



Francesco De Gregori condurrà la
serata di apertura al Teatro Regio del Torino Film Festival 2022
Apertura in grande stile per il
Torino Film Festival del quarantennale diretto da Steve Della Casa. Il
25 novembre, alle 19, al teatro Regio di Torino sarà lo stesso direttore
a condurre la serata in compagnia di un ospite d’eccezione: Francesco De
Gregori.
La serata di apertura sarà tramessa
anche in diretta su Rai Radio 3 dal programma Hollywood Party. La
presenza di De Gregori è giustificata dal tema della serata, che sarà:
Beatles, Rolling Stones e Bob Dylan al cinema. Nel corso della serata
saranno ripercorsi i rapporti dei grandi artisti della musica con il
mondo del cinema.

NONANTOLA -
Bello, affascinante ed essenziale. Francesco De Gregori torna live con
la sua band per quattro appuntamenti speciali nei club d’Italia. Il mini
ciclo si chiama De Gregori & Band Live - The Greatest Hits. Ed è davvero
un viaggio serrato nel suo mondo musicale. Il primo appuntamento, che ho
visto e vi racconto è stato al Vox Club di Nonantola in provincia di
Modena. Pubblico ordinato e rispettoso delle regole, quindi con
mascherina sempre a coprire naso e bocca. Molti giovani, voglia di
divertirsi e una striatura di nostalgia gli ingredienti della serata.
Sul palco, con De Gregori, Guido Guglielminetti (basso e contrabasso),
Carlo Gaudiello (tastiere), Primiano Di Biase (hammond), Paolo Giovenchi
(chitarre), Alessandro Valle (pedal steel guitar e mandolino) e Simone
Talone (percussioni). I prossimi live saranno il 23 aprile a Napoli, il
28 a Roma e il 29 maggio a Milano.
Francesco De Gregori ci porta nella
sua Atlantide con un viaggio lungo due ore. Poche parole e molta musica.
La sua essenzialità è quasi un marchio di fabbrica ed è molto apprezzata
dai fan. Il Vox Club è un locale storico, e non solo dell'Emilia. Tanta
storia della musica ha acceso questo locale che sa molto di balera. Il
Principe sceglie di presentarsi con Viaggi e Miraggi cui segue Numeri da
Scaricare. Sul palco si muove con la grazia dell'airone, una leggiadria
fatta di pochi movimenti ma catalizzanti. Il pubblico entra subito in
sintonia con La Storia, ce ne è tanto bisogno, in questo periodo
devastante, di sentirci ricordare che la storia siamo noi, che nessuno
deve sentirsi escluso. E l'inclusione esplode in tre brani-ritratto che
sono Bufalo Bill, Alice e Il Cuoco di Salò. Ci sono un paio di momenti
in cui a De Gregori piace giocare facile: il primo è a metà concerto
circa, quando, in sequenza, esegue Generale, Sempre e per Sempre e
Titanic. Sembra di assistere a una messa laica: labbra che si muovono in
rispettoso silenzio, un accompagnamento lieve di persone che sempre e
per sempre dalla stessa parte si troveranno. L'altro passaggio magico e
intergenerazionale è alla fine, prima dei due brani di saluto. Stavolta
si gioca addirittura un poker. E d'assi. Rimmel, Pablo, La Donna Cannone
e Buonanotte Fiorellino sono carezze. Sono il bello che ci salverà
sempre. Il finale non poteva che essere Viva l'Italia
https://tg24.sky.it/spettacolo/musica/2022/04/21/concerto-francesco-de-gregori-scaletta





L'arena del Dubai Millennium
Amphitheatre dell'Expo si è riempita per Francesco De Gregori, che si è
esibito nel suo repertorio più noto al pubblico: da Buonanotte
Fiorellino a Rimmel fino alla Donna Cannone. Poi il colpo di scena a
fine serata con il cantautore romano Antonello Venditti che, salito a
sorpresa sul palco, ha cantato insieme a De Gregori 'Viva l'Italia' e
'Roma Capoccia'. Dubai si sta riempiendo di italiani con le temperature
che diventano primaverili, è abituale ascoltare il nostro idioma tra i
visitatori di Expo, che ha registrato nei giorni scorsi 3 milioni di
visite e il sorpasso delle 400 mila visite al Padiglione Italia.

Ciò testimonia come siano ripresi non
solo i viaggi di affari, ma anche le vacanze su Dubai. L'appuntamento
con il concerto di De Gregori è stato affollato non solo dalla comunità
di italiani, ma anche da molti turisti, con il cellulare in mano a
riprendere il concerto.
De Gregori aveva precedentemente
incontrato il commissario generale Paolo Glisenti e visitato il percorso
espositivo del Padiglione Italia, dedicando un'attenzione particolare
alla riproduzione del David di Michelangelo.
(ANSA) - DUBAI, 15 NOV
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Francesco De Gregori e Antonello
Venditti hanno cantato "Viva l'Italia" a Expo 2020 Dubai: ecco tutto il
video. I due cantautori romani hanno rappresentato il nostro Paese in un
prestigioso contesto internazionale, alimentando l'attesa del loro
concerto insieme allo Stadio Olimpico nella Capitale.
Francesco De Gregori ha ospitato
l'amico in un suo concerto sul palco del Dubai Millennium Amphitheatre,
nell'ambito dell'Esposizione Universale in corso negli Emirati Arabi
Uniti, come mostrano le foto pubblicate sui suoi social.
"La Bellezza unisce le persone" ha
commentato Antonello Venditti, che ha unito la voce a quella di De
Gregori anche sulle note della sua "Roma Capoccia", come riporta l'Ansa.
Il live è stato molto apprezzato
dalla comunità italiana accorsa a Dubai e non solo: in questi giorni
Expo 2020 ha fatto registrare 3 milioni di visite e 400mila al nostro
Padiglione, dove Francesco De Gregori ha ammirato in particolare il
David di Michelangelo.
Intanto, dopo i tour che i due
artisti hanno tenuto quest'estate, cresce l'attesa per il concerto di
Venditti e De Gregori allo Stadio Olimpico di Roma, riprogrammato per il
18 giugno 2022.
https://www.radioitalia.it/news/expo-francesco-de-gregori-e-antonello-venditti-cantano-l-italia-a-dubai-531507


CATANIA – Settant’anni e non
sentirli. Coraggio, altruismo, fantasia: non un semplice giocatore, ma
un vero fuoriclasse. Francesco
De Gregori domina la scena sul palco del Teatro Massimo Bellini: un
ragazzo dall’età indefinita che seduce il suo pubblico di aficionados.
Gli spettatori con “il cuore mangiato” e “un cappello pieno di ricordi”
che tornano a galla nota dopo nota, strofa dopo strofa.
Le mascherine di protezione e il
distanziamento sociale non frenano la voglia si cantare, emozionarsi,
tornare a vivere. L’appuntamento ormai annuale con il Principe,
organizzato dall’associazione Diplomatici a conclusione della prima
giornata del Festival Internazionale di Geopolitica Mare Liberum, non
delude. Due ore di musica, sangue e sudore scandite dai tesi di classici
intramontabili: Bufalo Bill, La Storia, La testa nel secchio, Atlantide,
Titanic.
De Gregori canta senza sosta
godendosi lo spettacolo sotto lenti scure dei suoi inconfondibili
occhiali. Come il bufalo non ha la strada segnata, scarta di lato ma non
cade: un artista poliedrico che alterna ritmi rock a ballate folk,
atmosfere intime riscaldate da luci tenui a tripudi di suoni pennellati
da un’illuminazione sgargiante.
De Gregori colpisce con una raffica i
brani intramontabili: Il cuoco di Salò, Alice, Generale, Sangue su
sangue, Cardiologia, Generale, Rimmel. Il suono della sua armonica culla
il pubblico.
Poi un religioso silenzio accompagna “La leva calcistica
del 68”. “Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore: non è
mica da questi particolari che si giudica un giocatore”.
Il principe della canzone d’autore
italiana, a questo punto, si avvicina al microfono e dedica il brano ai
ragazzi coinvolti nei progetti internazionali dell’associazione,
incoraggiandoli a seguire i loro sogni senza il timore di commettere
degli sbagli. Il consiglio di un fratello maggiore che mette in guardia
dalla paura che paralizza che fa perdere “l’anima e le ali” (per dirla
alla sua maniera).

De Gregori fa pure una battuta
suggerendo che oltre al coraggio, all’altruismo e alla fantasia
servirebbe una buona conoscenza delle lingue straniere. Poi torna alla
sua musica. Sciolto sulla scena quanto schivo nel dietro le quinte: ai
fan non concede nessuna foto. Quando le luci si fanno soffuse si
accomoda sullo sgabello; graffia con la voce, accarezza con la musica e
scarnifica con le parole. Poi interpreta “La donna cannone”. Sulle note
di “Sognando un altro Egitto” si congeda. Acclamato dal pubblico, torna
in scena e suonare un ultimo brano: “Viva l’Italia”. Cala il sipario,
l’emozione rimane.
Roberta Fuschi
https://livesicilia.it/2021/10/10/de-gregori-sul-palco-del-teatro-bellini-seduce-catania/

Il Fondatore dell’Associazione
Diplomatici
Claudio Corbino è nato a Catania il
12 Dicembre 1977. Laureato con lode in Giurisprudenza, presso
l’Università degli Studi di Catania, già nel 2000 fo nda l’Associazione
Diplomatici di cui è presidente. L’associazione si afferma molto presto
prima in Europa e poi in tutto il mondo e si caratterizza come
contenitore di giovani eccellenti che aspirano alle carriere
internazionali. Nel 2012 fonda il “Change
the World Model United Nations”, divenuto oggi uno tra i più importanti
forum studenteschi al mondo. Da sempre attento all’impegno sociale,
Corbino è il promotore di un rinnovato modello formativo che fonda la
propria forza sullo studio e sulla riproduzione del funzionamento degli
organismi internazionali complessi.
Nel gennaio 2016, in considerazione
dell’azione di divulgazione dei valori UN nel mondo, il comitato NGO
delle Nazioni Unite ha attribuito all’associazione Diplomatici lo status
consultivo speciale in ECOSOC. Corbino è inoltre membro dello “European
Council for Foregin Affairs” (ECFA), editore della rivista di
Geopolitica “eastwest” e co-fondatore dell’“Eastwest European Institute"
che annovera al proprio interno alcune tra le più autorevoli figure
della cultura e della politica europea e internazionale.
_______________
Non ci stancheremo mai di ripeterlo:
l'arte e la cultura offrono ai ragazzi e alle ragazze gli strumenti per
guardare il mondo con occhi diversi, da una prospettiva nuova. E un
artista come Francesco De Gregori non può che farci chiudere in bellezza
la prima giornata di Mare Liberum!
https://www.diplomatici.it/

vai al tour 2021

“Manco da Fontanellato da
45 anni, dal concerto al Jumbo, ora credo ci sia un supermercato…”
così Francesco De Gregori in apertura
di serata ieri a Fontanellato, accolto da un pubblico affettuoso che non
si è fatto fermare dalla pioggia, a tratti battente.
Fra le note calde di chitarra, di
armonica e di pianoforte è entrata dunque nel vivo la rassegna Musica in
Castello, organizzata dall’associazione Piccola Orchestra Italiana e
giunta alla diciottesima edizione.
In uno scenario davvero suggestivo,
tra il fossato e le mura della Rocca Sanvitale, sono risuonate le note
dei grandi classici del cantautore romano (accompagnato al pianoforte in
alcuni brani da Carlo Gaudiello).
Dalle canzoni degli anni Settanta
(Alice non lo sa, Rimmel, Buonanotte fiorellino), a quelle degli anni
Ottanta (La leva calcistica, A Pa’, Cose, Titanic) fino ad arrivare agli
anni Duemila (Sempre per sempre; L’uccisione di Babbo Natale, La storia
siamo noi).
Poesie e liriche che hanno
accompagnato generazioni e generazioni di italiani e che sono pietre
miliari della storia della musica.
Francesco De Gregori ha chiuso e
salutato il pubblico, dopo un’ora di performance, con “La donna
cannone”.
La serata è proseguita con il
concerto di Thom Chacon, Tony Garnier (contrabbassista di Bob Dylan) e
Paolo Ercoli (pedal steel, dobro, mandolino).
Presenti il sindaco di Fontanellato
Francesco Trivelloni, Michele Guerra, assessore alla Cultura del Comune
di Parma (la rassegna rientra nel programma di Parma2020+21) e di
Barbara Lori, assessore regionale alla Programmazione, Pianificazione
Territoriale e Pari Opportunità.
https://www.parmadaily.it/de-gregori-a-fontanellato-dopo-45-anni-sotto-la-pioggia-sono-risuonati-i-suoi/




De Gregori: “La Storia è
la canzone che mi imbarazza di più…”
Uno dei suoi capolavori. Uno dei
tanti, tantissimi che Francesco De Gregori ha scritto. E che ieri sera,
al Caffeina Oro Festival di Caprarola, sotto Palazzo Farnese illuminato,
ha presentato. Il suo libro. “Francesco De Gregori. I testi. La storia
delle canzoni”, a cura di Enrico Deregibus, anche lui sul palco a
Caprarola, e pubblicato da Giunti Editore.
E’ la storia di De Gregori, ma
soprattutto i testi. Come Bob Dylan. Lyrics. Soltanto tutte quante
insieme. Poesia o meno, Francesco De Gregori ha indubbiamente segnato la
storia della letteratura italiana. Ma siccome questo posto gli verrà
riconosciuto più avanti, De Gregori, con questo libro, se l’è preso da
solo. E senza che glielo conferissero altri. Appunto come Dylan. Non a
caso, come ha ribadito anche ieri sera, suo “punto di riferimento”.
“Sono 8 anni che non faccio uscire
un disco perché non ho un minimo di ispirazione – ha poi aggiunto De
Gregori dal palco -. E in questi momenti bisogna saper ascoltare e stare
in silenzio. In silenzio, la forma più sublime di vita. Quando non si ha
più l’ispirazione”.
Chi s’aspettava, e temeva, un De
Gregori burbero che sarebbe stato lì a brontolare quant’era bello ai
suoi tempi, ha trovato invece uno simpatico e brillante, paziente ed
elegante nel rispedire al mittente i luoghi comuni. E’ stato pure al
gioco, allo scherzo e “all’ammirazione”. Poi s’è fatto freddo, l’ha
fatto notare, il tono di voce più severo, e le domande sono finite. Lo
schiocco di dita di chi è cosciente del ruolo avuto nella storia della
musica e della letteratura che in Italia, dal Canzoniere di Petrarca in
avanti, si sono sempre intrecciate. E come Petrarca si vergognava del
Canzoniere, i cantautori in Italia hanno avuto sempre il dubbio se
quello che scrivevano fosse importante come le cose che gli insegnavano
a scuola quand’erano bambini. Meriti che hanno sempre stentato a
prendersi. Meriti che invece hanno, De Gregori di sicuro. Proprio sulla
scia del Canzoniere che da questo punto di vista segna un percorso, che
arriva fino ai giorni nostri e che nel cantautorato trova una delle sue
espressioni più belle e raffinate. Un punto di incontro, e snodo, tra
culture. Subalterne e di classe.

Testi, quelli di De Gregori, non
ermetici, ma colti. Con la volontà di dialogare anche con le forme di
espressione ed organizzazione “spontanee” delle culture subalterne.
“L’intellettuale rovesciato” di Gianni Bosio che ispira il lavoro
pubblicato con Giovanna Marini nel 2001. “Il fischio del vapore”, con
dentro i “Treni per Reggio Calabria”.
“Diversi testi, a rileggerli a
distanza – racconta De Gregori – ci si rende conto che sono figli del
momento. Alcune canzoni sono retoriche. La canzone che mi imbarazza di
più è la Storia. Si presta ad essere fruita in modo molto retorico,
risorgimentale. Un imbarazzo che trovo anche in altre canzoni, anch’esse
sentimentali, in cui non mi ci ritrovo più”.
“Parlare di letteratura in merito ai
mie testi – aggiunge – lo considero abbondante. Sono tuttavia un
artista. Fare arte è il mio mestiere”. Un’arte che per De Gregori “deve
essere ispirata”. Cioè restituire, oppure indagare ulteriormente.
Sviluppando, il passo oltre il Canzoniere, ulteriori figure retoriche
rispetto a quelle utilizzate nei testi letterari precedenti al lavoro di
De Gregori. Racchiusi adesso in un corpo unico. Come un codice. E al
tempo stesso un classico che De Gregori, che accaduto anche a Carmelo
Bene, s’è voluto regalare in vita.
Daniele Camilli
http://www.tusciaweb.eu/2021/07/de-gregori-la-storia-la-canzone-mi-imbarazza-piu/

La graphic novel ‘Figli del mondo’ è un tributo all’universo dei cani,
tanto presenti nei brani del cantautore romano quanto al centro
dell’impegno di LNDC Animal Protection. L’opera, che cita 20 brani di De
Gregori ed è tributo ai suoi 70 anni compiuti proprio ad aprile, ci
porta nell’anima di uno dei legami più forti della nostra vita, quello
con i nostri fedeli amici cani, parlando di libertà, lotta e poesia, ma
anche ingiustizie e riscatti. Da oggi è visibile e scaricabile
gratuitamente sul sito dell’associazione.
Milano, 21 aprile 2021 – Una graphic
novel che omaggia i cani, tanto presenti nei brani di Francesco De
Gregori quanto al centro dell’impegno di LNDC Animal Protection. Si
chiama ‘Figli del mondo’ e da oggi è visibile e scaricabile
gratuitamente.
Sono venti i brani del cantautore
romano che, ripresi attraverso citazioni e immagini, raccontano il
profondo intreccio d’amore, e di silenziosa comprensione, capace di
creare non solo legami tanto intensi quanto indissolubili, ma anche
momenti di intimità unici, come quelli che segnano il cammino delle
grandi amicizie della vita. Il rapporto tra l’uomo e il cane, quindi,
può ed è tutto questo, sia nelle canzoni di De Gregori sia nelle
attività giornaliere di LNDC Animal Protection, degli oltre 3mila
volontari e di tutto il team dell’associazione che strenuamente lavora
per portare questi preziosi compagni di vita ad essere rispettati,
protetti, riconosciuti, amati, ma anche spesso salvati da morte certa.
La lotta per la vita e l’amore che ne scaturisce, infatti, è
l’altro tema al centro dell’opera, densa anche di momenti poetici e
riflessivi nei quali uomo e animale viaggiano senza ombra di dubbio
sulla stessa strada, dentro un orizzonte comune.
Da ‘Quattro cani’ fino a ‘Due Zingari
e ‘Sempre per sempre’ le immagini di questa amicizia scorrono nelle
pagine della graphic novel scritta e voluta da Michele Pezone,
responsabile diritti animali LNDC Animal Protection che, con questo
lavoro, ha voluto togliersi le vesti di avvocato a difesa degli animali
per indossare quelle, decisamente più romantiche, di uomo in
osservazione della vita. “La storia raccontata”, spiega Pezone, “è stata
illustrata dal mio caro amico Francesco Di Gregorio e Francesco
Colafella, valorizzata poi dal progetto grafico di Silvia Paglione.
Vuole essere un omaggio da parte di LNDC, oltre che mio, a De Gregori
per ringraziarlo di tutto quello che, senza saperlo, è stato per me e
per tutte le persone che nei suoi brani hanno ritrovato e nutrito tante
parti preziose di sé. E che continueranno a farlo, perché parole e
musica non sbiadiscono, come la luce dell’antica e intramontabile
amicizia che lega uomini e animali”.
https://www.legadelcane.org/rassegna-stampa/lndc-omaggia-de-gregori-i-cani-una-passione-comune/?fbclid=IwAR2LFreFkYcAEZz2jRS7w77xHYV8fxLKWkbbxedxD2rblOJf_u4jSIPvQvc
nella foto di Daniele Barraco,
Francesco De Gregori con il suo Billo.

di Valeria Rusconi


De Gregori: “Invidio a Venditti
gli inni della Roma, sentirli è una bella botta d’emozione”
Il cantautore: “Le avrei volute
scrivere io, ma non ero abbastanza pop”. Antonello: “Lui laziale?
Macché…” 11.2.2021
Due cantautori che hanno scritto
alcune tra le pagine più belle della musica italiana. Nel loro cuore,
però, un posto speciale è per la Roma. Francesco De Gregori e Antonello
Venditti sono stati ospiti di “Lui è peggio di me”, il programma sulla
Rai condotto da un altro grande tifoso giallorosso come Marco Giallini,
oltre a Panariello: “Le due canzoni che ha scritto Venditti sulla Roma
gliele invidio – ha confessato De Gregori -. Quando guardo le partite in
televisione, perché allo stadio non vado, e sento l’inno, uno prima e
uno dopo se la Roma ha vinto, è una botta bella. Gliele invidio perché
le avrei volute scrivere io. Ma non ero abbastanza pop”. Poi Panariello
scherza con Venditti: “Ma Francesco è laziale no? Non ha mai scritto una
canzone sulla Roma, è laziale”. “Ma no, macché – la risposta di
Antonello – non ha scritto canzoni perché le ha lasciate a me…”.

Francesco De Gregori: 'Mai pensato
solo alle vendite. E quel giornalista...'
Il cantautore romano presenta la
raccolta dei suoi testi, appena arrivata in libreria. E si toglie
qualche sassolino dalla scarpa.
Il "grande schivo" del cantautorato
italiano autorizza per la prima volta in oltre cinquant'anni di carriera
la pubblicazione di un volume ufficiale le cui lavorazioni hanno visto
uno storico della canzone - e non uno qualunque, ma Enrico Deregibus,
che al Principe ha dedicato già altri volumi che hanno ricevuto
l'apprezzamento del diretto interessato - analizzare e decifrare i testi
delle sue canzoni.
"Francesco De Gregori. I testi. La
storia delle canzoni", 720 pagine, in libreria dal 30 settembre per
Giunti, è stato presentato questa sera 4 ottobre all'Auditorium Parco
della Musica di Roma a conclusione dell'ultima giornata della fiera
editoriale "Insieme", con un incontro che ha visto lo stesso Francesco
De Gregori dialogare con Deregibus e con il due volte Premio Strega
Sandro Veronesi:
"Avere per le mani cinquant'anni di
lavoro è emozionante. Non mi sono mai reso conto di aver scritto tutte
queste canzoni. Ritrovarsele adesso tutte quante con questo bel peso è
una sensazione strana, soprattutto per un uomo che nella sua vita ha
sempre sostenuto che i testi delle canzoni da soli non vanno letti. Se
ho cambiato idea? No, la penso ancora così".
E allora cosa l'ha spinto ad
autorizzare l'operazione?
"L'ho fatto un po' per narcisismo e
un po' per correggere gli errori che si trovano nelle analisi dei miei
testi su internet. L'altro giorno sono andato a cercare il testo de 'La
storia' e ho trovato questa versione: 'La storia siamo noi, nessuno si
senta un fesso' (offeso, nella versione originale). In casi del genere
l'autore, soprattutto se vivente, ha il diritto di intervenire e
correggere. Io volevo consegnare a futura memoria i testi così come li
ho scritti". (a conferma delle
parole di De Gregori, ecco il
link al sito 'incriminato')

Sollecitato dalle domande e dalle
osservazioni di Veronesi e Deregibus, De Gregori non ha mancato di
guardarsi indietro e rivendicare certe scelte fatte nel corso della sua
carriera:
"Ho sempre avuto assoluto
disinteresse verso l'esito commerciale dei miei dischi, altrimenti non
avrei scritto canzoni come 'Bambini venite parvulos' o 'Disastro aereo
sul canale di Sicilia'. Certo, quando uscivano i miei lavori avrei pure
portato l'acqua con le orecchie a Pippo Baudo, ma il successo non era
l'obiettivo principale. Sono sempre stato a cavallo tra la mia necessità
di esprimermi attraverso le canzoni e l'esigenza di rispettare le regole
dell'industria culturale, che non ho certo inventato io".
E si è tolto anche qualche sassolino
dalla scarpa:
"Un giornalista a cui non stavo
simpatico e che lavorava per un grosso settimanale di musica voleva
intervistarmi a tutti i costi e io accettai, durante la promozione
dell'album 'Scacchi e tarocchi'. Sulla copertina fece scrivere:
'Scacchi, tarocchi e baiocchi', ripetendo nel pezzo più volte, tra le
righe, che avevo fatto quel disco solo per denaro. Mi ha portato sfiga:
quello è stato il disco che ha venduto di meno della mia carriera".
Deregibus, già autore nel 2003 di
"Quello che non so, lo so cantare" e nel 2015 di "Mi puoi leggere fino a
tardi", ha commentato a proposito della collaborazione con De Gregori:
"Mi
ha lasciato carta bianca. Non solo autorizzando l'analisi dei testi, ma
anche delle schede critiche contenute nel volume".
Ha molta ragione, Francesco De
Gregori, quando lamenta che i testi delle sue canzoni siano travisati
dai (troppi) siti, alcuni autorizzati e la maggioranza no, che li
riportano.
Dell'argomento avevo scritto già più
di dieci anni fa, in un articolo pubblicato dal sito dell'Enciclopedia
Treccani, che se volete potete rileggere qui.
La situazione, da allora, non è
migliorata, anzi. E sarebbe gran tempo che chi rappresenta gli autori di
testi intervenisse decisamente in proposito, anche per pretendere - come
sarebbe giusto e doveroso - che i testi delle canzoni pubblicati su
Internet fossero sempre corredati dai nomi di chi li ha scritti. (fz)
https://www.rockol.it/news-717257/francesco-de-gregori-nuovo-libro-presentazione-dichiarazioni
Un mare profondo
Storia e testi delle canzoni di De
Gregori - 21 ottobre 2020 - Paolo Mattei
Com’è profondo il mare di certe
canzoni. C’è chi vi nuota in superficie godendone «l’ansare / che quasi
non dà suono», per dirla col Montale di Mediterraneo , e chi vi si
inabissa, alla ricerca di tesori nascosti. Questa libertà di scelta vale
anche per le parole che Francesco De Gregori mette pubblicamente in
musica da quasi mezzo secolo: si può provare a coglierne sullo specchio
d’acqua le trasparenze dei referenti oppure immergersi nelle penombre di
suoi eventuali significati segreti. O fare l’una e l’altra cosa. In ogni
caso, i miraggi che sfavillano in questo mare di testi cantati sono
sempre in agguato ed è facile finire per ubriacarsi con la «voce ch’esce
dalle sue bocche quando si schiudono».
Fuor di metafora, non è inutile
suggerire come il modo più corretto, e più bello, per gustare le parole
di De Gregori sia ascoltarle. Certo, anche leggerle, ma se possibile
sempre con la musica — di cui sono componente inscindibile — a portata
di orecchi (e di cuore), e magari tenendo a portata di mano il nuovo
libro curato da Enrico Deregibus — Francesco De Gregori, I testi. La
storia delle canzoni (Firenze, Giunti 2020, pagine 720, euro 28) — che
raccoglie le parti letterarie dei più di duecento pezzi composti dal
musicista romano e incisi in album ufficiali a suo nome, a partire dal
primo disco realizzato insieme all’amico Antonello Venditti (Theorius
Campus , 1973) fino al cd con le traduzioni dell’amatissimo Dylan (Amore
e furto , 2015), passando per un drappello di brani sparsi usciti su
antologie e registrazioni di concerti. Ma nel prezioso volume c’è molto
altro: oltre alla storia di ogni singola canzone — la genesi creativa
con gli eventuali riferimenti cinematografici, letterari,
autobiografici, musicali; il lavoro di produzione in sala di
registrazione; le trasformazioni subite nelle versioni live e in quelle
allestite da numerosi colleghi italiani e stranieri; il successo o
l’insuccesso di pubblico e critica — c’è quanto intorno a ogni pezzo è
germinato in termini di analisi testuale: un articolato corpus
documentale desunto da libri, interviste e articoli, ma anche frutto
della lunga amicizia del curatore con l’artista. Ovviamente, le
spiegazioni dell’autore, quando vi sono, hanno la primazia sul resto
(pure sui non pochi commenti di illustri colleghi). Ed è interessante
notare come De Gregori, oltre a esprimere inevitabilmente il proprio
punto di vista — comunque sempre instancabilmente ribadendo che canzoni
e poesie sono cose diverse —, paia suggerire approcci interpretativi che
un semiologo potrebbe definire alternativamente reader oriented e text
oriented , a seconda che lasci libertà ermeneutica al lettore o che lo
esorti a «non cercare significati nascosti nelle mie canzoni oltre al
testo». Certo è che l’intentio lectoris senza briglie genera di
frequente leggende metropolitane e malintesi, alcuni dei quali, nella
fattispecie, sono diventati dei classici, quasi (si fa per dire) come i
brani cui si riferiscono (si vedano, per esempio, le fantasiose
congetture tuttora in circolazione intorno ai soggetti di Piano bar ,
Quattro cani , Vecchi amici e Buonanotte fiorellino ).
Ma tutto ciò è trattato nelle pagine
del libro con una sfumatura di divertita ironia, nella consapevolezza
che sotto il velame dei versi degregoriani non v’è quasi mai la certezza
di un unico indefettibile significato. È noto infatti come ogni artista
venga spesso “superato” dalle proprie opere, sulle quali ha un controllo
limitato, e come egli stesso sia fruitore di arte. In questo senso è
interessante rileggere quanto De Gregori ebbe a dire nell’intervista con
Antonio Gnoli pubblicata nel volume Passo d’uomo (Laterza, 2013): «Con
le opere d’arte degli altri ho un rapporto di gioia. La gioia è il
termometro che registra la temperatura della mia febbre. Vado in un
museo, in una galleria, a un cinema e se quello che vedo mi piace esco
da quei luoghi più contento. È una verifica banalissima. Ma è così. Ed è
anche ciò che mi serve del lavoro degli artisti: la gioia, la serenità,
la pulizia. Gli stessi sentimenti che vorrei trasmettere con le mie
canzoni». E sulle interpretazioni: «A me quelle spiegazioni, che sono
assolutamente legittime, non danno nessuna emozione. Godo del piano
emozionale: lacrime e gioia. Per me è una condizione necessaria e
sufficiente del mio rapporto con l’opera d’arte».
Ottimi suggerimenti per gustare la
bellezza del suo mare di testi e musica, e procedere “a passo d’uomo”
magari confrontando quanto personalmente si intuisce e si “sente” con
gli indizi messi a disposizione nelle pagine del volume.
Si può per esempio scoprire — o
riscoprire — la speranza che soffia come un refolo nei versi di certi
brani, e che nel canzoniere prende inaspettata forza con il passare
degli anni (da Natale a Due zingari , dalla Leva calcistica della
classe ’68 a San Lorenzo , da Pane e castagne a Pilota di guerra a
Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra ). Oppure trovare, o
ritrovare, gli accenni di preghiera che salgono con la musica («Aiutami
Signore mio / A dire acqua e terra», Acqua e terra ; «Ascoltaci o
Signore perdonaci la vita intera!», Il canto delle sirene ; «Ogni
giorno metto in tavola qualcosa da mangiare [...] / E certe volte non
trovo le parole per ringraziare / Per ogni giorno di pioggia che Dio
manda in terra», Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra ;
«Qualcuno sta aspettando / All’uscita della chiesa / Benedici il suo
cappello vuoto / La sua lunga attesa», Passo d’uomo ). E, ancora, ci si
può domandare a chi si stia rivolgendo la voce di In onda che canta :
«Sto aspettando e sto chiamando / Che qualcuno mi risponda / E sono a
casa / La mia porta è aperta / E la mia luce è accesa / Come un ladro
nella notte / Puoi venire / Io non ho difesa»; e chiedere di chi si
parli davvero nei bellissimi versi finali delle Lacrime di Nemo-L’esplosione-La
fine : «E passo dopo passo piano piano / Illumina i miei passi con i
tuoi / Che ogni passo avanti è un passo in meno / E meno ossigeno nei
serbatoi / Illumina le torri medievali / E i falchi e il tempo e i sogni
e gli ideali / E le città sconfitte in fondo al fumo / Il sangue e
l’innocenza di nessuno», dove quel “nessuno” innocente potrebbe
(condizionale d’obbligo) non riferirsi solo al Capitano del romanzo di
Verne.
Come è profondo il mare delle canzoni
di De Gregori. Nei concerti accenna al brano del suo amico Lucio Dalla,
“citandolo” nell’explicit di Santa Lucia , la canzone preferita in
assoluto dall’artista bolognese. Ascoltandola, possiamo anche
identificarci, per un momento, con il «ragazzino al secondo piano / Che
canta ride e stona / Perché vada lontano / Fa’ che gli sia dolce / Anche
la pioggia nelle scarpe / Anche la solitudine».
di Paolo Mattei
https://www.osservatoreromano.va/it/news/2020-10/un-mare-profondo.html?fbclid=IwAR1pdhuK8Ib_nz0vU1CoSp9j0McXHzZ0t2ebiYxsPDVYDGnNcjB7mokxTtc
Più di 700 pagine. Un volume
imponente, un caso quasi unico fra i libri dedicati a un cantautore nel
nostro Paese. Edito da Giunti si intitola Francesco De Gregori I Testi
La Storia delle Canzoni
Una parola ha sedotto il Principe.
Enrico De Regibus da anni lavorava a un progetto che racchiudesse
l'immensa opera di Francesco De Gregori. Il cantautore sapeva e seguiva
a distanza finché indagando tra i versi de Le Strade di Lei
l'investigatore De regibus
ha scoperto che la parola santi diventava salti e a quel punto è sorta
l'esigenza di rivedere scientificamente tutta l'opera degregoriana. Non
è un romanzo che si legge dall'inizio alla fine ma è alla stregua di un
libro di poesie. Va tenuto sul comodino e ogni sera, prima che la notte
ci assorba, va aperto a caso e bisogna soffermarsi qualche minuto sulla
canzone che il caso ci ha offerto. Oppure potete affrontarlo in modo più
personale, intimo cercando la canzone che per voi ha un significato
speciale e penetrarne il mistero. La mia prima incursione dell'opera di
Enrico Deregibus è stata per saperne di più su La Casa di Hilde, brano
che amo, che mi muove suggestioni particolari. E sebbene credessi di
conoscerne anche le pieghe più occulte ho appreso che ero fermo in
superficie. L'opera è strutturata in ordine cronologico, è un viaggio
nel tempo. Le schede dei brani oltrepassano il valore testuale perché
sono corredate da aneddoti, dalle fonti e dalle ispirazioni. Cui si
aggiungo stralci di interviste a Francesco De Gregori. Quello che posso
aggiungere è che non è solo un itinerario articolato, meticoloso,
affascinante nella storia di uno dei massimi cantautori italiani di
sempre ma è anche una riscoperta di tanti momenti della nostra vita e
della storia di questo nostro paese. Viva l'Italia, insomma!
https://tg24.sky.it/spettacolo/musica/2020/10/22/francesco-de-gregori-testi-canzoni
Ieri sera ho seguito la presentazione
del libro di Enrico Deregibus. C'erano con lui Sandro Veronesi e lo
stesso de Gregori che sente questo libro come " il mio libro". Perché
raccoglie tutti i testi delle canzoni scritte da De Gregori in
cinquant'anni (dal 1972). Le schede di Deregibus sulle canzoni sono
puntuali, contengono preziose informazioni che contestualizzano, sono
lontane dalla tentazione di spiegare alcunché. Un grande, bellissimo
lavoro che consegna al lettore un artista che lavora come un poeta ma
che fa un'altra cosa: scrive canzoni che sono un autentico e bellissimo
genere letterario. Quando leggerete i testi sentirete risuonare la voce
di de Gregori nella testa e vi troverete a sorridere e dire: non la
sentivo da dieci anni ma la so a memoria... Grazie Enrico per questo
lavoro monumentale
Giommaria Monti


De Gregori, quel concerto per 200
persone e il valore delle emozioni ritrovate
Domenica 27 Settembre 2020 di Maria
Latella
De Gregori, quel concerto per 200
persone e il valore delle emozioni ritrovateÈ successo venerdì sera. In
duecento abbiamo sperimentato il ritorno a emozione pre Covid. E in
tanti abbiamo capito la differenza tra prima e oggi. Prima avevamo vite
con un catalogo infinito di esperienz e da vivere anche collettivamente.
Bastava scegliere. Oggi, almeno per ora, non è così. E se ti capita la
fortuna di poter vivere un momento “come prima” devi stare attento,
trattarlo con delicatezza, quel momento. Con prudenza.
Quando sul palco del cineteatro Odeon
di Catania, un prezioso gioiello Deco, Francesco De Gregori attacca
“Viva l’Italia, l’Italia del valzer e l’Italia dei caffè, l’Italia con
gli occhi asciutti nella notte scura, l’Italia che non ha paura” i
duecento ammessi in un teatro che ne terrebbe mille sentono di essere
dentro un momento speciale.
Eravamo emozionati. Noi in platea e
loro, i musicisti, sul palco. Noi con la mascherina e lui pure, De
Gregori, non sul palco ovviamente ma dopo il concerto sì, quando si
ferma a chiacchierare ha una mascherina di stoffa blu. Come succede in
questo autunno 2020, quando ci si rivede dopo tanto tempo, si parla
ovviamente di una cosa sola: cosa hai fatto, dov’eri durante il
lockdown. Lui a Roma, più o meno a fare le cose di sempre: “Leggevo e
andavo a fare la spesa”.
Le mascherine sul viso, il
distanziamento, il fatto di essere in pochi per obbligo e non per
scelta, fanno parte dell’oggi, del nuovo presente. Invece il concerto, i
musicisti sul palco, fanno parte di quel che si poteva fare prima, quel
“prima” che non sapevamo se e quando sarebbe tornato. Ecco, il passato
torna, e almeno per una sera torniamo anche noi a condividere le
emozioni con un certo numero di altri esseri umani. Bella sensazione.
Condividiamo gli applausi. Con gli
altri cantiamo “Buonanotte fiorellino” fieri di ricordarne tutte le
parole e mentre De Gregori intona “Pezzi di vetro”, “ferirti non è
possibile, morire meno che meno mai”, capita di commuoversi con Giuseppe
Ayala, col capogruppo dei 5 Stelle a Bruxelles Fabio Massimo Castaldo,
con Marco Tardelli e pure con i produttori Camilla e Pietro Valsecchi,
tutti ospiti del festival di geopolitica Mare Liberum che ha appunto
avuto come gran finale il concerto di De Gregori.
Così, di colpo capisci che questa
sera è speciale per tante ragioni: perché Claudio Corbino e la sua
associazione “I Diplomatici” hanno tenuto duro e organizzato il festival
nonostante tutto. Perché a un certo punto sul palco arriva “un mio amico
che suona bene il pianoforte” dice De Gregori e l’amico è Checco Zalone
e i due suonano insieme.

È una serata speciale perché speciale
è Francesco De Gregori che nelle sue canzoni ha tanto visto e previsto,
perfino “l’Italia che va sulla Luna” e ci va davvero, sulla Luna il
nostro Paese, l’altroieri hanno firmato il protocollo d’intesa con gli
Stati Uniti. Però De Gregori lo cantava già nel 1979.
Tutte buone ragioni. Ma venerdì sera,
25 sett a Catania, la cosa veramente speciale è stato capire la
differenza tra il prima e l’oggi. E riconoscere il valore di certe
emozioni che per anni lasciavamo lì, come se fosse scontato poterle
recuperare riprendendo il catalogo quando ci andava.
Tornare a viverle ora è possibile.
Ma solo se non si dimentica che potremmo perderle di nuovo.
https://www.ilmessaggero.it/social/maria_latella_tornare_a_vivere_l_importanza_di_riscoprire_emozioni_normali-5487258.html

Tiziano Ferro torna ad emozionare
i suoi fan con una cover d'eccezione. Il cantante di Latina ha
rilasciato il suo primo estratto del nuovo album "Accetto miracoli:
L'esperienza degli altri", e ha "Rimmel", brano di grande spessori di
Francesco De Gregori.
Oltre a De Gregori, nell'album
sono presenti brani di Giuni Russo, Franco Battiato, Riccardo Cocciante,
Mia Martini, Domenico Modugno, Massimo Ranieri e Scialpi.
Le canzoni, una volta pubblicate,
diventano di tutti? Sì e no. Lo diventano nella misura in cui
teoricamente chiunque può identificarsi nella storia che viene
raccontata nel brano e farla propria. Ma ci sono canzoni e canzoni.
Certe sono così private e così strettamente legate al nome - e alla
storia, personale o artistica che sia - da chi le ha scritte che
andrebbero cantate solo e solamente dall'autore. "Rimmel" è una di
queste. Così poetica e ispirata, fece di Francesco De Gregori uno dei
protagonisti del cantautorato italiano degli Anni '70 e del Principe è
fors e
la canzone più identificativa: lo è più di "Generale", "Viva l'Italia" e
"La donna cannone", delle quali si contano innumerevoli cover di
colleghi noti (da Vasco a Mia Martini, passando per Gianna Nannini,
Elisa e Malika Ayane). A differenza di "Rimmel", che invece - a riprova
di quanto scritto sopra - non è stata interpretata spessissimo da voci
diverse da quella di De Gregori. Ora arriva questa versione di Tiziano
Ferro, prima anticipazione di un disco di cover che ha visto il
cantautore di Latina provare a fare sue alcune delle canzoni che più lo
hanno segnato come uomo e come artista. E - sorpresa - è l'eccezione che
conferma la regola.
La canzone, l'album, le critiche, i
Baci Perugina
Nessuno in Italia aveva raccontato la
fine di una storia d'amore in maniera così ironica, antiretorica,
criptica e surreale come fece nel '75 Francesco De Gregori con "Rimmel".
Il cantautore, che veniva dal disco inciso insieme ad Antonello Venditti
("Theorius Campus" del '72) e da due album di discreto successo come
"Alice non lo sa" e "Francesco De Gregori", a ventiquattro anni
rivoluzionò - forse inconsciamente, forse no - il genere con un brano
che metteva da parte i lamenti amorosi, gli struggimenti e gli strazi
che fino a quel momento avevano caratterizzato i brani tematicamente
affini. Anzi: trasformò tutti questi elementi in qualcosa di diverso e
di decisamente più poetico, grazie a versi come "e qualcosa rimane, fra
le pagine chiare e le pagine scure" (l'incipt più bello della storia
della canzone italiana?), "ora le tue labbra puoi spedirle a un
indirizzo nuovo", "i tuoi quattro assi, bada bene, di un colore solo".
L'operazione artistica di De Gregori non fu immune alle critiche: "È
evidente che l'evocazione (e la presunzione di far poesia) faccia
scivolare il canto degregoriano kitsch in cui non tanto Gozzano è
presente, quanto i Baci Perugina", scrisse a proposito dell'intero album
- che si intitolava proprio così: "Rimmel" - Giaime Pintor, tra gli
esponenti di quella critica apertamente schierata a sinistra e che
contestava i cantautori quando le loro canzoni mettevano da parte
l'impegno e abbracciavano altri temi (l'articolo, dal titolo "De Gregori
non è Nobel, è Rimmel", uscì non a caso su "Muzak", rivista musicale
nata un paio d'anni prima dell'uscita del brano attorno agli ambienti
della sinistra extraparlamentare).
Cantautore, popstar o entrambe le
cose?
Chissà quante volte Tiziano Ferro ha
letto sulle sue canzoni e sui suoi dischi commenti del genere, lui che
con brani come "Imbranato", "Sere nere", "Non me lo so spiegare", "Ti
scatterò una foto", "E fuori è buio", "Il regalo più grande", "L'amore è
una cosa semplice" e "L'ultima notte al mondo" ha offerto alla
generazione di chi è nato negli Anni '90 ampio materiale da usare per
dediche d'amore e scritte sull'asfalto o sui muretti (i suoi testi sono
stati effettivamente utilizzati per i cartigli dei Baci Perugina), che è
stato - e continua ancora oggi ad essere - il cantore d'amore per
eccellenza e che a differenza di De Gregori è stato forse esposto
maggiormente a certe critiche, non godendo dello status di cantautore
con la "c" maiuscola (diversamente dai vari De André, Guccini, Fossati o
- tra quelli più vicini alla sua età - Silvestri, Fabi, Brunori Sas,
tutti circondati da quell'aura di sacralità) poiché considerato il più
delle volte una popstar che un cantautore, anche se di fatto lo è. La
cover di "Rimmel" incuriosisce anche per questo e l'ascolto non fa
storcere il naso.
https://www.rockol.it/news-716708/tiziano-ferro-rimmel-cover-de-gregori-recensione-ascolto

FRANCESCO DE GREGORI, L'ANIMA
DELLA FESTA. SUL VANITY FAIR IN EDICOLA
Dietro le quinte, e dietro una
canzone, ciò che conta è lo spirito, dice Francesco de Gregori. Che qui
ricorda impresari e tecnici diventati famiglia, ragazzi che corrono
«come lepri» sul palco, microfoni e phon, e una certa telefonata al
premier Conte
Malcom Pagani, 1.7.2020 - https://www.vanityfair.it/music/storie-music/2020/07/01/francesco-de-gregori-a-tutto-volume
Il poeta in affari veniva da molto
lontano: «Libero Venturi,
impresario di Baglioni, Venditti e della tournée di Banana Republic, era
simpatico e divertente. Originario di Cesena, apparteneva in tutto e per
tutto alla provincia e onestamente non si capacitava del perché la gente
venisse ad ascoltare uno che cantava Alice o Saigon. Si faceva sera,
arrivavamo nei locali, vedevamo i parcheggi strapieni e lui allargava le
braccia: “Ma che casso succede qui? Ma son davvero venuti a sentire
te?”».
Con un cappello pieno di ricordi, i
suoi impresari Francesco De Gregori li ricorda tutti: quelli
«che sembravano Alberto Sordi in
Mafioso di Lattuada, con il gessato, i capelli impomatati e gli anelli
enormi sulle dita», quelli «che guidavano come pazzi mentre a bordo
delle Lancia Coupé dell’epoca provavo con sprezzo della fisica a tenermi
la chitarra sulle gambe in uno spazio strettissimo», quelli «che
giravano in coppia», quelli «sempre ubriachi», «sudati»,«somiglianti a
Nero Wolfe». I cialtroni «che potevano darti appuntamento per un
concerto che non si sarebbe mai tenuto nella campagna romana mentre
attaccato al telefono di una cabina cercavo di avere indicazioni» e gli
altri, più corretti: «Che erano lontani dal professionismo e si stavano
inventando un mestiere, ma erano fondamentalmente seri. Puntavano al
risultato ed erano ignari delle sfumature. Per loro seguire un cantante
equivaleva a prendere un’entità, fosse un musicista o una pecora,
promuoverla e farla fruttare nell’interesse sia della pecora sia del
pastore».
Ora che l’applauso del pubblico
pagante latita sottolineando un’assenza e i pensieri magri non bastano a
saziare la nostalgia, De Gregori pensa a quelli che restano fermi, i
lavoratori dello spettacolo:
«Gente che fin dai miei inizi mi
tranquillizzava molto. Ieri, molto più di oggi, prima di esibirmi
avvertivo tensione. Avevo un po’ paura del pubblico e mi facevo le
tipiche domande dell’età dell’insicurezza: “Oddio, mi ricorderò le
parole?”, “Stonerò?”, “la chitarra sarà accordata?”. Poi incontravo
persone che esattamente come me avevano a cuore la riuscita della serata
e mi rilassavo».
Un nome?
«Ce ne sarebbero tantissimi. Da
Franco Guarnieri, detto Mani Bruciate per via dei dorsi ustionati in un
incidente sul lavoro, I a Giovanni Chinnici, il direttore di palco che
mi accompagna ormai da anni. Sono persone a cui ho voluto e voglio molto
bene».
Persone che somigliano a una seconda
famiglia?
«Un po’ retoricamente posso dire di
sì. Si creano inevitabilmente rapporti di vicinanza e di simpatia, ti
senti accolto in un gruppo che ti protegge e che ricorda vagamente la
carovana dei teatranti de Il settimo sigillo. Il clima era ed è quello».
Provi a descriverlo.
«Chi non capisce che dietro un
concerto c’è l’anima delle persone che lavorano perché ogni cosa sia al
suo posto, non ha capito niente della musica, della sua rete di
contatti, di solidarietà, anche, di competizione virtuosa se vogliamo,
ma con un’unica, fortissima, componente umana. E non ha capito fino in
fondo neanche il divertimento del mio mestiere che è come aprire una
finestra su questo mondo parallelo al nostro con cui magari non ci si
ritrova a cena dopo lo spettacolo, ma con il quale si contribuisce a
costruire una cosa in comune».
Senza i lavoratori dello spettacolo i
concerti non esisterebbero?
«Senza dubbio. C’è sempre un
incidente dell’ultimo istante – uno spinotto da sostituire, un cavo del
monitor da cambiare, un casino improvviso – e allora con la stessa lena
del trovarobe in teatro, vedi questi ragazzi correre come lepri per
risolvere i problemi. È quasi ovvio che con il tempo si saldino legami
duraturi. Ancora oggi, negli ultimi concerti prima del lockdown, mi
capitava di incontrare qualcuno che aveva partecipato a Banana Republic
e mi veniva a salutare. Il mondo della musica leggera italiana è un
unico grande palcoscenico che va da Nord a Sud e attraversa le epoche».
Quanto è cambiato il suo mondo dalla
metà degli anni ’70?
«La professionalità di oggi, ieri era
impensabile. Il primo concerto della mia vita, al Teatro della Cometa di
Roma, nel ’68 o forse nel ’69, lo vidi da ragazzino. Sul palco c’era
Enzo Jannacci, praticamente uno sconosciuto, da solo, con la chitarra.
Allora sembrava naturale che un artista arrivasse in teatro, trovasse il
primo microfono a disposizione e suonasse. Jannacci aveva fatto più o
meno quello e la stessa cosa avevo fatto io ai tempi dei miei primissimi
concerti. Tutto l’aspetto organizzativo che in seguito siamo stati
abituati a vedere a bordo palco era inesistente».
Un po’ come al Folkstudio?
«Lì addirittura non c’era nemmeno il
microfono. Era un posto molto piccolo, spesso neanche pieno, dove si
cantava e si suonava con una sola velleità: provare a esprimersi».
Poi arrivarono le maestranze, i
grandi impianti di amplificazione, i concerti davvero strutturati.
«Il personale arrivò a montare e a
smontare i palchi, vedemmo i primi camion, i facchini e le maschere, ma
erano tempi eroici e si respirava ancora un certo pionierismo. Se ci
ripenso mi vengono in mente episodi che oggi fanno tenerezza. A Udine,
poco prima di un concerto, iniziò a diluviare e l’impianto si bagnò in
maniera irrimediabile. Bibi Ballandi e il Venturi di cui le parlavo
prima, gli impresari, diedero ordine di acquistare un enorme
quantitativo di phon per capelli. Anche se l’impianto della Lem di
Cattolica morì la sera stessa, quei cinquanta tecnici impegnati ad
asciugare le trombe degli altoparlanti con i phon non me li sono più
dimenticati».
Era una scena da cinema.
«Non a caso forse, registi come
Truffaut hanno dedicato al dietro le quinte capolavori come Effetto
notte e ci sono molti film di Fellini che al cinema dentro il cinema e
alle maestranze hanno dato enorme importanza. Pensi al finale di 8 e
mezzo, a chi va in spiaggia a girare un fotoromanzo ne Lo sceicco bianco
o all’Intervista».
Nell’Intervista due pittori dialogano
in un teatro di posa.
«Dipingono un cielo azzurro nel
teatro 5 di Cinecittà. Uno dei due si rivolge all’altro: “A Cè, lo sai
che ho incontrato un amico mio?”, “Ah, e che ti ha detto?”, “Che te la
devi andà a pija ’nder culo”. Apparentemente Fellini rappresentava
queste persone come dei cafonacci scurrili, ma in realtà se lo si legge
meglio, da romagnolo che aveva captato una romanità, nobilissima, ma
sempre sardonica, irridente, e caustica, si capisce l’amore e il
rispetto che provava per queste figure».
Quelle che lavorano intorno alla
musica stanno soffrendo.
«Hanno problemi, sono abituati ad
avere un ciclo lavorativo intenso, a passare da una tournée all’altra,
da un cantante all’altro. Lavorano con me, poi magari accompagnano Vasco
Rossi, Laura Pausini o Ligabue. Se tutti questi concerti saltano per un
anno è naturale che la categoria entri in sofferenza, che fatichi con le
bollette, con gli affitti e con le scadenze come qualsiasi altra. E
questo non vale soltanto per chi è in regola: esiste anche una fetta di
lavoratori pagati a giornata che non hanno nessun tipo di tutela se non
la cassa integrazione che, come saprà, è in ritardo. Andrebbero
tutelati: quando ripartiremo ci sarà bisogno di tutti loro».
L’evento di Verona è un primo passo
importante. Poi servirà una legge di settore. E un’attenzione nuova
della politica.
«Durante la quarantena ho provato a
contattare il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Aveva usato
alcune parole di una mia canzone per festeggiare il 25 aprile. Volevo
ringraziarlo e provare a parlargli».
Come mai le era venuta voglia di
parlare con il presidente del Consiglio?
«Perché al di là dei versi di Viva
l’Italia, mandare un messaggio al Paese attraverso una canzone mi
sembrava un implicito riconoscimento dell’utilità delle canzoni. Durante
il lockdown, d’altra parte, tra un balcone e l’altro, le canzoni avevano
rappresentato una consolante bandiera di socialità condivisa. Ed è
normale perché la gente ama le canzoni. Quindi decido di telefonare a
Conte pur sapendo che aveva e ha i suoi problemi. Non è che volessi
intrattenerlo, né pensavo che me lo passassero subito. Credevo però di
poter parlare con la sua segreteria, lasciare un messaggio, fargli
sapere che lo stavo cercando».
Risultato?
«Nessuno. Il centralino non mi ha
passato la segreteria di Conte e così non ho potuto nemmeno lasciargli
un messaggio. Capisco che abbia molto da fare, ma se devo dirle la
verità l’ho trovato un atteggiamento abbastanza deludente».
Che cosa avrebbe detto a Conte?
«Gli avrei chiesto di porre una
doverosa attenzione e un occhio di riguardo per i lavoratori dello
spettacolo che in questo momento sono in grande difficoltà e di non
dimenticarsi di migliaia di famiglie che campano grazie agli spettacoli
dal vivo. So che non siamo i primi di cui il governo si occuperà, ma mi
sarebbe piaciuto dire comunque “esistiamo anche noi”».
Un accenno al mondo dello spettacolo,
in uno dei suoi discorsi, Conte lo ha fatto, parlando degli artisti che
«ci fanno tanto divertire».
«Al contrario di molti miei colleghi
lì però non mi sono sentito affatto offeso e anzi l’ho preso per un
complimento. Non c’è arte e non c’è cultura senza il gancio del
divertimento: io mi diverto se vedo Alberto Sordi come credo che ai
tempi di Shakespeare la gente si divertisse nei teatri elisabettiani.
Uno spettacolo deve essere divertente, non ci trovo niente di sbagliato,
di sminuente, di squalificante».
In quarantena lei ha compiuto 69
anni.
«Finalmente un compleanno tranquillo,
ho evitato qualsiasi tentazione di pranzo allargato e tutt’al più ho
risposto a qualche telefonata».
Tante?
«Negli anni ho fatto capire che se
non mi telefonano è meglio, quindi poche». Ride.
Le pesa l’idea di non potersi
esibire?
«Non ho più vent’anni e lo stop alla
mia vita di cantante girovago è stata pesante. Un anno, alla mia età,
non si recupera. Per me un anno significano 12 mesi in meno nel tempo
che mi verrà dato e che io mi darò per continuare a fare questo lavoro.
Invidio Cohen che ha lavorato fino all’ultimo con allegria, Dylan che ha
dieci anni più di me, zompetta ancora sui palcoscenici e nel tempo
libero fabbrica cancelli e dipinge, ma non so se sarò come loro. Per
come mi sento adesso penso potrei lavorare fino a cent’anni, ma domani
non so».
Ha sempre voglia di cantare dal vivo?
«Sì, sempre. Mi piace muovermi: se
stai bene di umore e di salute l’idea di viaggiare, anche se alla fine
vedi sempre gli stessi posti, gli stessi autogrill e gli stessi
alberghi, mi diverte ancora. È quando mi fermo che mi sembra che passi
la voglia, ma è un momento».
A inizio settembre avrebbe tenuto un
grande concerto romano con Antonello Venditti.
«Dire addio a quell’idea, anche se
solo per il momento, è stato doloroso. Eravamo partiti belli gasati. Io
e Antonello abbiamo ricostruito un’unione intellettuale che onestamente
negli ultimi tempi era mancata. Ci vedevamo ogni tanto e chiacchieravamo
senza mai pensare di poter fare insieme una cosa così importante. Ho
conosciuto un Antonello diverso da quello che mi aspettavo e
probabilmente la stessa cosa è accaduta a lui. La nostra sintonia è
rimasta forte anche se ci siamo bloccati. Ci ritroveremo insieme sul
palco».
Con nuove canzoni? Ne ha scritte, in
quarantena?
«No, e in un certo senso non è
cambiato nulla».
In quale senso?
«Nel senso che non ho più voglia,
capacità o ispirazione per scrivere una nuova canzone. Non ce l’ho in
testa. Ne ho scritte tante e ovviamente ne potrei scrivere una se
volessi, ma non ho quell’ansia e non mi va di scrivere cose che non mi
escano fuori dall’anima».
Qual è la spinta di una nuova
canzone per lei?
«La spinta è la necessità. La scrivo
perché la sento. Perché deve uscire fuori. Ma quando accade, la canzone
nasce quasi da sola».

De Gregori
attenda in linea
Massimo
Gramellini | 03 luglio 2020
Francesco De
Gregori ha raccontato di avere cercato invano di mettersi in contatto
con il presidente del Consiglio (voleva ringraziarlo per una citazione
di «Viva l’Italia»). Non capita spesso che un Principe si degni di
chiamare un Conte. Invece il centralino di Palazzo Chigi lo ha lasciato
in attesa, senza nemmeno passargli la segreteria del premier. L’idea di
De Gregori trattato dalla Nuova Casta come uno stonato qualsiasi è
suggestiva, ma non basta a spiegare il fenomeno del centralinismo
romano, autentico presidio democratico del Paese. Nessuno sottovaluta il
contributo dei centralini lombardi, veneti o lucani: chi non si è mai
sentito dire «Attenda in linea» da una voce scocciata? E i centralini
elettronici, benché asettici, sono altrettanto indisponenti. Però il
centralinista romano in carne e ossa, nei rari habitat dove ancora
sopravvive, presenta una peculiarità: la sublime indifferenza per lo
status dell’interlocutore.
Rimane famoso
il caso del centralinista di un quotidiano della Capitale a cui le
Brigate Rosse osarono telefonare per rivendicare un attentato durante la
pausa pranzo. «Un momento, sto a magnà», li rintuzzò l’eroe. «Forse non
ha capito, siamo le Br». E lui, serafico: «Ho capito, mica so’ scemo.
Mo’ prendo er taccuino, un po’ de pazienza». Quel giorno il terrorismo
capì che non avrebbe mai fatto breccia nelle classi popolari. Quanto a
De Gregori, la prossima volta che vorrà ringraziare Conte gli suggerisco
di mandare un disco autografato a Casalino.

21 giugno Festa #senzamusica
Nella Musica lavorano in tanti, non solo i musicisti e i
cantanti. La Musica fa cultura, educa, emoziona, intrattiene
e, se non bastasse, produce economie importanti (il solo
comparto Cultura fa il 16% del PIL), dando lavoro a decine
di migliaia di persone che oggi, causa Covid, rischiano di
restare a casa.
Sappiamo che ci sono delle proposte di emendamento al DL
Rilancio che ci riguardano. Chiediamo che la politica non le
ignori, adoperandosi al più presto per dare finalmente
dignità a tutti coloro i quali lavorano per il bene della
Musica. |

“Quelli che suonano” è l’omaggio
artistico di Mimmo Paladino al mondo musicale italiano: un merlo, il più
musicale fra gli uccelli, in appoggio all’appello divulgato, in questo
periodo di crisi mondiale, dai cantanti e musicisti a sostegno degli
operatori del mondo dell’intrattenimento.
Siamo entrati nella
Fase 2 e leggi amo
ovunque di normative e modalità che consentiranno una graduale ripresa
delle attività produttive e commerciali. Ma non leggiamo mai di cosa
accadrà ai lavoratori del mondo dell’intrattenimento.
Noi artisti che condividiamo con
questi lavoratori una parte fondamentale della nostra vita e conosciamo
a fondo le difficoltà che stanno attraversando, ci chiediamo come
potranno reggere ad un’emergenza che diventa sempre più lunga. Cosa
succederà agli eventi di questa estate e a quelli programmati nei mesi
successivi? Quando potremo, tutti insieme, tornare a lavorare?
Chiediamo al Governo che a tutti i
lavoratori del settore per tutta la fase di emergenza venga assicurato
un trattamento economico e previdenziale dignitoso. E che si possa al
più presto definire una data per la ripresa dei concerti dal vivo, nel
pieno rispetto della salute del pubblico e di tutti quelli che lavorano
sul palco e dietro le quinte. In ogni canzone cantata dai balconi in
questi giorni c’è il lavoro di tante persone, di tanti amici. Ci
rivedremo presto: in un club, in un teatro, nei palasport, negli stadi,
nelle arene e nelle piazze. E quando ci rivedremo, il primo applauso
sarà dedicato a loro, ai nostri costruttori di suoni, ai nostri
costruttori di sogni.”
Dal profilo ufficiale Facebook di
Francesco De Gregori

BRUXELLES - "L'Italia
è notoriamente il Paese del bel canto: forse per questo la gente pensa
che tutti possano cantare e quindi che la nostra non sia una professione
vera e propria".
Così il cantautore Francesco De
Gregori in un'intervista all'ANSA commenta la situazione degli artisti
in questo momento di emergenza per il coronavirus.
"L'industria dello spettacolo sarà
una delle ultime a riprendere le attività, per molti si prospettano mesi
di sofferenza economica, a questo occorrerà mettere rimedio".
La crisi avrà impatto anche sui
tecnici dello spettacolo.
"Posso solo sperare che gli
innumerevoli lavoratori dell'indotto, che costituiscono la manovalanza
necessaria a mettere in piedi un concerto e di cui il pubblico spesso
ignora l'esistenza, possano essere protetti dalla cassa integrazione o
da altri meccanismi di tutela. Le categorie meno sindacalizzate sono le
meno protette. Artisti affermati hanno adottato lo smart working,
mettendo in streaming concerti "one man band" fatti a casa e questo "può
sicuramente servire a sollevare il morale della gente, l'arte è fatta
per questo, è consolatoria! Perfino Bob Dylan, considerato non del tutto
a torto scontroso ed anaffettivo verso il pubblico, ha messo in rete un
suo bellissimo pezzo inedito, Murder most foul, per la gioia e la
sorpresa dei suoi fan" ai tempi del coronavirus.
Il
pensiero del cantautore va anche a tanti colleghi che vivono di piccoli
concerti e adesso si trovano costretti a casa. In Italia il lavoro di
musicisti non è riconosciuto come professione.
"Nei Paesi di cultura anglosassone è
diverso, l'industria musicale è nata lì e quando vai a fare un concerto
ti trattano come un professionista. E' così quasi dappertutto nell'Ue"
In Italia la visione che si ha dei
musicisti è molto diversa:
"Mi capita di andare a una festa e
sentirmi dire "dai, perché non ci canti una canzoncina?". Nessuno nella
stessa situazione chiederebbe a un dentista di levargli un dente".
I musicisti stanno anche conducendo
una battaglia per il recepimento della direttiva Ue sul copyright - e il
riconoscimento di un compenso per le opere condivise online dalle
piattaforme - che dovrebbe entrare in vigore in tutti i Paesi Ue entro
marzo 2021.
"Gli autori non possono difendersi
come farebbero i metalmeccanici, non possono scioperare. La loro difesa
è affidata unicamente alle normative ed al loro rispetto. La direttiva
Ue va in questo senso. Sarebbe bene che l'Italia la recepisse, ma non ho
molte speranze: non ho visto ancora nel Parlamento una presa di
coscienza del problema né una chiara volontà di risolverlo. Il diritto
d'autore non ha una lobby al suo servizio. Mentre i suoi avversari
sembrano assai agguerriti".
Per il cantautore il "diritto
d'autore è la democrazia dell'arte. Introducendo il principio che
l'autore viene remunerato direttamente dal suo pubblico (non dal
mecenate), la dottrina del diritto d'autore ha voluto rendere l'artista
libero di esprimersi senza condizionamenti, promuovendo così sia la sua
responsabilità intellettuale che la sua autonomia creativa".
Per questo, secondo De Gregori,
questo principio va difeso ad ogni costo, pur adattandolo ai cambiamenti
tecnologici
"Ma senza mai considerarlo, come
alcuni pretenderebbero, un'anticaglia obsoleta o un privilegio di
casta".
https://www.ansa.it/

Ogni cosa ha il suo tempo ed oggi
è ancora il tempo del dolore per chi non c’è più, delle cure ai malati e
del sostegno economico, morale e organizzativo da chiedere a gran voce
per tutti gli operatori sanitari che sono in prima linea e questa senza
dubbio è la priorità.
Domani però, nel rispetto di
tutti, dovremo ripartire e non possiamo permetterci di dimenticare
qualcuno, di lasciare indietro centinaia di migliaia di lavoratori senza
colpe ed oggi senza prospettive.
Non
stiamo parlando per noi o di noi. Stiamo parlando di tutti i musicisti,
gli autori, i dee jay, i ballerini, gli operai, i tecnici, i lavoratori
specializzati, i professionisti di ogni settore dello spettacolo, i
lavoratori senza cassa integrazione, i lavoratori occasionali, tutte le
maestranze che lavorano nel mondo della musica e dell’intrattenimento.
Stiamo parlando di chi suona la sera nei locali delle vostre città e di
chi insegna musica ai vostri figli.
Non sono star, ma è gente che
lavora e con quel lavoro ci paga ciò che serve per vivere. Gente che,
come tutti, ha il diritto di lavorare. E che come tutti ha il diritto ad
essere protetto quando, senza alcuna colpa, il lavoro e la dignità
vengono messi in pericolo. Di loro, della loro angoscia e del loro
disagio economico si parla pochissimo.
Il Paese si appresta a definire la
Fase 2 e leggiamo ovunque di iniziative, proposte, modalità che
consentiranno una graduale, difficile e doverosa ripresa delle attività
produttive e commerciali. Ma non leggiamo mai di cosa accadrà ai
lavoratori del mondo dell’intrattenimento.
Noi artisti che condividiamo con
questi lavoratori una parte fondamentale della nostra vita e conosciamo
a fondo le difficoltà che stanno attraversando, ci chiediamo:
Come potranno reggere ad una
emergenza che diventa sempre più lunga? Come potranno vivere
dignitosamente senza neanche la prospettiva di poter, un giorno, tornare
a fare il proprio lavoro? Cosa succederà agli eventi di questa estate e
a quelli programmati nei mesi successivi? Quando potranno tornare a
lavorare?
Per questo attendiamo e ci
auguriamo:
- che a tutti i lavoratori del
settore, per tutta la fase di emergenza venga assicurato un trattamento
economico e previdenziale dignitoso
- che sulla falsariga di quanto
già fatto in altre nazioni, si definisca il futuro dei prossimi eventi
rispettando e garantendo i diritti di tutti.
- che il Governo ascolti le varie
associazioni di categoria coinvolte e possa offrire all’intero settore
un’ipotesi realistica dei tempi in cui poter tornare a lavorare, con
risorse concrete che consentano la ripresa delle attività in condizioni
di sicurezza, per i lavoratori e per il pubblico.
Ci auguriamo infine di rivederci
presto. In un club, in teatro, nei palasport, negli stadi, nelle arene e
nelle piazze. E quando ci rivedremo, il primo applauso sarà dedicato a
loro, ai nostri costruttori di sogni.
I professionisti dello
spettacolo.

Francesco De Gregori torna per un
giorno a trovarci e con lui si inaugurano i festeggiamenti per i
novant'anni di Clint Eastwood (31 maggio), vero e proprio spirito guida
di Hollywood Party, da anni una delle voci contenute nella sigla del
programma.
Dai suoi ruoli più iconici, dai
western ai polizieschi, fino a Richard Jewell, il suo ultimo film da
regista: sarà l'occasione per ripercorrere una carriera sterminata che
attraversa i generi cinematografici e le fasi più significative della
storia di Hollywood, il tutto in compagnia del nostro cantautore
cinefilo.
Continueremo a festeggiare il
californiano dagli occhi di ghiaccio per tutto il mese con quattro
puntate del Cinema alla radio: dal 10 al 31 maggio, ogni domenica alle
19.00, un film di e con Clint Eastwood da ascoltare e ripercorrere in
compagnia dei conduttori e dei loro preziosi approfondimenti.
Per la rubrica dedicata agli studi
degli attori sarà ospite Massimo Wertmüller, attore che si è formato
nella scuola di Gigi Proietti.
06 maggio 2020 alle 19.00
https://www.raiplayradio.it/audio/2020/04/HOLLYWOOD-PARTY-Francesco-De-Gregori-auguri-Clint-28590cfd-5c96-4ea7-afcb-aace9503a455.html
“Il Papa mette le canzoni accanto
a letteratura e cinema. Non è scontato”
Intervistato da L’Osservatore Romano,
il cantautore commenta il Messaggio di Bergoglio per la Giornata delle
Comunicazioni sociali. «Oggi si narra meno di una volta. Si fanno vedere
foto sul cellulare, ma non “raccontano” molto. Succede quando una
tecnologia viene abusata»
CITTÀ DEL VATICANO. Oggi si racconta
«meno di una volta. Si fanno vedere delle foto sul cellulare e di solito
quelle foto non “raccontano” molto». Questo succede quando una
tecnologia «viene abusata anziché usata correttamente, quando invade un
altro campo, quando stimola la nostra pigrizia invece della nostra
creatività». È la riflessione che Francesco De Gregori consegna ad
Andrea Monda, direttore dell’Osservatore Romano, in un colloquio
pubblicato nell’edizione di domani, 6 marzo (uscita, come da
consuetudine del quotidiano d’Oltretevere, nel pomeriggio precedente).
Il cantautore romano commenta le parole di papa Francesco nel recente
Messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, in cui
sottolinea la necessità della narrazione, e, ricorda Monda, «che ci sia
chi abbia la capacità e il coraggio di raccontare storie buone, perchè
altrimenti prevarrebbe lo smarrimento, il disorientamento, la resa al
dominio della chiacchiera e delle narrazioni false e negative,
manipolative e scoraggianti».
De Gregori è rimasto «molto colpito»
dalle meditazioni del Pontefice, a partire da «una cosa piccola piccola:
il fatto che egli non abbia nessun problema a mettere accanto alla
letteratura e al cinema anche le canzoni. Questo non è affatto
scontato».
Allo stesso tempo, De Gregori rivela
a Monda di non credere molto «nelle canzoni “edificanti” nel senso
banale del termine, come non ho mai creduto nelle canzoni “impegnate”».
E non è detto che, «perché una narrazione sia “buona”, il bene debba
necessariamente trionfare sul male, non sempre il lieto fine è
obbligatorio, plausibile o sopportabile».
Infatti, ricorda Monda, nello stesso
Messaggio il Papa precisa che «“storie buone” non vuol dire prive del
racconto del male, tutt'altro, ma che “Anche quando raccontiamo il male,
possiamo imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo
riconoscere in mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli
spazio”».
Poi, lo sguardo cade sulle epocali
trasformazioni che hanno investito le società odierne, in particolare
nell’ambito delle comunicazioni. Per De Gregori «oggi si racconta meno
di una volta: non si raccontano più le vacanze, il matrimonio della
cugina, la nascita di un bambino». Invece «si fanno vedere delle foto
sul cellulare e di solito quelle foto non “raccontano” molto. Quando mi
capita di vederle, immagino delle vacanze finite male, dei matrimoni
destinati a non durare, dei bambini che diventeranno un po’ antipatici».
Questo succede quando una tecnologia «viene abusata anziché usata
correttamente - denuncia l’artista romano - quando invade un altro
campo, quando stimola la nostra pigrizia invece della nostra
creatività». Quando il bello del narrare e dell’ascoltare «viene rimosso
in nome di una pretesa velocità o semplicità nella comunicazione che
spesso sono il contrario della verità», rincara.
Scrive Jorge Mario Bergoglio che
«l’uomo è un essere narrante. Fin da piccoli abbiamo fame di storie come
abbiamo fame di cibo. Che siano in forma di fiabe, di romanzi, di film,
di canzoni, di notizie…, le storie influenzano la nostra vita, anche se
non ne siamo consapevoli». È il passaggio che ha coinvolto da subito De
Gregori: «È difficile che le canzoni sono considerate cultura, raramente
ciò che “raccontano” le canzoni viene invitato alla stessa tavola delle
arti cosiddette “maggiori». D’altra parte la Chiesa «è stata spesso
anticipatrice di atteggiamenti e di aperture analoghe. Pochi giorni fa
ho visitato i Musei Vaticani e lungo il corridoio dei candelabri, ho
ammirato sul soffitto un bellissimo affresco della fine dell'800
dedicato alle arti e fra queste è compresa, seppure collocata ai piedi
delle consorelle, anche la fotografia, incredibile! ben prima che questa
venisse riconosciuta come un’espressione artistica e narrativa
autonoma». Nell’affresco una «primitiva macchina fotografica, una
semplice cassetta con un rudimentale obiettivo, sicuramente una delle
prime mai sperimentate, è raffigurata accanto ad un telaio. L’arte della
narrazione accanto a quella della tessitura quindi. Ambedue raccontano.
Un unico “testo”, come dice il Papa, avvolge l’uomo e coinvolge
l’umanità».
Come evidenzia Monda, dei tre
requisiti che papa Francesco indica come proprietà fondamentali delle
storie di cui ha bisogno l'umanità, il vero, il bello, il buono, è il
primo quello che più attrae il cantautore: «Il Papa parla di racconti
belli, racconti veri e buoni, forse è un modo di dire che debbano non
solo essere belli esteticamente ma avere a che fare direttamente,
concretamente, con la vita, essere capaci di trasformarla. Il punto è
che la vita, e questi tre aspetti fondamentali di essa, sono un po' come
il poligono e il mal di denti di cui parla Borges: solo il primo è
chiaramente definibile, mentre il bello, il vero e il buono sono tre
concetti difficili da definire, somigliano piuttosto al mal di denti di
cui tutti abbiamo esperienza ma che sfugge ad una descrizione precisa».
Gli sembra però che «nel “vero” possano rientrare anche gli altri due,
senza troppe forzature. Per chi produce racconti, per chi tesse la trama
sia del reale che dell’immaginario, per chi se ne lascia vestire
ascoltando, leggendo, abitando una grande casa comune. È la verità che
informa il lavoro dell’artista, se l’artista è un artista onesto (non
necessariamente un “grande artista”)».
De Gregori vuole puntualizzare che la
verità per lui «non è soluzione ma ricerca e ispirazione continua.
“State contenti, umana gente, al quia”: non possiamo sapere tutto,
avverte Dante, se non rimandando la nostra legittima esplorazione di noi
stessi e del mondo a qualcosa che ci trascende e ci sfugge in
continuazione, che possiamo intuire e fare nostra solo con una atto di
fiducia, se non di fede, in una verità che è sempre un passo più avanti
di noi».
Allora, si domanda, «che forma devono
avere dunque un racconto e una bibliografia del mondo che siano veri e
buoni e belli ma che non rinuncino alla descrizione del male e del
fallimento così presenti nella storia degli uomini? Come non commettere
falsa testimonianza? Qual è la responsabilità dell’artista,
dell’editore, dell’ingegnere? Come distinguere il vero dal fake? Come
collocare in una stessa biblioteca il Vangelo e Mein Kampf? E come
percorrere le sale di questa biblioteca senza smarrirsi?». Forse la
risposta a tutte queste domande «è confusa nel vento, come dice Dylan,
ma basta sapere ascoltare per orientarci, per scegliere cosa raccontare,
cosa leggere e come vivere da arbitri di noi stessi».
https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2020/03/05/news/de-gregori-il-papa-mette-le-canzoni-accanto-a-letteratura-e-cinema-non-e-scontato-1.38554679/amp/?fbclid=IwAR2p1pkanAYRnB3RUhg0b2JrgRhxdszGxz_HYRRMPYm1T1ET3jZnJSERSNI


Conclusa con successo
di critica e di pubblico ‘La Settimana Pacifica’
E’ stato un vero successo
di critica e di pubblico ‘La settimana Pacifica’ di Luigi De
Crescenzo, in arte Pacifico, che dal 2 all’8 dicembre è
andata in scena al Teatro dei Filodrammatici di Milano.
Nel corso de ‘La
settimana Pacifica’, il cantautore milanese ha voluto sul
palco Malika Ayane lunedì 2 dicembre, Samuele Bersani il 3
dicembre, Gianna Nannini il 4, Francesco De Gregori il 5,
Giuliano Sangiorgi il 6, Francesco Bianconi il 7 e Neri
Marcorè l’8 dicembre. Con loro Pacifico ha condiviso momenti
di musica e parole, creato un’atmosfera intima e accogliente
ed emozionato ogni sera il pubblico.
Con la sua particolare
formula della ‘descrizione dell’artista‘, Pacifico ha anche
rivestito il ruolo di narratore e intrattenitore, curiosando
nelle vite dei suoi ospiti con fatti e aneddoti mai
raccontati.
Per tutta la settimana
Pacifico ha accolto sul palco anche Luca Zaffaroni, un
cameriere milanese diventato l’incarnazione del brano ‘Il
cameriere anziano’: Zaffaroni, 71 anni e 60 di esperienza
nelle sale dei ristoranti e degli hotel più famosi al mondo
(tra cui l’Hotel Michelangelo a Milano), ha raccontato la
sua lunga carriera e le incredibili esperienze vissute nel
corso della sua vita.
Nella serata di venerdì,
inoltre, è salita a sorpresa sul palco la compagna di
Pacifico, Cristina Marocco, con la quale ha duettato sulle
note de ‘L’ora meravigliosa’, definita da entrambi la loro
canzone.
Pacifico è stato
accompagnato dai musicisti Carlo Gaudiello (piano),
Francesco Arcuri (polistrumentista) e Simona Severini
(chitarra e voce). Il 6 e il 7 dicembre ad accompagnare il
cantautore sul palco anche Frey (in sostituzione di Simona
Severini).
https://www.ilmohicano.it/2019/12/09/conclusa-con-successo-di-critica-e-di-pubblico-la-settimana-pacifica/

Antonello Venditti e
Francesco De Gregori con "Bomba o non bomba" e "La storia
siamo noi" si sono esibiti sul palco di X Factor 2019,
durante la quinta puntata dedicata agli inediti. I due
cantautori tra gli applausi del pubblico e l'apprezzamento
sui social hanno dato un annuncio importante: «È un’idea che
ci è venuta qualche giorno fa - ha detto De Gregori - faremo
un concerto all'Olimpico a Roma il 5 settembre».
Un ritorno alle origini
per entrambi perchè l’esordio musicale di Venditti e De
Gregori avvenne nel 1972 con Theorius Campus, il primo e
unico album del duo, dove vennero pubblicate alcune pietre
miliari della musica italiana come "Roma Capoccia", "Ciao
Uomo".
L'album riscosse scarso
successo, tuttavia tra i pochi compratori figura un
giovanissimo Luciano Ligabue:«A dodici anni ho capito che
c'era qualcuno che poteva fare le canzoni in modo diverso,
erano i cantautori. In particolare Theorius Campus di
Venditti e De Gregori ha cambiato la mia percezione».
Giovedì 21 Novembre 2019,
22:59
" |

Il Principe che fa il suo dovere di
buon cittadino nei pressi diu casa sua a Roma

De Gregori: rabbia non mi è mai
appartenuta, cambiare è bello
Firenze, 23 nov 2019 . (askanews)
Più che uno dei più amati cantautori
di sempre sembra un turista, quel signore placido che gironzola per
piazza della Signoria, a Firenze, fumandosi una sigaretta. Pronto a
concedere una parola e anche una foto perchè "no, dai, non è vero che ho
un brutto carattere".
Francesco De Gregori è l'ospite che
chiude la Festa del Foglio a Palazzo Vecchio, 'confessandosi', in una
intervista con Annalena Benini, tra passato e presente. Senza cedere
alla nostalgia, mai.
"Non c'è da rimpiangere gli
ideologismi del passato, degli anni '70, quando io ho cominciato a
cantare - dice Ma un po' più di ideali oggi non guasterebbero".
"No, non mi manca il passato, si
cambia ed è bello cambiare". "Io non capisco - riprende - chi resta
aggrappato a uno scoglio perchè è stato la sua ancora per 30, 40 o 50
anni. Per fortuna si cambia, affrontando le rivoluzioni che si
susseguono nella vita sociale, politica e culturale ed anche musicale,
come nel mio caso".
La rabbia? "La parola rabbia non mi è
mai piaciuta e non mi appartiene. Ho cercato sempre di fare analisi su
ciò che accadeva attorno a me, anche negli anni '70, anni molto
ideologizzati e di forti contrapposizioni, che oggi sono archeologia, e
in cui l'indignazione era molto forte". La festa del Foglio è dedicata
all'ottimismo...
"Non so se sono ottimista, ho scritto
anche canzoni un po' catastrofiste... Mi chiedo: possiamo permetterci
oggi di essere ottimisti? Non lo so francamente... Potrei cavarmela
ricorrendo al famoso 'ottimismo della volontà', ma in fondo che cos'è,
che cosa vuol dire? Preferisco non dare risposte".
Ma un invito De Gregori lo lancia:
"Semmai cerchiamo tutti di essere dialoganti e meno criminalizzanti
verso i nostri avversari, verso chi la pensa diversamente da noi...
Sarebbe già un buon inizio per il presente".
Intanto, il 5 settembre allo Stadio
Olimpico di Roma, dopo quasi mezzo secolo, De Gregori tornerà a cantare
insieme ad Antonello Venditti: "Con Antonello per un certo verso è un
ritorno al passato, a tempi archeologici, ma torniamo per fare un
concerto vitale, per far sentire cosa cantano oggi due musicisti quasi
settantenni", conclude.

Il cantautore e autore Pacifico
festeggia la sua lunga carriera al Teatro Filodrammatici di Milano con
una Settimana Pacifica. Sette concerti con sette ospiti speciali, da
lunedì 2 a domenica 8 dicembre. Ospite nella serata di giovedì 5
dicembre 2019 il Principe Francesco De Gregori.

Abu Dhabi - Metti una sera a cena, un
poeta prestato alla musica e due campioni del mondo che ormai qualche
decennio fa fecero sognare un Paese intero. In un campo neutro che più
neutro non si può, Abu Dhabi, Emirati Arabi, campus universitario della
New York University. Francesco De Gregori sta seduto al centro fra Marco
Tardelli e Paolo “Pablito” Rossi. Professori nemmeno tanto per caso di
un migliaio di studenti provenienti da tutto il mondo con un grande
sogno, diventare ambasciatori e cambiare il mondo. Si parla di calcio e
disciplina, business e poesia, odio e tolleranza. Ma il discorso non può
che scivolare indietro nel tempo e tornare a quella torrida estate
spagnola del 1982 in cui un gruppo di calciatori italiani, contro tutto
e tutti, riportò a casa una Coppa del mondo che mancava da quasi mezzo
secolo.
“Voi non lo sapete, ma questi due mi
hanno salvato la carriera - scherza Francesco De Gregori - Soltanto un
paio di mesi prima era uscito uno dei miei pezzi più conosciuti, La leva
calcistica del ‘68, quella di ‘Nino non aver paura di tirare un calcio
di rigore’. Provate a immaginare come mi sono sentito quando nella
finale dei Mondiali contro la Germania, Cabrini ha mandato fuori quel
penalty. Poi si chiama pure Antonio, quasi Nino... Ho temuto di passare
per jettatore, sono stati minuti d’inferno. Poi Rossi e Tardelli hanno
messo tutto a posto e io voglio ringraziarli pubblicamente dopo 37 anni.
Oh, chiedetemi qualsiasi cosa, sono in debito con voi, anche se siete
della Juve e per me romanista sfegatato non è poi cosi facile”.
E i due campioni di Spagna ‘82 non se
lo sono fatto ripetere due volte: “Noi un sogno lo avremmo, ma devi
avere un bel coraggio: ci fai cantare con te in concerto?”. Forse
Francesco non se l’aspettava, ma ormai... Tra l’altro per Paolo Rossi
non è nemmeno una novità. Lui in carriera vanta persino un 45 giri
inciso negli anni d’oro. Si intitola 'La domenica alle tre' e per i più
temerari c’è una versione assai vintage su Youtube. E così ieri sera,
davanti a oltre mille giovani della New York University di Abu Dhabi,
l’inedito trio De Gregori-Tardelli-Rossi ha scatenato la standing
ovation: “Ho scelto 'La storia siamo noi', un pezzo che sembra scritto
apposta per loro che la storia l’hanno fatta davvero” ha spiegato il
cantautore romano.
A cena, tra una battuta e l’altra -
“La tua fortuna, caro Paolo, è che stavi alla Juve, segnavi sempre in
fuorigioco” attacca il romanista De Gregori - si parla anche di calcio
di ieri e quello assai più patinato di oggi: “Faccio solo un esempio -
spiega Rossi - e penso al mio Vicenza. Il nostro allenatore è Mimmo Di
Carlo, con lui è arrivato uno staff di 7 persone. Sette, e siamo in
serie C. Ai nostri tempi c’era il mister e basta, a volte nemmeno il
vice. Ora c’è il motivatore, il tattico, chi guarda le partite
dall’alto, chi con un occhio solo. Ok, scherzo, ma dove è finito il
romanticismo di un tempo?”
“Troppi soldi, troppa tv. Ma forse
siamo noi che invecchiamo”, riprende Tardelli. Oggi a 13 anni i
ragazzini hanno già il procuratore, io a quell’età correvo da un autobus
all’altro per allenarmi dopo la scuola. Tornavo a casa stravolto e mio
padre controllava che avessi pure fatto i compiti. Per noi il calcio era
una passione che poi, soltanto poi, è diventata una professione. Oggi la
passione mi pare sia passata in secondo piano. Ed è un peccato”.
“Però non è che il calcio sia tanto
male - interviene De Gregori - Io mi diverto ancora a guardare le
partite”. “Pure quella di ieri della Roma?” affonda Pablito alludendo
alla sconfitta col Borussia in Europa League. “Un assist così nemmeno io
riuscivo a farglielo” ride Tardelli. “Niente, passano gli anni ma
restate juventini dentro”, commenta laconico Francesco.
Il più divertito di tutti è Claudio
Corbino, presidente dell’Associazione Diplomatici che ha organizzato la
spedizione negli Emirati degli aspiranti ambasciatori, in vista
dell’appuntamento di marzo all’Onu di New York dove la stella sarà l’ex
presidente degli Stati Uniti Bill Clinton: “Sono juventino ma adoro De
Gregori. Mi tocca dare ragione a tutti...”.
Pausa sigaretta, un bicchiere di coca
(qui il vino è off-limits), ma il juke box dei ricordi alla fine torna
sempre lì, a quell’estate del 1982 che ha inevitabilmente segnato la
vita di Tardelli e Rossi. “Ma davvero Bearzot e Pertini erano amici?”
chiede il cantante. “Forse amici è troppo, ma sicuramente erano
esattamente cosi come li vedevate dall’esterno - spiega Rossi - Veri,
anche duri, ma reali. Poi, ovviamente io posso parlare soprattutto del
mister. Gli devo tutto, venivo da una squalifica di due anni, mi ha
difeso anche dopo le prime partite deludenti, un altro magari avrebbe
ceduto alle pressioni della piazza. Per fortuna mi ha tenuto in campo,
mi pare che contro Brasile, Polonia e Germania qualcosina di buono sono
riuscito a farla”.
Qualcosina, sei reti, titolo mondiale
e capocannoniere di quella edizione. “Però il gol piu bello è il mio”
scherza Tardelli. E non ha nemmeno tutti i torti, visto che la foto di
quell’urlo del 2-0 alla Germania qualcuno ce l’ha ancora appesa in
camera. Finisce con un inedito De Gregori che intona l’osteria dei
magnaccioni, quasi a esorcizzare la mancanza di alcol che proprio non
avrebbe guastato. Pazienza, per questa notte il carico di emozioni è
sufficiente. Appuntamento al tour di primavera, senza campioni del
mondo. Anche se non si sa mai.
"La Repubblica si batterà sempre in
difesa della libertà di informazione, per i suoi lettori e per tutti
coloro che hanno a cuore i principi della democrazia e della convivenza
civile"
Carlo Verdelli
https://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2019/11/08/news/de_gregori_tra_rossi_e_tardelli_la_storia_siamo_noi_-240635786/


Anticipato dal primo singolo
"Freedom", domani, venerdi' 8 novembre, esce in tutto il mondo "D.O.C."
(Polydor/Universal Music), il nuovo disco di inediti di Zucchero "Sugar"
Fornaciari.
L'album e' disponibile in 3 versioni:
cd, doppio vinile e in una versione doppio vinile speciale color arancio
(edizione limitata in esclusiva per Amazon).
Prodotto da Don Was e Zucchero con
Max Marcolini, "D.O.C." e' stato "concepito" dall'artista a Pontremoli
nella sua Lunisiana Soul e registrato tra Los Angeles e San Francisco.
Autore di quasi tutti i brani, Zucchero
per la scrittura di alcune tracce dell'album ha collaborato con
Francesco De Gregori (in "Tempo al Tempo"), Davide
Van De Sfroos (in "Testa o Croce"), Pasquale Panella e Daniel Vuletic
(in "La canzone che se ne va"), Rory Graham (noto come Rag'n'Bone Man),
Steve Robson e Martin Brammer (in "Freedom"), F. Anthony White (noto
come Eg White) e Mo Jamil Adeniran (in "Vittime del Cool") e l'artista
scandinava Frida Sundemo (in "Cose che gia' sai"). (ITALPRESS).


TRICARICO - A MILANO NON C'E' IL
MARE (FEAT FRANCESCO DE GREGORI)

De Gregori incanta
la Rotonda, De Piscopo la fa ballare
5
Ottobre 2019 - Angelo Di Leo
Francesco De Gregori che canta di Nino e del suo calcio di rigore sulla
Rotonda del lungomare di Taranto (guarda) nella prima vera serata
d’autunno, davanti a migliaia di persone che lo accompagnano, segna
forse uno dei punti artistici più alti del 2019 qui sui Due Mari.
E
poi Tullio De Piscopo, che sembra lo stesso di quel concertone a
Maricento nell’estate 1982 (guarda), “portatore sano di musica” per
dirla con Peppe Vessicchio, mattatore della serata con la sua bacchetta
e quella faccia che sembra strappata alla vecchia mille lire, per dirla
con Checco Zalone.
Un bella serata di musica, ieri a Taranto, voluta da Francesco Pugliese,
tarantinissimo amministratore delegato di Conad e ieri circondato sul
palco anche dai ragazzi del Cus Jonico Basket che oggi cominciano
l’avventura in C gold. Quindi, Massimo Cimaglia e il suo monologo su
Taranto e i tarantini… da applausi anche lui. E anche questa non è una
novità. Ben arrangiati, da maestri e piccoli orchestrali, gli omaggi a
Pino Daniele e Morricone. Sonorità care al pubblico di qualsiasi
generazione. Patrimonio della cultura contemporanea italiana.
(Foto. A. Castellaneta)
https://www.laringhiera.net/de-gregori-incanta-la-rotonda-de-piscopo-la-fa-ballare/
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