riabilitazione, gli esercizi, una palla in gomma che odiai profondamente, ecc.. ora va molto meglio ma due mesi fa, con la destra, non potevo nemmeno prepararmi un caffè, scrivere, guidare o usare il mouse. Se mi fossi rotto la sinistra, almeno con la destra avrei potuto suonare, cucinare, dipingere, insomma fare tante altre cose che in passato avevo rimandato di fare, visto che ero costretto a stare a casa. Ma con la sinistra no, con la sinistra ti stanchi anche a leggere un libro. Insomma, ero un mancino al cento per cento senza saper usare la sua mano preferita ed ho capito che senza la destra (nel senso più anatomico del termine) sarei fottuto!

Quindi, in tante cose sono stato costretto ad usare l’altra mano, anzi l’ho rivalutata. Quella che consideravo soltanto un ausilio, devo dire che invece si è rivelata una valida alternativa. Forse la sinistra è fatta per fare anche lei le cose che fa la destra, ma chissà cosa succede nel nostro organismo quando cresciamo, chissà perché facciamo tutto a destra. L’ho dovuta riabilitare, farle fare tante cose che prima non faceva e così le ho insegnato come usare il rasoio, la forchetta e tante altre cose. Il mio capolavoro con lei è stato quello di aprire una bottiglia di vino. Tenendo con la destra il cavatappi già infilato nel tappo, con la sinistra ho fatto girare la bottiglia, poi l’ho messa in mezzo alle gambe e sempre con la sinistra ho stappato. Naturalmente, durante queste monellerie sono sempre da solo!

Cari amici, siamo quasi a dicembre e vi faccio i migliori auguri di buon Natale raccomandandovi di non bivaccare sui divani dopo i lauti pasti e di non guardare troppa TV.

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Anche se rock, Eric Clapton era detto “mano lenta”. La mia mano era rotta, ma non era lenta. Era rock, ricoperta di tanto rock, anzi hard rock! Era autografata da un Principe!

Mimmo Rapisarda, dic 2005.

 

 

 

Un po’ di tempo fa Salvo mi disse “Mimmo, ho la possibilità di avere dei posti per il Teatro Antico di Taormina per il concerto del 23. Che dici, andiamo?”. Gli risposi che da “in braccio a Ciccio” in avanti mi sarebbe andato tutto bene. Ma non immaginavo tanto. Per l’improponibile biglietto “in braccio” ci mancava poco: poltronissime in platea vip, al centro in seconda fila! Salvo era stato davvero un drago!
 Già a vedere il teatro da quella posizione, senza artisti, dà i brividi. Figuriamoci con uno spettacolo musicale. Figuriamocene uno con Ciccio nostro!
La serata è bella, un asteroide si frantumava nell’atmosfera terrestre per salutare come un fuoco d’artificio l’evento, la notte è piena di stelle e stelline, stelline cadenti e splendenti e stelline a forma di hostess con curve mozzafiato.
Intorno alle 21.40 il teatro antico è quasi pieno. Un colpo d’occhio per chi guarda da giù, e man mano che si scende dall’alto in basso vedi tutta quella gente accorsa dai dintorni e che poco prima aveva intasato tutti i parcheggi e le strade di Taormina. Dopo quel primo spettacolo fatto di luci e abiti bianchi che contrastavano con ondate di cosce lucide e abbronzate, mi volto e mi siedo al mio posto attrezzandomi con queste macchinette fotografiche digitali che vanno bene solo per il giorno ma che in occasioni come queste sono assolutamente inadatte. Sarebbe stato meglio portarmi la Reflex con una pellicola iso200.


Francesco era appena arrivato in teatro sullo scooter, con Chicca. Mentre Arianti prova per l’ultima volta le chitarre, si provano anche le luci del teatro con quei fari colorati che rendono unico quel luogo. In una recente intervista l’aveva detto pure Francesco: “Certamente è un luogo che si fa notare per la sua bellezza. Invidio il pubblico. Il cantante vede le scalinate piene di gente ma lo spettatore vede il cantante con quel magnifico sfondo, le colonne, il mare, la luna”. Una collana di gente attorno a un diamante che è il palco del teatro antico, circondato da resti di colonne greco-romane con le quinte squarciate al centro in modo da spalancare in platea un panorama notturno mozzafiato (figuriamoci con l’Etna in eruzione). Uno spettacolo nello spettacolo. Praticamente un collier offerto dalla premiata gioielleria Madre Natura!
Si fa buio, l’annuncio, si accendono le luci ed Ulisse, coi suoi uomini, entra in scena fra gli applausi.
Francesco non lo vedevo dall’ottobre scorso a Priolo. Allora aveva una barba lunghissima da cercatore del Klondike ed ora me lo ritrovo magro magro, mezzo tozzo di pane, barba e capelli cortissimi e stranamente, visto il periodo e i luoghi, con una carnagione “latticina”. Ma non naviga in barca? Non è che a bordo se ne va a suonare la chitarra nella stiva?
Mi sbaglio. Appena imbraccia la sua chitarra sembra essere entrato ad Itaca, a casa sua, per liberare la sua sposa dalle grinfie dei Proci. E come in quell’episodio, torna in tutto il suo splendore, in tutta la sua giovinezza.
E’ appena sbarcato nella Terra dei Ciclopi e spara immediatamente sull’unico occhio del padrone di quella dimora – il figlio di Poseidone – una robusta ballata per fargli capire subito chi è: La ballata dell’uomo ragno. E poi continua con le nuove: In onda, l’Angelo, La linea della vita, Cardiologia. E più le canta e più riesce a stanare la “Nascosta”, la bellissima ninfa Calypso, che scende invisibile in teatro e che con quei suoni a lei dedicati marchia “Calypsos” tutto ciò che vede: dai depliants ai cartellini della sicurezza, dalla maglietta di Giovenchi ai CD che qualche fan aveva portato con sé nella speranza di farselo autografare.
Ci saluta, ci dice di essere contento di suonare in Sicilia. Qualcuno gli grida “Francesco sei splendido!” E lui “Stasera chiamatemi Ciccio, anzi Cicciuzzu!”.
E’ contento, in quel posto così ellenico ha ritrovato finalmente colei che lo ha ispirato. Lei arriva in silenzio, scende dall’alto sul palco e gli piroetta attorno invisibile mentre lui le canta “Saranno trent’anni che passo da qua e adesso fai finta di non riconoscermi. Guardami, guardami, perché non parli? Sbrigati, prima che sia troppo tardi!”

Alla fine lo accontenta, lo guarda poggiandosi sulla pedal steel guitar di Valle e lo ascolta, ascolta tutto quello che in quei trent’anni Ulisse le ha dedicato. Tutte di un getto: Sotto le stelle del Messico a trapanar, Vai in Africa, Celestino!, Baci da Pompei, “Vecchi amici”, La leva calcistica della classe '68, Un guanto, Gambadilegno a Parigi, Agnello di Dio, Generale, Il bandito e il campione. Tutte per lei!
Ma Ulisse sa che i lettori dell’Odissea sono amanti dei classici: e quindi sfodera fuori una Rimmel simile all’originale che mi riporta a  ricordi liceali, con i tasti del pianoforte che saltellano monelli fra le melodie di questo capolavoro. E poi la nuova versione di Alice, il Titanic, l’immancabile Donna cannone e quella che in questo periodo mi piace di più, e visto che è in versione rock, le cambio il nome come se fosse un hit degli Stones: Goodnight Littleflower! Fantastica, quel ritmo mi fa alzare ogni volta dalla sedia e poi quell’armonica suonata da Francesco, con la mano sinistra a chiudere l’orecchio e la sculettata sulla nota finale, a chiudere, è straordinaria!
I bis, con Svampa che batte in modo superbo i suoi tamburi come Anticlo, quando assediarono Troia via mare; Bardi che come Perimede suona la lira, allontanando con i suoi virtuosismi ogni pensiero dalla testa del Principe itachese; Arianti che come Polite suona ancora un po’ di vento rimasto in quell’otre donata da Eolo; Valle che sembra il guerriero Antifo, rozzo, grossolano, ma dalle dite delicatissime che voleggiano su quello strano strumento; Giovenchi che manovra le tastiera delle sue Telecaster come Sinone il timone della barca lasciata momentaneamente in rada. E infine il fido Guglielminetti che come Euriloco lo accompagna ovunque, che gli mette la cera alle orecchie per non farlo sbagliare, che non lo fa ammaliare dal canto delle sirene che circolano qui intorno. Ecco il risultato degli sforzi dei suoi compagni per riportarlo a bordo, dopo l’incontro con Polifemo: La valigia dell’attore, Niente da capire (a tempo di valzer), La Storia.
Alla fine, l’Odisseo saluta tutti e se ne va.
 Riordino un po’ i biglietti della scaletta quale inviato di un affamatissimo pennuto notturno, sapete quel volatile che ha fondato l’Ansa degregoriana della Brianza? Sì, parlo del Barbagianni. Chiedo a mia moglie, scherzando “amore, ti è piaciuto, visto da qui, il concerto dell’altro mio amore?” Abituata da tempo, alza come al solito gli occhi al cielo…
Quando tutti vanno via Calypso, regina di Ogigia, regina del tempo, rimane lì da sola, sul palco, davanti all’immenso teatro vuoto, ancora inebriata da tutte quelle canzoni d’amore a lei rivolte. E adesso che finalmente ha capito che da trent’anni la musa ispiratrice era lei, piange. E mentre vede la longilinea figura di lui allontanarsi, promettendogli invano l’immortalità gli grida «Non esser mai! Non esser mai! Più nulla ma meno morto, che non esser più!». Ma è tutto inutile. Ulisse è già a bordo della sua nave e non incontrerà né Circe nè Scilla o Cariddi. E’ già con una Penelope con gli occhiali che lo accompagnerà ad Itaca, quando finirà questa lunga ed entusiasmante estate passata a peregrinare per gli italici mari.

(Mimmo Rapisarda)

 

 

 

Noi siculi, grazie a Francesco, siamo ormai diventati degli habituè del Teatro greco di Taormina: 2002, 2003, 2005. 2006 e 2007. In altri tempi tutto questo ben di Dio potevamo soltanto sognarcelo!
Però ieri, rispetto agli altri anni, c'è stato un ospite particolare: l'Etna, che ha aspettato tutta l'estate per assistere a questa serata. Pazientemente, fino al 3 settembre. 

E quando Francesco De Gregori è arrivato a Taormina, è esploso in tutta la sua gioia dandogli un benvenuto da prima classe. Con prepotenza, senza pagare il biglietto perchè si trova proprio a casa sua,  ha voluto esserci a tutti i costi. "A muntagna", come la chiamiamo dalle nostre parti, quella sera era lì; sembrava volesse dire "sì, me lo vedrò di spalle ma il concerto me lo voglio vedere! Voi siete lì con le macchine fotografiche, io userò qualcos'altro: il mio fuoco. Farò questo esclusivo omaggio al Principe". Infatti la sua esuberanza da fan scatenata è finita l'indomani, quando Francesco ha fatto le valigie per andare a Palermo.

All'entrata in teatro non mi ero quasi accorto dello spettacolo che offriva quel magnifico vulcano. Me lo ha fatto notare Guido Guglielminetti che era all'ingresso e col quale ho scambiato qualche battuta, assieme al mio amico Salvo da Ragusa. Che magnificienza quell'infernale finestra nel cielo della notte taorminese!
Mi accomodo sulla mia poltronissima in seconda fila e aspetto l'inizio del concerto sulle note del repertorio di Grechi. 

Intorno alle 22 si spengono le luci, rimangono illuminate soltanto  le antiche colonne con dei riflessi azzurri che le facevano appena intravedere.

Al buio, al centro del palco, dalle quinte si vede arrivare in avanti la scura e longilinea  figura di De Gregori col cappellaccio in testa.

Dietro di lui: la fan, che batteva le mani (anzi, i crateri)! Uno spettacolo unico.

Francesco entra, saluta tutti e dice "stasera l'attrazione non sarò io ma…… (girando il braccio destro per indicare quelle quinte dantesche dietro di lui)…… ci divertiremo lo stesso!". Spettacolare, come se avesse detto "Ladies and Gentleman.......ecco a voi  l'Etna!". 
Quel retropalco naturale squarciato verso il cielo è unico al mondo. Sia per la sua storia, sia per la baia di Naxos in notturna, sia per le alte fontane di lava dell'Etna che certe notti vuole essere l'attrice principale dello show. Ieri sera potevano anche esserci gli Stones, ma il primo nome sul cartellone o sul poster spettava assolutamente a Donna Aetna! L'ha voluto fortemente, come una capricciosa primadonna da avanspettacolo!
Ora ditemi voi, seduto in seconda fila, già con quel palco così illuminato, le luci di Naxos al centro, gli strumenti luccicanti, De Gregori che presenta l'Etna alle sue spalle.... come potevo avere con me soltanto una compatta digitale che si comporta modestamente in diurna ma che quando cala la sera diventa una barchetta in mezzo al mare agitato? Mosse, sfocate, molte le ho eliminate. Mi vi assicuro che il quadro (simile il termine, ma trattasi davvero di opera d'arte!) che si presentava realmente davanti ai miei occhi era decisamente lontano dagli scarabocchi delle foto pubblicate. E' un peccato non poter immortalare quella meraviglia, certi momenti. E proprio in questi momenti mi viene sempre la voglia di regalarmi una bella reflex digitale, ma di quella giusta!

Vedevo tutta quella gente che, approfittando di quel  momento irripetibile, cercava di ottenere qualcosa di passabile dalle loro Supertecnologiche e dai loro Superpalmari. E si mangiava le mani!

Nonostante le sue continue esibizioni a Taormina, il pubblico accorre sempre numeroso a testimonianza della grande ammirazione da parte dei siciliani nei confronti di De Gregori. Un pubblico dalle spalle larghe che in questa grande casa con le finestre aperte e le stanze stanze piene di vento, ogni anno accoglie Francesco con immutato affetto. Perché è un pubblico che lo capisce senza farglielo capire, che lo conosce da quand'era piccolo, che la paura non sa nemmeno che è, che ogni sera fa cadere le stelle e che per scaldarlo si farebbe bruciare. Soprattutto, è un pubblico che ha una faccia che non tradisce. Mai!

Dopo aver cortesemente pregato di non fotografarlo sotto il palco perché quel correre lungo il corridoio potrebbe distrarre sia lui che i musicisti, il Principe attacca con Bambini venite parvulos. Poi la classica Titanic e, a seguire, una strana Abbigliamento di un fuochista. Continua con Cardiologia senza chitarra, muovendo le mani come se spiegasse parola per parola tutta la canzone, per far capire a chi gli sta davanti cosa sia davvero l'amore, cioè quello strano compito in classe di Chimica organica mai risolto, e dalle cui pagine non si butta proprio niente: né gioie, né angoscie, nè soddisfazioni, né insofferenze, né tradimenti.

 


Bando alle ciancie: di getto arrivano l'Angelo, la fantastica Compagni di viaggio, la versione country di Un guanto e Maiday.

Il tempo di riprendere fiato a causa della lunga corsa fatta sulle strade della sua carriera per poi fare un po' di retromarcia fino ai box di partenza del suo straordinario e trentennale viaggio: Rimmel, Niente da capire (al ritmo di valzer) e Generale. Subito dopo mette l'acceleratore quando vede le luci blu delle stelle sopra di lui. In ordine sparso: Sotto le stelle del Messico, Agnello di Dio, Vai in Africa Celestino, Numeri da scaricare.
Conclude con una stupenda La valigia dell'attore, Alice (l'unica che non mi è piaciuta per questa sua nuova versione) e il Bandito e il campione. Deve riprendere fiato pure il sottoscritto per la scaletta depositata via sms sul famelico nido di un noto pennuto notturno.
Ma per segnalargliela  mi sarebbe bastato un semplice copia e incolla da internet. Molti ieri sera non lo sapevano, ma noi del Rimmelclub e del Barbagianni sappiamo benissimo che la scaletta di Taormina era rigorosamente uguale a tutte quelle di questo tour estivo. Non cambiavano nemmeno i bis, che sono stati riservati alla straordinaria e sempre ben voluta Donna cannone e, infine, a quel simpatico, stuzzicante, friccicarello e sculettante rock che ormai conosciamo tutti e che condisce la famosissima Buonanotte fiorellino….e poi… buonanotte a tutti!

Ringrazio Daniele Di Grazia per la dritta che mi ha consentito di salutare Francesco. In posti del genere è difficilissimo avere un contatto con lui, ma ci siamo riusciti. All'uscita dal teatro, liberatosi dalla folla che gli chiedeva di tutto come se fosse Padre Pio, passa veloce proprio dove Daniele mi aveva detto di stare. Gli acchiappo al volo la mano mentre mi corre davanti, assieme a Chicca. "Ciao Francesco, ti ricordi di me?". Ciccio si ferma "Uee! Ciao, come stai?" Un'affettuosa e sonora "carezza" arriva sulla mia guancia destra, stemperata poi da un fraterno abbraccio. Davanti a una divertita Chicca, il servizio d'ordine me lo toglie subito dai miei occhi. Quasi spingendolo, lo portano verso l'uscita. A nanna.
Ma mi è bastato, non lo vedevo da due anni. Questo pensavo mentre tornavo a casa, davanti ai tergicristalli che spazzavano dal parabrezza la pomice che arrivava dallo stomaco della fan numero uno della serata.
Oltre a Francesco, saluto gli amici Daniele, Salvo e Mauro (con rispettive consorti) che ho rivisto ieri. Non poteva essere altrimenti, non potevo non incontrarli: in certe occasioni i degregoriani DOC te li ritroverai sempre lì, davanti a te, anche se passano gli anni e i capelli diventano sempre più bianchi. Pronti a mettersi sul groppone chilometri e chilometri di asfalto e di file interminabili. Sempre lì, disponibili ad ascoltarsi un concerto di Francesco per una ventina di sere anche con la stessa scaletta; fedelissimi, con le vesciche strapiene e i piedi gonfi di stanchezza, lì sotto a gridargli "Ciccio, sei grande" anche se il loro amato Ciccio si mettesse a cantare "Il valzer del moscerino"!
E poi saluto Guido, Ale Valle (Rapisarda… quello del Titanic?) Ale Arianti, Giovenchi, che mi hanno riconosciuto. A conferma che questo nome ricorda ancora qualcosa.

 

Mimmo Rapisarda

 

 

Però se un giorno passerai dalle mie parti.....

Il 27 pomeriggio vado al centro di Catania per salutare alcuni amici venuti da Palermo e Daniele Di Grazia del Rimmel Club. Dopo un casuale caffè coi musicisti Valle, Giovenchi e Parenti, li lascio dando loro appuntamento per la sera al concerto di Francesco De Gregori, inserito nel suo tour "Left & Right".

Mi avvio al parcheggio dove ho l'auto, per tornare a casa. Percorro a piedi Via Etnea, poi Via Umberto e mai, mai mai mai..... ... e poi mai avrei pensato .......

(Miiiii... non ci possso credere!) di fare un incontro del genere: da un grosso furgone (Ford?) vedo scendere Francesco! Proprio lui, fra tanta gente come un comune passante, desideroso di farsi quattro passi a piedi in via Etnea prima di andare al teatro.

Gli vado vicino: "Ciao Francesco!" e lui "Ciao, ci vediamo stasera...."

Come al solito non mi riconosce e mi devo presentare. "Sono Mimmo Rapisarda".

"Minchia! Mimmo!..... come stai?" Che fai qui?

"Tu ..... che ci fai qui!"

Mi abbraccia nella mia Catania, in strada, fra i miei concittadini, nella centralissima Via Umberto. Per me, stare a parlare col mito e presentarlo, al contempo, alla mia amata città è un doppio motivo di orgoglio. Da tempo ho fantasticato su quel che è accaduto l'altra sera: incontrarlo sui marciapedi di casa mia, proprio quelli consumati dai galantuomini del gallismo di Brancati; proprio come loro, a discutere all'angolo del Caffè Savia. L'altra sera questo desiderio si è avverato.

Stiamo un po' a parlare come fanno due catanesi prima di avviarsi in uno dei numerosi chioschi, ci diamo appuntamento per la serata e alla fine gli chiedo se posso fare qualche foto durante il concerto.

"ehh.... ehh..... veramente .......non si potrebbe." (in questo periodo, vista la prossima uscita del nuovo disco, è un'impresa ardua), poi fa un cenno al suo assistente e gli dice "Alfredo (per discrezione chiamiamolo così), mi raccomando, lui è amico mio".

Ma gli scatti sono quelli che sono. Perchè, anche col placet di Francesco?

Perchè nonostante Alfredo mi avesse consentito di farne qualcuno in sala "senza esagerare" (e lo ringrazio), oltre lui c'era una mezza dozzina di addetti che giravano e stanavano, con piccole torce, qualsiasi segnale luminoso proveniente da una fotocamera, dalla più sofisticata a quella del cellulare. Siccome non mi andava di fare il raccomandato mettendo Alfredo in chiara difficoltà, ho cercato di fare quel che ho potuto: velocemente, di nascosto e con le mani che mi tremavano per la fretta e per il timore di essere beccato.

Sfido chiunque a scattare una foto durante un concerto con una scenografia molto soffusa (quindi poca luce all'obiettivo, nonostante fossi a ISO 800 e 4.2 di diaframma), con un tele che in cattive condizioni balla parecchio e sul collo il fiato di autentici kapò che ti braccano come un ebreo nei ghetti di Berlino. In pratica, chi riesce a scattare bene in situazioni del genere, dopo può scattare di tutto. Tuttavia, anche se non eccezionale, il ricordo della serata è rimasto lo stesso.

Il concerto, inutile dirlo, è stato bellissimo. Ciccio sempre di poche parole.

Il Capitano ha tolto subito le ancore del suo transatlantico ed ha sfoderato quattro canzoni appartenenti ad uno dei dischi a cui è più legato: Titanic. Poi Festival, davvero emozionante, e la nuova versione di Natale che ha impregnato tutto il teatro di atmosfere parigine grazie alle mirabili mani di Arianti sulla sua fisarmonica. Sempre e per sempre, suonata da De Gregori al pianoforte, con un faro su di lui, secondo me è stato il momento che da dato più phatos alla serata. Fino ai consueti bis, il pubblico catanese ha potuto godere più di trent'anni di storia italiana attraverso una scaletta farcita di nuovi pezzi e da classici intramontabili, e che gli ha dato modo di salutare il cantautore romano con calorose manifestazioni di affetto: "sei bellissimo, che Dio benedica tua madre, ecc.".

Lui lo sa che quando arriva a Catania, dalla platea possono partire le battute più estemporanee e colorite. Siamo fatti così (vedi il povero arbitro Farina che al Cibali è stato distrutto dall'improvvisa ironia che abbiamo nel DNA). Lo sa, lo sa, come sa pure che siamo tutti suoi amici, da sempre. Specialmente uno.

"Lui è amico mio!" Anche tu sei amico mio, non so se l'hai sentito bene quando ci siamo lasciati l'altra sera su quel parcheggio a strisce blu, quando ti ho detto "Ciao Francesco, sei sempre il più grande, ti voglio bene!"

Il frutto di quell'antica amicizia è raffigurato in questa pagina.

http://www.mimmorapisarda.it/concerti/degregori1.HTM

 

 

E’ un consiglio che dò a tutti i miei amici appassionati di Ciccio: non portatemi con voi ai concerti di De Gregori. Con me ci si perde per le strade di campagna, di notte, o si rimane bloccati per contrattempi. Praticamente sono una sfiga per i miei compagni di viaggio!
Ma soprattutto con me pioverà, pioverà a dirotto. Qualche giorno prima qualcuno
si lamentava nel forum per le cattive previsioni meteo di Foggia. Poi la sera è filato tutto per il verso giusto, non ha pioviuto e ho letto che la gente si è divertita, all’aperto. Ma io non c’ero!
Nonostante l’amico Maurizio Arena mi confermasse rosee aspettative per il 23 settembre a Messina, io ero già convinto del contrario: no, non è possibile che sarà sereno, pioverà, ne sono certo. Mi rovinerà anche questa. L’avevo già scritto l’altro giorno: in vita mia la pioggia mi ha rovinato di tutto; una sorta di nuvoletta fantozziana mi cerca dall’alto come un satellite quando sto per uscire di casa. Infatti, appena l’ha saputo si è messa in moto e puntualmente è arrivato il cambio di location.
Con gli amici di Ragusa (fra i quali un noto Salvo3) ci avviamo a Messina dove incontriamo Mauro Arena e signora, sua madre e il mitico padre chiamato dal sottoscritto Mr. Zimmy per via della sua leggendaria passione per Bob Dylan.
Quattro chiacchiere con Alex Valle, un saluto a Guido e poi, “sempre sotto la pioggia”, all’interno del Vittorio Emanuele, storico teatro sul lungomare messinese rimasto in piedi dopo il terremoto del 1908, il cui interno è stato completamente sventrato, ricostruito e ristrutturato. Un piccolo gioiello acustico con 1.000 poltroncine tutte raccolte sotto un grande soffitto dipinto dal grande Renato Guttuso nel 1985.
Vi risparmio l’avventura del viaggio di ritorno a Catania e a Ragusa (c’era presente il sottoscritto, quindi poteva capitare di tut
to) sotto un nubifragio abbattutosi sulla A18, così violento ed abbondante da non farci vedere niente oltre il parabrezza. Alle tre del mattino, due ore dopo il nostro passaggio a 40 km. orari, su quelle strade si è abbattuta la nota frana che ha scollegato Catania e Messina per due giorni.
Adesso che siamo all’asciutto….. passiamo al concerto.
In perfetto orario, alle 21.30, entra Francesco fra gli applausi. In gran forma, con un abbigliamento che mi ricorda vagamente certi jazzisti che facevano la spola fra Cuba e la Florida suonando Porter e Miller o, che so, una figurina che fuma le Camel impressa sulle scatole di latta americane degli anni Quaranta.
Dopo l’inchino di benvenuto, un faro si adagia su di lui, ed è da solo. Si intravedono soltanto le linee della sua dinoccolata figura che alterna le due Gibson con l’armonica a bocca. E con questo piccolo quadretto si comincia la prima parte, tutta acustica.
“Questa è una canzona dedicata a una grande cantante, che molto tempo fa accompagnai in giro per l’Italia come chitarrista. La canzone si chiama Caterina.”
Poi Quattro Cani e Pezzi di vetro, suonate e cantate in modo magistrale, senza nessun accenno di svogliatezza, di noia, di fretta. Quel signore con il Borsalino in testa sa ancora suonare eccome, come una volta; sa ancora cantare eccome, come una volta. E, non me ne voglia, me lo sono goduto da buon Talebano eccome, come una volta.
Le due canzoni, che sembravano uscite direttamente dall’LP della RCA, sono state interpretate come ai tempi di Rimmel, con quell’arpeggio particolare di cui mi innamorai 35 anni fa e grazie al quale sono ancor oggi qui a parlare di colui che lo ha manovrato, quell’arpeggio. Anche Francesco sa bene che queste due perle, quegli accordi, quelle dita posizionate in un certo punto della testiera, sono il frutto di quel miracolo avvenuto quando lui era aveva intorno a vent’anni e le geniali molecole della sua fantasia giravano a mille sulla maccina da scrivere e sul pentagramma. Allora pensò che dovevano essere suonate così; col tempo si è divertito ad arrangiare, a rocckettare, stravolgere, a capovolgere; insomma, il giovanotto si è divertito. Con la maturità ha capito che il prodotto migliore è sempre quello costruito da giovani, quando a volte certe emozioni ti fanno produrre autentici capolavori. Puoi modificarli, arrangiarli diversamente, svuotar loro le tasche mettendoli a testa in giù, ma alla fine si torna sempre al passato.
”Quest’altra canzone parla di un ricco stregone, che era innamorato di una donna……..”
Mentre Francesco spiega, dalla sala arriva una voce “L’Angelo di Lyon”!
“Bravo!!! Il nostro amico ha vinto….. cinque minuti di silenzio!” la risposta di Francesco. Risata generale (tranne lui).
Arriva tutta la band. I loro volti, i loro strumenti, i loro movimenti mi sono ormai familiari; è un piacere rivedere questi ragazzi almeno una volta all’anno come quando si salutano i compagni di classe a settembre. Con questa straordinaria band che ormai da anni suona a memoria, che è ormai capace dl leggere gli spartiti pure dentro la testa del Capo, che è addirittura in condizioni di anticipare anche le sue bizzarre interruzioni, il concerto continua con Finestre rotte e poi, tutte d’un fiato, un’incantevole Atlantide, Viva l'italia, Compagni di viaggio, Caldo e Scuro, Vai In Africa Celestino e una soroprendente Capo d’Africa, con atmosfere, colori e arrangiamenti che sembrava di essere all’Avana.
“La leva calcistica della classe '68”. Ciccio arriva fino a “….un giocatore lo vedi dal coraggio,
dall'altruismo e dalla fantasia” e una piccolissima pausa. Non gli è stato più possibile proseguire perché viene anticipato dal solito signore in sala che si mette a cantare a squarciagola: “……..e chissà quanti ne hai visti, quanti ne vedrai……”.
A quel punto Francesco interrompe la canzone e dice “Eh, no! Legatelo! Lo chiedo, per favore, a chi gli è seduto vicino!” Altra risata, tranne noi che, conoscendo il Maestro, sapevamo che in quel momento stava per esplodere e che sarebbe sceso in sala prendendolo a calci sulle gengive.
Ma la serata non è nervosa, qualcosa rimane, e infatti arriva Rimmel e Festival con uno straordinario assolo di Bardi che mette i brividi addosso. Lucio si ripete durante l’esecuzione di Battere e levare, stavolta con intensi virtuosismi country al violino elettrico. Poi Titanic e Deriva che arrivano di colpo assieme, come un omaggio al Nostromo.
Poi Francesco si siede al pianoforte. E’ di buon umore, guarda la sala per cinque secondi e dice “mbè”? E si mette a ridere. E quindi ci racconta una storia che dà i brividi, che entra dentro le stanze, le brucia. Che dà torto e dà ragione, perchè nessuno la può fermare.
Ma che bel racconto, che concerto, che bello … come mi sto divertendo beato e seduto in seconda fila, senza muovermi da destra a sinistra come un dannato. Al contrario dello scorso anno a Sciacca, questa volta non ho voluto portare la fotocamera per godermi al meglio lo spettacolo, senza avere l’ansia del risultato, esposizioni, tempi di apertura, iso e diaframmi. Ho fatto il semplice spettatore, anche se devo ammettere che l’altra sera sarebbero venute fuori fotografie spettacolari perché chi ha progettato le luci di questo tour è stato davvero bravo: affascinanti, colori bellissimi che assieme alle musiche avvolgono i musicisti sul palco in un tutt’uno davvero magico. Complimenti al tecnico.
Dal buio si alza una lira: “Eccomi qua!”. Più il tempo passa e più questa grande canzone, anziché cantata è recitata, narrata in ogni riga, riferita agli ascoltatori, spiegata in ogni dettaglio. Ormai Francesco la mima in una maniera così teatrale che chiunque riuscirebbe a capire il significato del testo. Ogni volta lo vedo muoversi con una gestualità ancora più raffinata, più professionale. Più che cantante, sta diventando sempre di più attore e sembra essere proprio lui il protagonista della canzone. Accompagna le parole con mosse ed espressioni che ti proiettano dall’ultima fila dritto fino al camerino già vecchio, facendoti vedere tutto in home theater: il lavandino, lo specchio, il manifesto, il padre, la figlia.
Siamo incantati sulle note finali, si entra quasi nel mondo irreale di Francesco, la sua musica ci scardina dalle poltrone e ci solleva fino al soffitto dove è raffigurato il canto delle sirene dipinto del grande pittore siciliano. Quasi in catalessi, come tritoni volteggiamo attorno a quelle figure nel mare azzurro, sostenuti dalle note che il mito che sta otto metri più sotto, ci lancia continuamente.
Ma non sarà il canto delle sirene che ci addormenterà, noi lo conosciamo bene, l'abbiamo sentito già! Infatti veniamo bruscamente svegliati dalle squillanti chitarre di Giovenchi, che da dietro la curva ci preannuncia la volata country di un ciclista chiamato Pollastri. Ed è festa!
Appena lasciato quel briccone di Sante, Ciccio presenta la sua band, quindi si avvicina al microfono, si toglie il cappello mettendolo al petto, si inchina e dandoci la buonanotte ci confessa l’emozione particolare che prova ogni qualvolta mette piede in Sicilia. “Bravi, complimenti per questa vostra bella terra!”. E se ne va, ma non è vero.
Eh no, caro mio, esci. Esci, che qui ti reclamano a gran voce (non capirò mai il significato dei bis)
Al rientro, con al piano Arianti, esegue la Donna cannone come solo lui sa fare. Poi l’Agnello di Dio ed infine una Buonanotte fiorellino suonata come negli anni Settanta, in modo classico. Però siccome il Capo ha voglia di scherzare, manda in tilt la band quando deve riattaccare a cantare. Tutti i musicisti ridono per le sue birichinate, compreso il capobanda che, a detta di Ciccio, stupisce sempre di più.
Fra le bellissime note di questo immortale walzer, il Maestro getta il plettro ancora bollente davanti a sé e si allontana definitivamente dietro le quinte.
Ah, questo pubblico pagante, quante ne deve subire!
Tempo fa, Francesco storceva la bocca quando un applauso del pubblico sottolineava la passione per lui proprio al punto della famosa strofa. Oggi, forse perché è ormai consapevole di essere un monumento della canzone italiana, quell’applauso quasi lo pretende, e lo chiede con forza incitando la platea con le sue lunghe braccia, perché ha capito che non si può più trattenerlo, quell’applauso; non si possono tenere le mani ferme nè davanti a una bellissima canzone, né davanti a una leggenda del genere.
Quel pubblico pagante ha voglia di sottolinearlo sempre, con un applauso, il tuo nome che scintillerà. Per tanto tempo ancora.
Grazie ancora una volta, Francesco! E che Dio ti benedica.
Mimmo Rapisarda (pubblicato su Rimmelclub.it 25.9.2009)

 

La grafica della scaletta smaschera l’andamento di tutta la scaletta e a che categoria appartiene ogni singola canzone letta da ogni componente della band.
Quindi, da solo con chitarra e un fascio di luce sulla testa: Quattro cani, Compagni di viaggio, Per le strade di Roma, Pezzi di vetro, L’angelo di Lyon, Vai in Africa Celestino;
prima parte con la band: Capo d’Africa, Titanic, La Leva calcistica, Festival, Deriva, Rimmel, Atlantide, Battere e levare;
da solo al pianoforte: Sempre e per sempre, La storia;
seconda parte con la band: Gente senza cuore, Viva l’Italia, La valigia dell’attore, Il bandito e il campione, Natale (ma l’aveva promessa a chi so io);
Cala il sipario e chiedono i bis: La donna cannone, L’agnello di Dio, Buonanotte fiorellino.
Sul concerto non aggiungo niente. Basta cercare il mio post sul concerto di Messina, è uguale. Forse Sempre per sempre al posto di Cardiologia.
In questo periodo De Gregori sta sfornando concerti straordinari, fatti apposta per il suo popolo più talebano. Rimmel, Buonanotte fiorellino, Quattro cani, suonate in modo dolce, ondulato ed armonioso come una volta. Il primo gruppo, suonato tutto da solo con la sua Gibson J50, mette i brividi addosso, anche se devo dire che l’Angelo di Lyon e Per le strade di Roma non li ritengo appropriati per la chitarra acustica, Avrei preferito pezzi come Informazioni di Vincent, Le finestre di dolore, Signora Aquilone, L’ultimo discorso registrato. Ma so pure di stare a straparlare, questo non accadrà mai.
Vi dico qualcosa su questa due giorni degregoriana, proprio nella mia città, della piacevole conoscenza di Gaetano e Giusy venuti da Palermo, di Salvo da Ragusa, di quella di Vanilla e Stefano, di Michela, del nipotino Frank che Catania se la sogna anche di notte (comprese le catanesi), di Maurizio Arena e consorte. La passeggiata dopocena, alle due del mattino, mentre facevamo fatica a camminare nelle strade del centro storico per via delle migliaia di persone che circolavano nella Movida catanese. Io e Daniele: “Ragazzi, vi garantiamo che alla nove del mattino non è così.” E Stefano: “…..non ho mai visto una cosa simile!”. In effetti sembrava di essere a Rio durante il Carnevale.
L’indomani, di pomeriggio, sono andato con Daniele a prendere un caffè da Francesco. Come al solito splendidamente cordiale, ci tratta come sempre da vecchi amici e proprio per questo ha tentato (invano) di glissare su argomenti che lo riguardano quale personaggio pubblico. Ho fatto anch’io la parte del vecchio amico, ma allora com’è che stava per scoppiarmi lo stend della mia coronaria destra?
Mi dice che ogni tanto va a guardare il Titanic (e di questo ne sono felice!); allora gli elenco le chitarre presenti nel poster: “…. sì, sì, va bene, ci sono le Martin, questa non ce l’ho più. Però te ne manca una…… ma non ti dico qual è! Ma come…….
Ecco, è questo il vero Francesco! Ancora uno spassoso ragazzo di quasi sessant’anni che fa i dispetti agli amici o che gongola per andare a vedere, con zainetto alle spalle come un ragazzino, un concerto di Dylan!
Il pomeriggio ai Benedettini è stato bello perché ascoltare quel che dice è sempre piacevole o, perlomeno, quello che è costretto a dire davanti alle stupidaggini che gli chiedono da una vita.
Anche questa volta si è sprecata l’ennesima occasione per fargli una sana e indimenticabile intervista. Non ho ancora capito se lo fanno perché, essendo intimoriti dalla sua persona, dal suo portamento alla Corto Maltese, dalla sua cultura, dall’emozione che suscita la sua vicinanza, gli formulano fino alla noia queste tediose idiozie camuffate da interessanti domande oppure perché si aspettano da lui risposte intelligenti.
Come si può ancora chiedergli se l’ha presa a male quando Viva l’Italia venne utilizzata dai partiti politici? Si può ancora pensare che dopo quarant’anni dalla separazione artistica (e naturale, come sottolineato da Francesco) di Theorius Campus, Venditti e De Gregori siano diventati dei nemici? Dopo aver spiegato il concetto almeno cento volte, come cazzo vai a ripetergli che la poesia e la canzone vanno a braccetto?
Ma diamine, è chiaro che alla fine s’incazza (anzi si è trattenuto, perché questa è stata la peggiore intervista della sua carriera).
Se gli rivolgete sempre le stesse castronerie, come pensate di ottenere una risposta intelligente? Quante volte ve l’ha detto che non è un poeta ma un cantante, che una canzone (ma anche un quadro, un film) può essere al massimo poetica, che una canzone e una poesia sono due cose diverse e che nessuna delle due è superiore o inferiore all’altra, e che meritano rispetto reciproco?
Quante volte vi ha detto che una canzone non si deve spiegare, che si deve ascoltare, che l’artista lascia all’immaginazione di ognuno la vera identità di un Pablo o di una Giovanna?

E’ la stessa cosa di stare seduti ai divanetti del Louve di fronte a “La zattera della Medusa” . Dopo mezz’ora di contemplazione l’opera suscita in te personalissime visioni, mentre il tuo vicino ti dice che per lui rappresenta, invece, tutt’altra cosa e che in quel momento ha visioni completamente diverse da quelle tue. Ma anche se discordanti fra loro, vanno bene entrambi i visionari perché hanno dentro qualcosa di vivo, bello o brutto che sia. L’importante è che queste emozioni ci siano, che colpiscano l’animo, che vengano espresse in ogni modo.
Se ascoltando la canzone, qualcuno vede in Pablo un pizzaiolo di Margellina o un professore dell’Università della Sorbona, a Francesco va bene. E’ cosmicamente perfetto, vuol dire che è stata ascoltata, che è piaciuta a priori, che dopo l’ascolto è nata un’opinione tutta personale, ma comunque bellissima, anche se la più banale. A Francesco va bene tutto, ma per favore non chiedetegli più chi è l’esploratore Tobia! E’ davvero offensivo chiedere a un pittore o a uno scultore cosa significhi quella posizione, quella forma. Se hai palle, sforzati e cerca di vedere tutto il bello che c’è in quella forma d’arte apparentemente insignificante. Appena dentro, subito dopo l’angolo c’è tutto un altro mondo.
Francesco vorrebbe parlare d’altro; vorrebbe sapere che ne pensi della Roma di Ranieri, dell’ultimo film di Tornatore, dei rivenditori di fiducia riguardo gli stivaletti americani. Hai voglia a parlargli di chansonier italiani e francesi, di poesia e canzoni, di messaggi politici nei suoi brani, di Viva l’Italia usata dai socialisti e dai missini, di …….udite, udite, chi è veramente Pablo!!! Signori, il Principe SI ANNOIA!
Mi dispiace per Battista, ma lo stanno ripetendo in tanti. E’ stato scritto in rete e sulla carta stampata: l’incontro di Catania è stato davvero deludente, insignificante. In compenso, la due giorni catanese di De Gregori non è passata inosservata. Qui tutti sapevano, tutti chiedevano. In un noto bar si aspettavano nobili chiappe sedute sulle sedie dei loro tavolini, a sorbire granita di mandorle e brioche.
“Il pubblico catanese è competente, esigente”, questo è quello che ha dichiarato alla stampa. Ha ragione, infatti anche molti suoi colleghi hanno detto che quando vengono al Metropolitan di Catania hanno una certa reverenza, un po’ di timore verso l’attenta platea etnea proprio perché di orecchio fino. E queste non sono parole mie. Davanti a un pubblico appartentente a una terra dove sono nati certi signori che si chiamano Consoli, Battiato, Trovato, Bella, Venuti, Biondi, Sugarfree, Denovo, Spampinato (ci metto pure Bellini), a quale artista non tremerebbero le gambe?
Ogni volta che il Principe arriva alle falde dell’Etna c’è sempre questa grande attesa, un amore della città nei confronti di Francesco che è (come mi ha detto nel pomeriggio) ricambiato. Ma perché Catania gli è entrata nel cuore?

Forse perché, nel 1975, proprio sui cieli di Catania gli balenò l’idea di scrivere Atlantide, mentre era accanto a Mondella sull’aereo che lo riportava a Roma; forse perché da quando non c’è più il Barbagianni (eccellente efficienza lomarda) gli unici siti web a lui dedicati sono Marca Liotru: RimmelClub e Titanic.
Continuo: nel 2005 la conferenza stampa per il tour “Pezzi” decise di presentarla a Catania, all’Hotel Excelsior, prima con i giornalisti di tutta Italia che si chiedevano perché mai non era stata organizzata a Roma o Milano, e poi con una trentina di amici del RC in una piccola saletta dell’hotel. Appunto, perchè, secondo voi, non fu organizzata a Roma o Milano, sedi della Baronia della stampa musicale che quel giorno storsero il muso?
E oggi perché, sempre secondo voi, il vice direttore del Corriere della Sera, anziché (e giustamente) a Milano l’intervista l’ha fatta a Catania, nella splendida sede della Facoltà di Lettere all’ex Monastero dei Benedettini?
Perché, invece di passare un giorno festivo a Roma a riposarsi, De Gregori sceglie di passare due giorni al sole e al mare di Catania? Suonare al Metropolitan, l’indomani mattina non lo so ma considerata la temperatura non escluderei un bagnetto e un pranzo a base di pesce ad Acitrezza; il pomeriggio alla conferenza di cui sopra, poi immergersi nel bagno di folla dove (come successe a noi del RC nel 2005) si è dato in pasto a centinaia di ragazzi giovani e non per l’autografo, la foto, l’abbraccio. Una mezz’ora piena e stressante servita a riempire con sua faccia parecchi blog e profili Facebook etnei.
Ma la sua fame di pietra lavica non è mica finita. Subito dopo ha voluto conoscere la stilista catanese Marella Ferrera in Piazza Duca di Genova in occasione di “Civita in fiore”, un colorato giardino nel barocco della città vecchia in cui hanno trovato spazio flowers designers, famosi vivaisti e maestri del gourmet. E Ciccio, molto incuriosito, era anche lì.
La notte non so che ha fatto, ma so di certo che l’indomani doveva suonare ad Avellino. Signor De Gregori, complimenti per queste inesauribili energie!
Peccato soltanto per quell’intervista. Se fossi stato io il giornalista gli avrei fatto un’intervista tutta a modo mio, soprattutto per farlo rilassare.
Gli avrei chiesto che ami ed esche usa quando va a pescare; gli avrei chiesto con quanti chili di sale cosparge la Ricciola prima di infornarla; gli avrei chiesto la sua conoscenza sul mondo delle chitarre e se le custodisce, le conserva e cosa cerca in uno strumento musicale; gli avrei chiesto che significa, oggi, fare il cantante con la pirateria che impazza e i negozi di dischi con le saracinesche chiuse, rispetto a quando bisognava fare la fila sul marciapedi per comprare un LP. Gli avrei chiesto tante altre cose che non sto qui ad elencare perché mi fregherebbero le domande.
Ma non mi sarei mai sognato di chiedergli l’importanza politica de La Storia o di Viva l’Italia o degli estremisti di sinistra che scrivevano sui muri le frasi delle sue canzoni. Perché non fa parte del suo mestiere, perchè non sarebbe pertinente con il suo ruolo di musicista. E non è colpa sua se hanno frainteso tutto ciò che ha scritto e cantato.
Francesco, alla fine ti avrei chiesto un’ultima cosa. Di chiudermi a chiave nel ripostiglio di casa tua.
Per far cosa? Per prendere appunti, no?
Ciao, alla prossima

Mimmo Rapisarda

 

 

Stavolta niente Francesco. Quando suona a Taormina si avvia sul palco trascinato dalle onde della sua barca oppure lasciando le "pantofole" sulla scaletta per poi rimettersele alla fine, andando direttamente in camera sua. E poi mancava anche il mio compagno d'avventure: l'Avv. Di Grazia.

Dalla e De Gregori, De Gregori e Dalla. Un binomio che fa parte della storia della musica italiana. Dopo trent'anni sono ancora assieme a suonare. Allora non riuscii a vederli, anche se dopo mi ripresi tutti gli interessi con un fotomontaggio della copertina di Banana Republic, ma stavolta non li ho voluti perdere, perchè vale davvero la pena andarli a vedere. E' una festa che dura più di due ore; si avverte nell'aria che si divertono tutti, da Francesco ai musicisti, da Lucio a tutti glli addetti ai lavori di questo evento musicale. Durante lo spettacolo si sorridono fra loro, zompano anche i tecnici del suono, ho visto ballare anche Dario Arianti nascosto dietro una pila di altoparlanti.

Non elenco  tutte le battute e le mosse studiate, perchè in migliaia le sanno a memoria e prossimamente le vedremo anche in un DVD, ma Dalla che dice che Francesco è più alto di lui anche se sta seduto è estemporaneo. Come estemporaneo è stato vedere i due artisti commossi di fronte ad un applauso siciliano che sembrava non volesse mai finire. I due hanno ringraziato portandosi la mano destra la cuore. 

Per le strade di Catania, Lucio Dalla lo si incontra spesso. Ma cantare dal vivo non lo vedevo dal 1992, quando quella sera fu nominato cittadino onorario di Milo (dove comprò la casa che produce lo Stronzetto dell'Etna) ricambiando la cortesia con un concertino improvvisato in piazza per pochi intimi.

Se De Gregori è ancora uno di quegli evergreen che non vogliono ancora tramontare, che ha ancora un pubblico che abbraccia tre-quattro generazioni di ammiratori e le sue canzoni fanno ancora breccia nei nostri cuori, il miglior Dalla, invece, lo abbiamo lasciato alla fine degli anni Ottanta, infatti non canta assolutamente niente delle sue ultime fatiche, al contrario del suo collega. Ma quando l'ometto sale su quelle tavole di legno si invertono i ruoli. Comanda solo lui, diventa un gigante. Lì sopra esce fuori l'animale da palcoscenico che c'è dentro la sua  l'anima, si muove come un clown, mima grotteschi personaggi che esistono solo nella sua geniale fantasia, improvvisa, ma soprattutto canta quello che gli altri vogliono che  canti. Con la sua potente voce trascina tutti gli spettatori con i suoi classici, perchè sa benissimo che le sue vecchie canzoni sono quasi un patrimonio nazionale e la gente ci va in giuggiole. Un grande, davvero.

Queste le canzoni che hanno cantato (spero di non dimenticarne qualcuna) in ordine sparso: Anna e Marco, Titanic, Tutta la vita, Nuvolari, l'Abbigliamento di un fuochista, Caruso, Gigolò, La Leva calcistica, Henna, La valigia dell'attore, L'anno che verrà, Vai in Africa Celestino, Santa Lucia, Canzone, a Pà, Futura, La donna cannone, Piazza Grande, Rimmel, Com'è profondo il mare, Viva l'Italia, Disperato erotico stomp, La storia, Non basta saper cantare, Buonanotte fiorellino, Balla ballerino.

Non hanno invece cantato Due zingari. L'aspettavo perchè dovevo farla sentire dal mio cellulare a due innamorati che in quel momento erano appoggiati alla notte, tenendosi negli occhi sul ponte di una nave che faceva rotta sul golfo di Sorrento. 

Ragazzi mi dispiace. Però ieri sera c'era la luna piena sul mare, e le stelle erano tutte appiccicate al cielo proprio come nella canzone che amate.

Meglio di così...

 

 

Zafferana Etnea, 23.8.2012 - E’ lì quella linea cartoons, figura in controluce che ricorda sempre un certo Corto Maltese ma stavolta in carne e ossa. Inconfondibile e fin troppo riconoscibile da chi lo segue da quarant’anni e che come un segugio è capace di stanarlo come un Foxhound che fiuta la volpe nelle campagne inglesi.
Dopo l’intervista concessa a Maria Lombardo, arriva il nostro turno come nella sala d’attesa dal medico della mutua. Cappellino alla capitan Findus e RayBan graduati fin troppo fumè che mi impediscono di rivedere quelli occhi verdi che ormai conosco troppo bene. E’ il consueto e c
ordiale Francesco che saluta il Rimmel Club e il Titanic, gli unici siti web (ma guarda un po’, catanesi) che orbitano attorno al suo sito ufficiale.
Io e Daniele Di Grazia, mio compagno di avventure degregoriane, siamo ormai troppo navigati per farci fare la fatidica foto ricordo, specialmente immortalati con qualcuno che le destesta, le foto ricordo. Un breve saluto e quattro parole che, credo, non susciterebbero la curiosità di nessuno.Per chi non l’avesse capito, la serata è “speciale”. A Zafferana quest’anno, come sottolineato dal Capobanda su FB, c’era una grande squadra: Daniele Di Grazia, Francesco Corallo, Michela Bi, Alessandro Noto, Gabriele Fasan, Serena Ilgrande (figlia della grande Pippina), Salvo Cascone. Peccato non sia riuscita a venire da Madrid Elena Pardo e da Milano Marcello Antonetti, ma un po’ dello zoccolo duro del Rimmelclub era lì. Ciliegina sulla torta la grande Valeria Bissacco e family, che ha colorato la sera con i suoi magici scatti, autorizzati direttamente dal Principe.
Quelli presenti ieri sera erano persone che si conoscono da più di dieci anni e che attraverso un collante col nome di un cantante (a questo punto non importa se sia De Gregori o Antonacci) sono diventati amici, fidanzati, mogli, mariti, fratelli, compari, nipoti, zii. Quasi un fenomeno sociale.
L’incontro è nato dalla voglia di re-incontrarsi tutti assieme dopo anni, molto meglio di una rimpatriata liceale, a seguito di tamtam su Faceboock. Non è più necessario se a qualcuno di questi, dopo tanto tempo, di De Gregori non gliene può più fregà de meno; non importa se capisce se ci sia lui o no o quanto possa essere fondamentale scandire il suo nome. La cosa essenziale, invece, è rivedersi, rimanere sempre amici anche dopo un decennio; ritrovarsi esattamente sullo stesso luogo coi capelli bianchi ma con lo stesso spirito e lo stesso entusiasmo di allora, quando si sventolava un mitico striscione sotto il palco come quindicenni. Quindi, al di là del personaggio "De Gregori", al quale non stringevo la mano da quasi tre anni, mi ha fatto un immenso piacere rivedere tutti questi miei amici in questa itinerante e permanente "gita scolastica", come ci ha definito tempo fa.Il concerto? C’è gente molto più brava di me a recensirlo. Posso solo dire che è stato bellissimo, tutto da ascoltare. Perché chi paga il biglietto deve sentire musica, buona musica, e basta. Queste nostre estati musicai stanno diventando sempre più inzuppate di concerti di questi evergreen all’ultima spiaggia che cercano di allungare il brodo con personali concetti filosofici citando poesie, pensieri appartenenti a scrittori del passato e contemporanei o addirittura raccontando cose personali. Non si paga il biglietto per sapere che sei amareggiato perchè tua figlia (trentasettenne!) ha avuto due gemelle e che le vizierai per farle dispetto.
De Gregori è diverso. Tutto quello che vuole dirti che te lo dice cantando e suonando le sue canzoni, magari dicendoti Grazie (se gli va) alla fine se si accorge che le hai capite. Poi è contento se ti accorgi di certe sue magie che non hanno bisogno di spiegazioni. Ieri sera, per esempio, ha cantato Santa Lucia (la preferita di Dalla) mischiandola con il riff di Come è profondo il mare. Alla fine della canzone si è tolto il cappello e, guardando le stelle, ci ha invitati ad alzarci in piedi e ad applaudire il cielo in segno di rispetto a Lucio. Un grande. L’avranno capito tutti? Macchè, dopo mezz’ora qualcuno, dalla platea, gli ha chiesto un omaggio in memoria di Lucio Dalla, beccandosi un sonante “perché parli?”. Gli epitaffi facciamoli fare a Gigi D’Alessio. Non a De Gregori.
Bella serata. Grazie Francesco, grazie ai ragazzi della band sempre affettuosi con noi, ma soprattutto …. grazie amici miei.
Il Nostromo - Dal giornale di bordo, 24.8.2012.

 

 

 

 

 

 

 

Tenimmoce accussì: anema e core...

Mimmo Rapisarda - Zafferana, 24.8.2018

Con Daniele Di Grazie, ieri abbiamo sconfitto meteo.it, 3b.meteo e tutti gli altri servizi meteorologici perché la musica di Francesco ha fatto risplendere le stelle all’Arena di Zafferana allontanando qualsiasi minaccia di temporale paventata nella giornata. A dire il vero, Guido voleva prendermi a scarpate per le previsioni che gli avevo inviato, anzi quando gli ho detto che in gioventù non mi voleva più invitare nessuno perché portavo pioggia, mi stava buttando fuori dalle prove.

Arrivano Francesco e la gentilissima signora Chicca. Quando vedo la sua gioia nel vederci, il divertimento di infilarci fra le sue lunghe braccia nel selfie allo strozzo, la voglia di rimanere in camerino a bere del vino con lui, mi fa pensare “forse avrò letto male?”. E’ lui o non è lui? Ormai non mi stupisco più.

Il benvenuto in tono siculo “minchia, che si dice nella Stiva di Ciccio?” ah ah. ..un compagnone, uno di noi. Poi il cappello in paglia di non so quale tour che ha infilato in testa alla capoccia di Daniele, altre cose che non è il caso di raccontare qui e, in sintesi, la grandissima considerazione (parole che conservo solo per me) che ha nei confronti del www.iltitanic.com che mi onoro di governare, e dello storico e mitico www.rimmelclub.it , entrambi catanesi.

Ieri sera in grande vena e abbastanza loquace. Dopo l’omaggio al suo grande amico Lucio che con il riff di “Come è profondo il mare” e l’invito all’ovation ha fatto arrivare fino al cielo della sua Milo, ha continuato con la scaletta standard di questo tour che viaggia per tutta l’Italia sotto questa luna gigante.

E poi il turno di Alice “…. ma la sposa aspetta un figlio e lui sa, non è così e se ne andrà..”. Siamo quasi alla fine, con la chitarra imbracciata avanza davanti alla platea, forse troppo, ma che sta facendo? Di fronte a migliaia di spettatori si avvicina alla prima fila e, continuando a suonare la chitarra, arriva di fronte a due storici fans e chiede “ragazzi, come stiamo andando?” !!! Da brividi, indimenticabile momento.

E questo sarebbe l’artista scorbutico? Quale altro cantante farebbe cose del genere? Grazie Ciccio e non Francesco (siamo al sud, come vuol essere chiamato da Roma in giù).

Grandissimo De Gregori, come sempre.

 

TAORMINA, 14.6.2019

Mimmo Rapisarda

Innanzi tutto preciso che la mia non è una recensione, ma un racconto. Non faccio di mestiere il critico musicale; sono solo un noto fan che cerca di descrivere a modo suo la sua antica patologia musicale.

14 giugno 2019. Memorabile evento che verrà ricordato nella carriera di Francesco De Gregori per il tour accompagnato da una grande orchestra di archi e fiati, gli Gnu Quartet, due vocalist e la sua fedele Band: il capobanda Guglielminetti, Giovenchi, Valle e Gaudiello.

Stavolta non sono con Daniele, mio amico di merende e d’avventure, però entrambi presenti con rispettivi parentami in quelle prime file che, come avevo già scritto, non mi soddisfacevano perché avrei preferito un biglietto tipo “in braccio a Ciccio” in giù (sì, poveretto).

Si parte nel tardo pomeriggio da Catania, con l’auto di mia moglie approvvigionata dal sottoscritto con una pen-drive piena zeppa di buona musica perché, conoscendo i gusti delle mie compagne di viaggio, non volevo correre rischi. Tante belle cartelle (le folder, va) in ordine alfabetico e almeno in questo mi salvavo perché la prima, almeno, era quella degli America.

Purtroppo, per strada, la cosa comincia a non quadrarmi, e la cosa peggiore è scoprire che…… la prima cartella, e non so perché, era denominata AAA D’ALESSIO (sabotaggio) !!!

Aggiungo che non riescivo ad individuare il tasto per saltare le cartelle. Niente, mi arrendo: 45 minuti fino al casello con canzoni da gelataio che mi ricordavano i coni da 5 e 10 lire negli anni Sessanta “si stasera t’avissi vasa, non dirgli mai …..” oppure “tanto 'o saccio vaje pazze pe mme, dimme sulo addo ciamm' a vedè” !!!!

Intossicato, arrivo a Taormina e dopo aver rivisto con piacere gli amici Salvo Cascone e Michela Becciu, mi accomodo al mio posto al Teatro antico già quasi pieno.

Buongiorno buongiorno, mi chiamo Francesco. Tricarico apre la serata con suoi tre brani.

Subito dopo, la splendida “Oh Venezia” (instrumental), eseguita magistralmente dalla Gaga Symphony Orchestra.

La band comincia ad entrare e poi… buonasera buonasera, anch’io mi chiamo Francesco! Eccolo, il Principe, avanzare nella sua regale andatura mentre saluta il pubblico siciliano.

Inizia la scaletta, che rimane fissa per tutto il tour: Generale, Il cuoco di Salò, La storia, Pablo, Due zingari, La leva calcistica della classe ’68.

Si vede, già da subito, che è in vena di scherzare “ma che bella gente che c’è stasera, ma com’è che nessuno mi chiama Ciccio, anzi ……… Cicciuzzu?”

Insolitamente ciarliero e disponibile al dialogo, spiega il significato de La valigia dell’attore e poi di come, in meno di un’ora, abbia saputo tradurre in musica e parole (Un guanto) le tavole dell’artista Klinger.

Dopo essersi mosso come un cantante a Brodway col solo microfono, infilato nell’insolito abbigliamento sudamericano e in certe camicie a fiori raccontate nella sua Banana Republic, imbraccia finalmente la sua Gibson per quell’inciso di Bufalo Bill che mi spinse ad imparare la chitarra; e poi Santa Lucia con l’omaggio finale al grande Lucio.

Scherza, precisa che qualcuno si sorprende ancora nello scoprire che De Gregori è una persona normale (vero, garantisco). Ormai si muove sul palco come un animale da palcoscenico, fa divertire i suoi musicisti con smorfie da discolaccio, fa loro i complimenti, come quelli al maestro Carlo Gaudiello che al piano esegue alla grande La donna cannone, Sempre per sempre, Cardiologia. Reduce da quel contatto col pubblico dopo un mese di concerti alla Garbatella, scherza ancora di più. Si diverte, gli piace guardare tutta quella gente convinta che lui sia la colonna sonora di ognuno di loro, mentre i suoi occhi luccicano davanti a migliaia di torce elettroniche che si muovono come candele solo per lui. Lui che tanto odiava farlo, accenna un pizzo di gossip riguarda al numero delle sue scarpe, annuncia il Titanic in Spagnolo. Insomma, è rilassata, sta bene e si vede.

Qualcuno chiede Rimmel: “No, è una vecchia canzone, non la facciamo più, era dedicata a una ragazza”. E dalla platea: “e Niente da capire?” A un’altra ragazza!

Scorrono poi veloci Alice, Vai in Africa, Celestino! Pezzi di vetro.

Arrivati a Titanic, vuoi perché il sottoscritto manovra un certo transatlantico multimediale, si sente nell’aria che qualcosa di magico stia per arrivare. E infatti, senza saperlo, fa un omaggio al comandante di questa nave. Nel finale della canzone si accorge di me, seduto in 2° fila di fronte al microfono. Sorride, gli faccio un cenno di saluto e lui mi fa il gesto con la mano aperta: “vieni qua!” Riconoscendomi abilità che, con gli attuali problemi all’anca, reputavo impossibili, con un tuffo carpiato, avvitato, rovesciato (ho esaurito i termini tecnico-sportivi) mi catapulto in quei due metri che mi separano dal Capo che mi aspetta a palmo aperto, davanti a 3.000 persone!

Attorno a me non sento più niente, tutto ovattato. Nemmeno la musica o il pubblico pagante, che non si aspettava questo fuori programma. Con Francesco ci stringiamo fortissimo le mani, gli mando un bacio e alla fine, prima di congedarmi, faccio un saluto militare al Generale che si rialza e finisce la canzone raccontando di quelle ragazze di terza classe che per non morire andarono in America.

Ritorno al mio posto e ricomincio a sentire, piano piano, il sonoro che si ripresenta attorno alle mie orecchie ancora attutite da quel che era appena successo. Mia moglie è stupita anche lei per quello tsunami appena passatole davanti e durato poco meno di 10 secondi. Le dico “non mi rovinare questo momento, al ritorno a Catania spegniamo direttamente la radio, per favore”.

Il Principe presenta tutti e se ne va, ma ritorna per i bis: I can’t help falling in love with you, Buonanotte fiorellino (con un saluto finale anche a Daniele Di Grazia del Rimmelclub e a Luca Francesco, antico fan) e infine l’immortale Rimmel che aspettano tutti, riconosciuta quale portabandiera delle delusioni di ogni italiano appartenente a una certa generazione.

Al mio ritorno a casa ho pensato ai miei 16 anni, di quando vedevo De Gregori come un’entità irraggiungibile, un mito giovanile che non avrei mai potuto incontrare. Rivedendomi oggi a quasi 62 anni, con quel che è successo in tutte le volte che sono stato con lui, devo puntualmente ricredermi su quella convinzione che avevo da ragazzo.

Rispetto a quel che ho dato a De Gregori, da lui ho ricevuto molto, ma molto di più. Ma sto guarendo, e ogni volta mi aiuta proprio lui, facendomi capire che Francesco è solo un amico, non un mito.

Lo so, ma ogni volta mi viene di mettermi lo stesso le mani ai capelli per quel che mi accade! Un esempio? Prima di andare a letto mi sono lavato, con grandi difficoltà, solo con la mano sinistra. Quella destra, ancora pregna di gloria, non l’ho ancora lavata!!

De Gregori & Live Greatest Hits…………..Greatest, molto molto greatest!!

 

Taormina 17 lug  2021

 

 

 

 

 

MODALITA’ ATLANTIDE https://www.iltitanic.com/2024/058.JPG

Villa Bellini, 1 agosto 2024. In fondo al piazzale delle Carrozze il grande palco, tutto ben organizzato in modo da permettere ai cittadini di usufruire anche loro dei Giardini pubblici, quindi separati dagli eventi di Catania SummerFest.

Dopo un saluto al caro Gaudiello, a Valle, Talone e al Capobanda, come concordato esce fuori dall’area riservata, come da una nuvola, Vincenzo “Chips” Lombi, road manager di De Gregori. Ci salutiamo, ma un agente dell’istituto di vigilanza, con un atteggiamento da sceriffo ci ferma e dice che non posso entrare perchè privo di pass.

- guardi che è un ospite dell’artista, dopo lui ce ne sono altri quattro.

- mi dispiace, non può entrare.

Mandando a quel paese quel coglione, Chips mi afferra per il braccio e senza più ascoltarlo mi accompagna alla tenda dove si rilassa colui che per brevità chiamiamo artista. Entro, pensando che mi avrebbe subito detto la spassosa "che minchia si dice nella stiva di Ciccio?". E invece: "Rapisarda! Ormai siamo come fratelli!"

Non sono scemo, sapendo che dopo di me aspettavano lì fuori autorità, giornalisti e diplomatici, non mi dilungo nell’incontro. Solo dieci minuti. Gli porgo i saluti del mio compagno di merende Daniele Di Grazia (assente giustificato) e poi, fra complimenti reciproci e facendomi portavoce di tutti coloro che gli vogliono bene, abbiamo parlato anche di cose che mi tengo per me. Quelle lecite: il mio servizio di Corvè quando accompagnai tre baglioniane scatenate al concerto di Siracusa nel 2022, mimando il tenente La Rosa di Mediterraneo riguardo la durata di quel tedio: “Francesco, minchia….  tre ore!!”. Ride anche Chips alla porta, mentre mi ascoltava. Vedendolo interessato (bella, Ognina!), gli ho poi spiegato la creazione del lungomare catanese ad opera dell’Etna nel 1160 e del Porto Ulisse una volta esistente in quella borgata.

Un consiglio: non parlategli di quando farà il prossimo disco o di noiose cazzate relative al suo lavoro. Fatelo divertire, non tiratevela facendo gli Anthony Scaduto di turno elencandogli l'Opera Omnia di Dylan solo per attirare la sua attenzione. Ricordategli invece un film di Sordi o una partita della Roma, oppure cose frivole e banali. Insomma, siate normali e sopratutto voi stessi.... e vi ascolterà come se fosse un vostro amico da sempre. 

Quando ci siamo salutati mi ha regalato in anteprima la scaletta, bagnata dal suo tè freddo. “Mi raccomando, non farla leggere”. Torno al posto e lo tradisco subito. Come non potevo condividerla con quelli che venivano a salutare zio Mimmo, il Nostromo, il Capitano, (non ricordo gli altri soprannomi)? È stato un piacere conoscere finalmente Carmen, Donatella, e rivedere Alessandro Noto con Serena, Mauro e Sabrina, Angelo Giuliano, Luciano Cosentino con Giovanna, Giampy e Beppe Ferrigno, e chissà quanti altri erano lì attorno.

La scaletta, che mezz’ora dopo l'inizio era già disponibile sul suo canale Instagram, è ormai nota con la prima “Lettera da un Cosmodromo Messicano” suscitando commenti fra le file etnee “ma qual è chista? Na canusciu, ma è a ‘so o di Lucio Dalla? Quella di Dalla era invece Anidride solforosa, cantata magistralmente in coppia con Angela Baraldi e contenuta nel suo disco Bootleg del 1993 e in quello omonimo di Lucio del 1975.https://www.iltitanic.com/2024/059.jpg

Durante lo spettacolo è abbastanza ciarliero, virtù che dice trasmessagli da Venditti nell’ultimo, interminabile, tour. Infatti spiega molte canzoni che per quelli che ci avranno scoperto dentro chissà quali storie d’amore non sono altro che suoi candidi sogni di una purezza e semplicità disarmanti. Vedasi la Dolly e il figlio del figlio dei fiori, che lui definisce “due figli di puttana” e che ne fanno di tutti i colori in quella notte quando rimasero intrappolati nella testa di quel geniale visionario che conosciamo. Oggi le spiega volentieri (“dicono che sono ermetico”), diversamente dall'antico De Gregori che pronunciava al massimo dieci parole, forse perché non gliene frega più nulla di niente; impermeabile anche alle critiche per gli spot Enel e Fiat e il disco con Zalone.

Con la stessa naturalezza presenta la banda composta da Guido Guglielminetti (basso e contrabasso), Carlo Gaudiello (pianoforte), Primiano Di Biase (hammond e tastiere), Paolo Giovenchi (chitarre), Alessandro Valle (pedal steel guitar e mandolino), Simone Talone (batteria e percussioni) e Francesca La Colla (vocalist). “La mia storica band. Non abbiamo sequenze, effetti, autotune e varie diavolerie. Musica italiana, è tutto originale, anche gli errori fra noi sono originali, e si sentono”. Bello davvero, come un artista che suona in giro fra i Pubs del Texas e dell’Arizona per pochi dollari e le birre per i musicanti!

E così si arriva all’ultima dei bis: Buonanotte fiorellino, per la quale non è disponibile, purtroppo, un video fin dall'inizio. Francesco si avvicina fin sotto al palco e si accorge che sono seduto in prima fila. “Questa è una canzone da ballare, quindi io vorrei che si formassero delle coppie e che ballassero al ritmo che avrete riconosciuto.... che è un valzer. Perché questa canzone è bella da ballare, più bella che da cantare. Forza, aprite le danze, sotto il palco c’è anche abbastanza spazio, avanti su…… Rapisarda dai, mi fido di te!”

A quel punto devo alzarmi dalla sedia, incito il pubblico dietro di me a ballare e mi infilo con mia moglie dentro pochi passi di un valzer che non dimenticherò facilmente. Subito dopo vengo travolto da un’onda di catanesi che stanno lì sotto a ballare anche da soli, un altro centinaio impazziti arrivano sotto il palco per stringergli la mano. Una signora alle mie spalle mi rompe quasi i timpani gridandogli "Alice!, Alice!". Il Capo è contento, tanto contento, ricambia come se fosse Papa Francesco, accontentando mille mani e curvandosi come non l’avevo mai visto fare.

Qualche giorno fa ho scritto di una canzone di Francesco De Gregori del 1976 che lui così spiegò:

“Mi ricordo una stanza abbastanza grande con due finestre e addossato alla parete fra queste due finestre il pianoforte verticale. Allora mi misi lì a suonare e a scrivere questa canzone appuntando le parole su un foglio di carta e intanto faceva giorno piano piano e la luce entrava da queste due finestre a destra e a sinistra del pianoforte e pensai che quello fosse il miglior giorno stereofonico che avessi mai visto. E un po’ perché sembrava proprio di stare sott’acqua un po’ perché quello era un raro, prezioso, momento di solitudine, mi venne in mente di chiamare questa canzone Atlantide. In seguito venni invitato dalla RCA in un grande albergo di Sabaudia dove c’era una riunione degli addetti alle vendite. Naturalmente la cosa finì tardissimo e io tornai a Roma verso le cinque del mattino e alle sette doveva passarmi a prendere Michele Mondella per andare insieme a Catania dove avevo una serata. Pensai che non valeva la pena mettersi a dormire per due ore e cominciai a scrivere questa canzone. Più tardi, sopra Catania, feci leggere le parole a Mondella. Ormai era giorno fatto, il sole a quell’altezza scottava attraverso i finestrini. Sia io che Mondella avevamo dei grandi occhiali scuri ed eravamo morti di sonno e lui mi disse che ero matto” 

Ecco quel che pensò quell'uomo di passaggio nel 1975, mentre volava alto nei cieli di Napoli per poi completare i suoi pensieri sopra quelli di Catania. Sapevo già che alle porte di agosto un signore con la barba bianca avrebbe sorvolato i cieli della mia città come allora e che, puntualmente, mi avrebbe fatto entrare in modalità.... ATLANTIDE!

Non ti incrociavo da tre anni, amico mio. Grazie sempre!

(dal diario di bordo, Mimmo Rapisarda)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

     

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LOGHI E BANNER

 

 

 

TASTO DESTRO DEL MOUSE PER SALVARE LE IMMAGINI

 

 

 

 

 

                  

 

 

"Francesco, sai che io sono il nostromo e tu il comandante del mio Titanic?"

"Eh, Mimmo, ma essere il comandante di una nave che è affondata....."  

"Sì, ma mi hanno detto che stavolta è inaffondabile!"

"Anche allora lo dicevano!"

(Catania, 21.4.2005)

 

 

   

Potevo mai passare da Belfast e disertare la visita alla casa madre?

 

 

 

 


Un particolare ringraziamento va agli ufficiali di macchina e di coperta che dal varo (Southampton - 1 febbraio 2005) hanno contribuito all'approvvigionamento della stiva.

Il primo di tutti all'ufficiale di coperta Samuele Romano, che collabora da anni col Nostromo caricando continuamente a bordo preziose mappe. E poi Daniele Di Grazia, Francesco Corallo, Marina Vitullo, Valeria Bissacco, Enzo Memoli, Claudio Gori, Paolo Galli, Dario Cavagna, Andrea Pedrina, Simona Simone, Carlo Gaudiello, Daniela Spaziani, Antonella Tartaro, Beppe Ferrigo, Mauro Arena, Gisella Forato, Marisa Luppino, Mariateresa Franza, Salvatore Esposito, Guido Guglielminetti, Alex Valle, Francesco Luca Bertè, Riccardo Pieri e Lorenzo Sala.