IL CD

 

 
1) Numeri da scaricare 2) Compagni di viaggio 3) Un guanto 4) Mayday
5) La leva calcistica della classe '68 6) L'agnello di Dio 7) La Donna cannone 8) Caldo e scuro
9) Vai in Africa, Celestino! 10) La Valigia dell'attore 11) Buonanotte fiorellino 12) Il bandito e il campione

 

 

Francesco De Gregori

VOCE, CHITARRA, ARMONICA

 

 

 

 

 

 

Stefano Parenti

BATTERIA

Paolo Giovenchi

CHITARRE

Alessandro Valle

DOBRO E PEDAL STEEL GUITAR

 

Alessandro Arianti

PIANO E TASTIERE

 

Lucio Bardi

CHITARRE

Guido Guglielminetti

BASSO E

CONTRABBASSO

Prodotto da Guido Guglielminetti e da Gianmario Lussana. Fonico di sala Gianmario Lussana, Fonico di palco Enrico Belli. Grafica di copertina di Stefano Borghi Registrato su due piste dai canali Left & Right del mixer di sala Progetto grafico di Spazio 360. Grazie a Andrea Sembiante Sandro Frascogna Grazie a Dario Arianti

 

 

DVD    (bonus)

 

TAKES AND OUTTAKES - 2007

Regia: Nicolò Bello

Produzione: Guido Guglielminetti

 

Vai in Africa Celestino!

Regia: Nicolò Bello

Produzione: Alessandro Arianti

 

Grazie a Michele Belluscio, Tito Magri e Paolo Vites

 

L'intervista a Francesco De Gregori è di Renato Nicolini

 

DESTRA O SINISTRA E' TUTTO UN TITANIC
Il concerto mescola passato e presente tra folk, storia e un mare di metafore

MARINELLA VENEGONI (La Stampa)

 

FOLIGNO - 21.11.2007 Compie 25 anni un disco meraviglioso, Titanic, che è un po’ la summa della poetica di Francesco De Gregori. Visione letteraria, la Storia, il folk, annotazioni sociologiche, un mare di metafore che si tornano a scoprire mentre apre il concerto di debutto del tour Left and right nel teatro dugentesco di San Domenico, dolce e austero come la musica del cantautore romano. Proprio al Titanic è dedicato l’inizio della serata con la trilogia composta dall’Argentina title-track, dai Muscoli del capitano («tutti di plastica e di metano») dall’Abbigliamento di un fuochista ancora esplicitamente folk; ma tutta la prima parte del concerto conserva il sapore originale: e chissà se questa scelta di repertorio vuol festeggiare l’anniversario del disco, o invece ricordarsi che gli iceberg sono sempre vicini a noi, anche se magari non li vediamo.

Cappello di feltro nero, jeans, giacca scura, De Gregori qui gioca in casa e lo ricorda al pubblico. Lui vive spesso a pochi chilometri, Spello dove fa olio e vino buono, e per il resto la sua vita è quel mistero che appartiene agli uomini fuori dal gran circo mediatico, e che finisce per disvelarsi solo sul palco. Questa volta il concerto mescola molto passato e presente, pezzi da Battere e levare, Canzoni d’amore, e Natale, Rimmel. Concerto tondo, acustico, non appoggiato su suoni duri, con le chitarre a farla da padrone.

Come ormai succede per tutti, queste serate si accompagnano all’uscita di un cd dal vivo di De Gregori intitolato maliziosamente Left & right, ispirato ai termini tecnici dei canali del mixer ma in realtà se si traduce in italiano con «destra e sinistra», fuoriero di ben altri orizzonti culturali e politici, ancorché alquanto obsoleti.

Il cofanetto contiene un cd audio che mescola pezzi celeberrimi (la bistrattatissima Buona notte Fiorellino, La donna cannone, La leva calcistica della classe 68) con altri più recenti e meno diffusi nell’immaginario collettivo, magari ostici e duri come L’agnello di Dio con i suoi riferimenti alla degradata realtà delle aree suburbane, Caldo e scuro, La valigia dell’attore. Insieme al cd, un dvd alquanto stravagante che alterna pezzi di concerto con una impegnativa intervista al cantautore romano (seduto sulla poltrona di velluto rosso di un teatro deserto) fa parte di Renato Nicolini, indimenticato assessore che creò l’Estate Romana.

Qui De Gregori, di fronte alla storia dei propri inizi, si scioglie in qualche avara confessione. Per esempio, sulle chitarre: «Ne posseggo tantissime perché ho un rapporto quasi da feticista con le chitarre. Sono fra i pochissimi oggetti, io non amo gli oggetti, però le chitarre sì quindi ho questa collezione di chitarre. Poi magari le prendo in mano e capisco che avrei dovuto imparare a suonare meglio e a rispettarle di più. Però c’è sempre tempo nella vita».

 

 

Marsala, febbraio 2008

Gaspare Barraco

Il concerto di sabato a Marsala al teatro Impero ci ha fatto ascoltare, senza commenti ( come consuetudine) il suo grande repertorio. Mi è venuto in mente la chiacchierata fatta con lui in occasione del bellissimo concerto tenutosi al Palasport di Palermo. Per quel concerto vi i è stata la linea telefonica diretta con il cantautore Francesco De Gregori, tramite il Giornale di Sicilia. Ho avuto il piacere di scambiare con questo grande cantautore alcune opinioni, facendogli delle osservazioni a due sue canzoni. Francesco De Gregori? «Eccomi». Francesco,quale piacere, sono Gaspare Barraco di Marsala. «Buongiorno Gaspare». Francesco, intanto ti premetto che sono in possesso dei biglietti per il tuo concerto al Palasport di Palermo. «Grazie».Francesco custodisco tanti tuoi cd e ti seguo da sempre. «Grazie, benissimo». Desidero parlare di due tue canzoni : “ Il cuoco di Salò” e “ Viva l’Italia”. Nella tua canzone “ Il cuoco di Salò” tu hai descritto una presumibile condizione di amore tra chi faceva parte della Repubblica Sociale di Salò, agli ordini dei nazisti e i Partigiani Combattenti. Infatti hai scritto che il cuoco di Salò vedendo passare i Partigiani in montagna, li invita a pranzo, cucinandogli. Davvero sei convinto che vi era questo rispetto e amore dei saloisti verso i Partigiani?«No. Quella è una canzone che parla di un cuoco che vive in quegli anni terribili, della guerra civile in Italia. Io ho descritto una scena in cui il cuoco vede passare i giovani di Salò e i giovani Partigiani, e li invita a sedersi insieme per pranzare». Ti posso dire che, non vi era tutto questo amore dei saloisti verso i Partigiani. Mio padre Francesco, che ha combattuto sulle montagne del Piemonte nelle brigate garibaldine (dal settembre ’43 al 28 aprile ’45) di Cino Moscatelli, mi ha raccontato che non vi era tutto questo amore dei saloisti verso i Partigiani. Infatti, i saloisti non volevano mai fare lo scambio dei prigionieri con i Partigiani ( i nazisti spesso si ) con la mediazione dei parroci della zona. Inoltre – i saloisti- andavano alla ricerca dei Partigiani per torturarli, e impiccarli nelle pubbliche piazze, per intimorire la cittadinanza a non aiutarli. Fortunatamente, per l’Italia, queste azioni furono dei boomerang: i cittadini amarono ancora di più i Partigiani, diventando soggetti attivi per la Liberazione di tutti, compresi i seguaci di Salò. E’ storia vera, mi credi?«Si, sicuramente è così». Nella tua canzone giustamente dici che i saloisti “stavano dalla parte sbagliata”. Siccome si parla sempre dei ragazzi di Salò, per te erano tutti giovani i saloisti? «No. La canzone parla dei giovani, ma c’erano anche i vecchi». Desidero farti un’ altra domanda sulla tua canzone “ Viva l’Italia”. Tu dici che “l’Italia è stata assassinata dai giornali e dal cemento”. In che senso i giornali sono un danno per l’Italia? Magari le televisioni di adesso, dico con un sorriso. «Non si può prelevare una frase da una canzone e tirarla fuori dal contesto. Una canzone non è un trattato sociologico, non un articolo di terza pagina. E’ un’ espressione artistica. Richiede una lettura meno severa, diversa, meno precisa, meno puntuale. E’ una frase che adesso non riscriverei. Tu dici che l’Italia è assassinata dalle televisioni»? No. Non sono mai per giudizi di condanna generale, per me vi sono giornali e giornali, vi è televisione e televisione, vi sono giornalisti e giornalisti. Nella stessa canzone vi è un altro slogan “ L’Italia assassinata dal cemento”. Il cemento è solo dannoso? Sono un Ingegnere Civile e non sono d’accordo a criminalizzare il cemento o altri materiali. Si deve, semmai, criminalizzare il cattivo uso che se ne fa, o no?« Sono d’accordo. Spero che tu da ingegnere non contribuisci a cementificare l’Italia, per lo meno te lo auguro». Gli rispondo dicendogli che sono un’attivista del WWF dal 1996, ma non sono per la mummificazione e per l’estremismo ambientale. Ciao Francesco, ci vediamo al concerto. Chiude Francesco De Gregori con un «Grazie». Adesso ho avuto il piacere di riascoltarlo a Marsala. Tutti, ci siamo divertiti per circa 120 minuti,con un concerto in due tempi. Con solo qualche grazie, ha fatto parlare le sue belle canzoni, alcune anche di denuncia sociale. Il teatro Impero ha fatto registrare il tutto esaurito.

Marsala lì 04.03.08

 

 

È pronto il nuovo album “meno rock e più biografico” “Il Festival è il fallimento di una certa tv, non delle canzoni”

 

GABRIELE FERRARIS

Francesco De Gregori ieri, quando ha chiamato, era in viaggio per Cosenza, ennesima tappa di un «neverending tour» che il 14 arriverà a Genova, il 15 a Fossano, il 17 a Bologna; aspettando l’album nuovo, registrato a gennaio e forse in uscita a maggio, cui seguirà un altro tour... A De Gregori piace andarsene in giro con la sua chitarra e la sua band. Però ieri, evidentemente, gli piaceva anche parlare con un giornalista. Così ha chiamato. Per punirlo del peccato di disponibilità, la prima domanda è sull’argomento a lui meno grato. Il Festival di Sanremo.

Lei è da sempre un disistimatore di Sanremo. Ma il tracollo del Festival non è comunque un bel segnale per la musica: gli spettatori che cambiavano canale quando arriva il cantante la dicono brutta...

Si possono fare tante analisi, ma penso che la crisi di Sanremo sia la crisi di un certo tipo di tv, non della musica: chi ama, compra e ascolta musica non vive di solo Sanremo. Si sono stracciati le vesti sugli ascolti bassi perché ci hanno visto il fallimento di un modello televisivo, non della musica. Sono altri i luoghi dove la musica trionfa o fallisce».

Quali?

«I negozi di dischi, per esempio, dove oggi la gente non entra più, o se ci entra ne esce senza aver comperato neanche un disco. Mentre i luoghi dove la musica trionfa sono i teatri, i palasport, dove i concerti sono sempre affollati. Il pubblico sembra rifiutare l’acquisto dell’oggetto disco, del multiplo riproducibile; mentre ha voglia di musica dal vivo proprio perché è irripetibile, l’emozione di una serata comunque unica. La musica è tante cose: tutte distanti da Sanremo».

Però ci vanno anche cantanti di qualità. So che lei stima Tricarico.

«Assolutamente. Sanremo non l’ho seguito, lavoravo: ma ho rivisto sui RaiSat l’ultima serata, e Tricarico mi è piaciuto. Mi piace da sempre, dai tempi di Io sono Francesco. Al Festival è stato bravissimo, proprio perché testimoniava lo stridere del suo essere artista con il mondo che gli stava intorno e lo voleva inglobare. Uno come Tricarico all’Ariston ci può capitare per caso, o per necessità: ma né lui tocca Sanremo, né - grazie a Dio - Sanremo tocca lui».

A proposito di artisti. Lei ha appena terminato il nuovo album. Mi dicono - e sono portato a credere, a giudicare dai suoi ultimi concerti - che sarà meno rock rispetto al recente passato. Più classicamente «degregoriano», se mi passa il termine.

«Preferirei non passarglielo: non mi piacciono le aggettivazioni dai cognomi, degregoriano, veltroniano, dylaniano, pirandelliano... Però è vero che il disco, forse anche perché è stato registrato in un mese di pausa durante una tournée teatrale, ha dei suoni meno “da palasport”. Non so se ciò significhi “meno rockettaro”: credo che si possa fare del rock anche suonando a basso volume dei ritmi non veloci. Però è possibile che abbia una dimensione, come dire?, più cantautorale».

Già, i cantautori. Dicono che non se la passano tanto bene, oggi.

«E’ una cosa vera, ma non nuova: i cantautori sono da sempre il bersaglio prediletto della critica, perché sono animali strani, un po’ deformi, che si prestano poco alle regole di questo mestiere, e quindi sembrano assumere atteggiamenti spocchiosi... D’altra parte è un momento di crisi per chi fa musica, ed è possibile che in questa crisi generale i cantautori siano più esposti. Se devo parlare di me, mi considero un uomo premiato dalla fortuna, sono trent’anni che vado in giro a suonare, e il pubblico è sempre lì. Pure se vendo meno dischi di 10 anni fa...»

Tutti vendono meno dischi di 10 anni fa.

«E magari io ne vendo ancor meno degli altri, non so: non è una cosa che mi interessi, non mi sono mai interrogato su queste cose, nemmeno quando vendevo più dischi di adesso, e tutti vendevano più dischi di adesso. Non è mai stata questa la bussola della mia vita. Mi sento in ottima salute, come artista: sono cinque-sei anni che, in pratica, non ho quasi smesso di fare concerti, e funziona ogni sera. Mi pare un buon segnale».

Dipenderà dal fatto che lei sa guardare la realtà, essere attuale; a volte anche profetico: penso a canzoni come La Ballata dell’Uomo Ragno, o Pentathlon...

«Più che profetico, magari lucido. La canzone consente di essere lucidi, e più tranchant che con un libro o un film. Non ci dò molta importanza: capita di scrivere canzoni più o meno riuscite: per me conta, banalmente, la gioia di scrivere, un momento di creatività piacevole, la soddisfazione del lavoro artigiano. E’ il piacere che provo quando magari qualcuno mi viene a dire di aver riscoperto un mio vecchio brano, e me lo dice in maniera così sincera, amichevole... Non avere perso il gusto del mestiere, è il regalo più grande che mi sono fatto nella vita. Ma davvero, lo sa che il mio è un bel modo di campare?».

Dunque, lasciamo stare l’immagine del De Gregori profetico. Anche perché almeno in un caso la profezia non s’è inverata. Celestino non è andato in Africa.
«Lo sapevo, che saltava fuori Vai in Africa, Celestino, con la storia che Celestino è Veltroni... A parte che Veltroni ha detto che prima o poi ci andrà, in Africa: e se lo dice sarà sicuramente vero. Non ha escluso di dedicarsi in futuro a qualche attività umanitaria: anzi, sostiene che il suo impegno politico non è definitivo. Perché non credergli? Certo, adesso è facile dire che quella canzone parla di Veltroni: in qualche modo sì, ma in qualche modo parla di altre cose. Non è una canzone di scetticismo nei confronti di qualcuno, è una canzone che sull’impegno politico, sul libero arbitrio, sul senso di responsabilità. Veltroni è citato, ma non è una canzone su Veltroni, né tanto meno contro Veltroni».

Lei a Veltroni vuole bene...

«Sono suo amico, e assisto con piacere alla sua avventura politica. Penso che in questo momento stia facendo cose buonissime».

Una canzone che fotografa bene l’Italia di oggi è Tempo reale. C’è quel verso, «la libertà con un chiodo tortura la democrazia», che vale cento editoriali...

«Ripeto: una canzone ha il privilegio di poter essere sintetica, veloce, illuminare con una sola frase una situazione, e poi passare oltre... Un verso così è la testimonianza di quel privilegio. In realtà il concetto è banale: dice che libertà e democrazia possono andare in cortocircuito, e quando avviene ne soffrono entrambe, e si assiste alla tortura, alla scempio, che è sotto gli occhi di tutti».

Torniamo al disco nuovo: quali temi ha privilegiato?

«Lo definirei un disco “biografico”: non autobiografico, biografico. Parla della vita: la mia, e quella degli altri. E’ la parola “vita” che mi interessa».

Parlando di vita. Posso chiederglielo, essendo quasi coetanei: comincia a pensare alla vecchiaia?

«Beh, non mi sento vecchio a 57 anni. Immagino che oggi uno si possa definire vecchio a settant’anni. Alla nostra età si è ancora ragazzini. Sì, il tempo passa, ma questo lo sentivo anche quando scrissi Rimmel, e avevo 24 anni: nel testo c’è già il sentimento del rimpianto. Il rimpianto te lo porti dentro anche a vent’anni. Il rimpianto mi accompagna da una vita. Ma mi sento il contrario di un vecchio. Forse rimarrò per sempre giovane».

Forever young...

«E non è un modo di dire. Certo, da un punto di vista fisico... Una partita a pallone la affronto oggi con più circospezione che a vent’anni. Questo significa essere vecchi?».

 

 

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In delirio per Francesco. Il talento di De Gregori entusiasma il pubblico del Team
di Alessandra Colucci


Da "Titanic" a "Buonanotte Fiorellino"; le ha eseguite praticamente tutte, pescando a piene mani da un repertorio che ha unito tre - forse quattro - generazioni, racchiuse in un Teatroteam pieno quasi fino all'esaurito e traboccante un entusiasmo inaspettato ed incontenibile. Dieci minuti di ritardo, camicia chiara, pantaloni di velluto, stivali di cuoio e l'insostituibile cappello nero calato sulla fronte, Francesco De Gregori ha stupito, emozionato, infiammato una platea nel più totale delirio d'ammirazione. Successo meritato per la tappa barese - l'unica in Puglia dopo il forfait di Lecce - del "Left & Right tour" che il cantautore romano, classe 1951, sta portando in giro nei teatri italiani e che durerà fino a primavera inoltrata.
Il concerto è stata un'unica, inarrestabile, cavalcata tra i più grandi successi della sua produzione. Non una parola - glielo hanno rimproverato, nonostante le decine di applausi a scena aperta e le urla di genuino entusiasmo che hanno più volte lacerato l'esecuzione dei brani - e lui ha fatto finta di nulla. Ha solo chiesto che venisse puntato il faro contro quella voce in prima fila, poi ha lasciato perdere con un sorriso, ha bevuto un sorso d'acqua e continuato a cantare e a tacere. In effetti, la forma di espressione migliore per uno come De Gregori è, appunto e solo, la musica. Le sue canzoni non hanno tempo, non hanno età. Chitarra acustica sul petto, classe da vendere e atteggiamento algido, De Gregori ha retto uno spettacolo che si è protratto per poco più di due ore. Una sola volta, per cinque memorabili minuti, è stato da solo sul palco e davanti al pianoforte. E' stato quando tutti credevano che la prima parte dello spettacolo fosse finita. Attendevano la riaccensione delle luci e già pregustavano una sigaretta. Lui, invece, è tornato, si è seduto al piano ed ha intonato una magnifica, intima, dolcissima "Sempre e per sempre" che ha fatto venire giù il teatro. Per il resto è stato "Rimmel", e qui non ci sono parole, è stato "La leva calcistica  del 1968", è stato "Vai in Africa, Celestino", è stato "Compagni di viaggio", è stato "Generale". Sono state emozioni continue, sapientemente orchestrate, emozioni di pizzicate sulle corde della chitarra, di svisate improvvise, di memorabili assoli. Supportato da una band (Alessandro Svampa alla batteria, Alessandro Arianti alle tastiere, Alessandro Valle, Lucio Bardi e Paolo Giovenchi alle chitarre e Guido Guglielmetti al basso) di grandi professionisti, De Gregori ha intessuto uno spettacolo che, per i tantissimi del Teatroteam, è stato un tuffo nel passato. Non gli sono serviti coristi, ha avuto il pubblico, e neppure improvvisare trucchetti per farseli amici. Erano lì, ed erano lì per lui, dando prova di una conoscenza da lasciare stupiti. Il pubblico di ieri sera, presente, ricettivo, intelligente, colto, è stato tra le più belle soprese che ci si potesse aspettare.
E, unica nota dolente - ma è doveroso dirlo - questo pubblico forse meritava la possibilità di fare qualche foto. Diversamente dai concerti di Ornella Vanoni e Lucio Dalla, prima dell'inzio è stato espressamente chiesto di non videoriprendere e fotografare alcuna parte dello spettacolo. A corroborare questo divieto c'erano alcuni addetti che, torcia bianca puntata negli occhi, intimavano di smetterla a qualsiasi schermo che illuminasse il buio della sala. Forse, l'emozione di chi, rapito ed entusiasta, voleva avere un ricordo sul cellulare, valeva un po' più del sacro diritto d'autore. Forse. Soprattutto per uno come lui. Uno come Francesco De Gregori.

Cinque serate dedicate ai grandi concerti di musica italiana presto su Rai Due
Il direttore di Rai Due, Antonio Marano, ha svelato un nuovo progetto legato ai grandi concerti di musica italiana.
"La musica in televisione è importante e deve essere tenuta nel giusto conto. Per maggio e giugno sto preparando cinque prime serate con Ligabue, Zucchero, Biagio Antonacci, Francesco De Gregori e Vasco Rossi", ha spiegato Marano. "L'80% del lavoro è gia andato in porto, fra poco chiuderò i contatti e sarà fatta".
Secondo il direttore gli spettacoli non avranno un conduttore, ma saranno presentati dagli stessi artisti. L'unica eccezione potrebbe essere Vasco: "Con lui stiamo pensando alla diretta per uno dei concerti allo Stadio Olimpico di Roma del 29 e 30 maggio". (Fonte: La Stampa) (08 Mar 2008

 

De Gregori sfodera lirismo e country tra donne cannone e ricordi di rimmel
 

 

Pezzi di country band stile Nashville, pezzi di blues con un pizzico d'anima nera, pezzetti di rock'n roll e un grosso pezzo di lirismo all'italiana. Metti nel mixer e frulla tutto. Ecco Francesco De Gregori in versione 57 anni (li compierà il 4 aprile), barba bianca, occhiali a scomparsa, niente più casual style ma abito gessato grigio, camicia bianca e cravatta bordeaux. Niente più politica, ma tutto votato all'amore ed alla poesia della vita quotidiana in cui però non si smette mai di sognare.
Si presenta così sul palco del Grandinetti persino sbilanciandosi un po': «Quanto calore arriva da questo bel teatro». Dice, rompendo quell'alone di antistarrismo che l'ha segnato.
 De Gregori, chitarra in spalla, sa di arrivare dritto al cuore di chi l'ascolta, e lo fa senza bussare. "E senza fame e senza sete, e senza ali e senza rete, voleremo via", canta la "Donna cannone" nel momento più innamorato del suo concerto, con la sua voce soffocata e unica e il solo piano che l'accompagna dolcemente in questa sua ascesa verso il sogno di ogni spettatore che per un attimo dimentica d'essere seduto su una delle poltroncine rosse del Grandinetti.
Un cantastorie dall'aria buona, col cappellone nero ma distinto e colto, che parla col linguaggio di tutto, s'abbandona ad un ermetismo facile e manda messaggi a volte dolci ma anche amari. "Pezzi di parole, pezzi di parlamento, pezzi di pioggia, pezzi di fuoco spento. Ognuno è fabbro della sua sconfitta
ognuno merita il suo destino...", recita nel suo ultimo cd "Pezzi" che va presentando nei teatri di mezz'Italia, e che insinua tra i suoi classici fatti di alcune delle canzoni più amate dagli italiani.
Il concerto scorre, la musica coinvolge. L'esecuzione è impeccabile. Al suo fianco sul palco c'è una band di tutto riguardo fatta innanzitutto da due chitarristi virtuosi come Paolo Giovenchi e Lucio Bardi che vanno dal country al blues come se passeggiassero fischiettando, con grande sfoggio di Fender, Gibson e Martin da far venire i brividi a qualsiasi amante delle sei corde.
Per rendere ancora più country il suono delle sue ballate il cantautore romano ha inserito una steel guitar dal suono liquido accarezzata dalle mani sicure di Alessandro Valle. Al pianoforte Alessandro Arianti che si è superato nell'assolo della "Donne cannone" e alla sezione ritmica Alessandro Svampa sulla batteria e Guido Guglielminetti che non è solo bassista ma anche produttore. Ne escono fuori atmosfere acustiche in stile Van Morrison che completano il repertorio di De Gregori tradizionalmente asciutto dal punto di vista strumentale, ma oggi arricchito da suoni giovani e vellutati.
Sulle poltroncine e sui palchi pubblico di tutte le pezzature: capelli bianchi e under 18, con una prevalenza di età media. Di quelli che erano quindicenni quando ascoltavano "Rimmel" e la dedicavano ai loro primi amori acerbi. "Santa voglia di vivere, dolce venere di rimmel..." canta De Gregori, perchè quando si viaggia sull'amore anche il linguaggio popolare diventa aulico.
Le ballads "Natale" e "Generale" cantate da tutta la platea fanno pensare ai pezzi che non si dimenticano mai, e che ritornano anche con pezzetti maledetti della canzone tricolore come Vasco Rossi che le rende più rock e le diffonde al suo grande pubblico di fans. Un concerto di emozioni. Grazie Francesco.

 

De Gregori in tour attacca "l'inutile cantilena" del '68

La Stampa-18.3.2008 - GABRIELE FERRARIS


«Ci sono posti dove sono stato / posti dove non tornare...». La musica è quella delle migliori ballads di De Gregori, ma le parole, quelle proprio non le ricordo. Ovvio. La canzone è inedita: s’intitola Celebrazione e sarà sul prossimo disco - che uscirà il 23 maggio - ma il Principe, nell’attesa, la prova dal vivo. L’ha fatta debuttare sabato sera a Fossano, tappa «minore» del tour. E’ una di quelle canzoni che faranno discutere. Con prevedibile orticaria di Gregori, che da tempo immemorabile le canzoni preferisce non spiegarle, lasciarle libere di trasmettere ciò che sanno. Per non dire del fastidio che gli procura sentirsi trascinato per i capelli in dibattiti politici d’accatto. Così la canta, quasi di soppiatto, e non la spiega. E al primo ascolto la potresti pure scambiare per una riflessione autobiografica - a conferma di quanto De Gregori ha anticipato sul nuovo album, che, dice, «sarà incentrato sulle vite, la mia e quelle degli altri».

«E mi volevano inchiodare /.../ ai loro amori finiti male / a canzoni con quattro accordi /a quell’inutile cantilena / ma davvero non ti ricordi / quando cantavi e sbadigliavi in scena?» è una strofa cruciale: ma non è la semplice insofferenza di un artista stanco dei luoghi comuni che lo identificano da trent’anni («Quello di Rimmel...»). Con Celebrazione De Gregori fa i conti con il 68: è la sua personale «celebrazione» del quarantesimo degli «anni formidabili» - come li ha definiti Capanna, e come certo non li definirebbe De Gregori. E’ difatti una Celebrazione tutt’altro che celebrativa: il Principe prova un insopprimibile fastidio per rituali e reducismi della politica. Anni formidabili? Ma no, piuttosto anni di chiacchiere vane, anni masturbatorii: e il 68 lo rievoca, e lo manda in soffitta, proprio con l’immagine di «quelle stanze dove si parlava di psichiatria / di terrorismo e di democrazia» (o «fotografia»: le versioni ancora oscillano); un movimento ben presto autoreferenziale e parolaio, che ha prodotto idee e uomini non tutti esemplari; un 68 troppo lungo, che si è stiracchiato fino alla degenerazione del 78; un posto, insomma, «dove non tornare». De Gregori procede per metafore, a volte poetiche, altre ironiche fino alla spietatezza: quando descrive «la sinistra paralizzata, e la destra si arrangiava» potete pensare che stia parlando di destra e sinistra in senso politico; ma l’immagine richiama anche a un’attività, per l’appunto, onanistica.

Come al solito, De Gregori spiazza quanti si ostinano ad arruolarlo sotto le bandiere di una militanza pura e dura che in realtà non c’è mai stata; l’uomo non ha mai rinunciato alla propria autonomia di giudizio, a costo di spiacere alle vestali della sinistra. L’interpretazione, lo ripetiamo, è sempre libera: abbiamo tuttavia fondati motivi per ritenere che questa corrisponda al suo pensiero. Celebrazione non è l’unica anteprima «live» dell’album prossimo: da qualche tappa, in scaletta ci sono altre due canzoni nuove. Una s’intitola Gente senza cuore e si occupa del degrado urbano, e del degrado delle nostre esistenze, con immagini dure e dirette sorrette da una musica spiazzante, spensieratamente boogie. L’altra ha un titolo, Per brevità chiamato l’Artista, solo in apparenza strampalato: in realtà è la formula standard usata per indicare il musicista in un contratto discografico. Una formula che colpì De Gregori quando firmò con la Rca, ad inizio carriera; e se ne è ricordato adesso, per una canzone che è un bilancio amarognolo, e questo sì profondamente autobiografico, di che cosa significhi davvero il mestiere di cantante. Il bilancio della vita di Francesco De Gregori, che nei versi finali dà di se stesso la più disincantata delle definizioni: «Principe da palcoscenico / che dà la buonanotte ai fiori».

 

 

Il nuovo De Gregori punta tutto su ironia e leggerezza

di Simone Mercurio -Il Giornale 21.3.2008
"Si potrebbe definire un disco più cool, da piano bar, in qualche modo più sofisticato degli altri, soffice... ecco". A pochi giorni dal concerto romano, Francesco De Gregori parla del suo prossimo disco in uscita a maggio. Due canzoni nuove, il cantautore romano le ha suonate proprio in un Auditorium Conciliazione carico di entusiasmo e tutto esaurito. Un gustoso aperitivo per un disco già pronto e registrato nato fra una data e l'altra del tour teatrale.
Lei propone live delle nuove canzoni prima che il disco esca… non dovrebbe essere il contrario?
"E perché mai! Mi andava di sentire come suonavano live, volevo la risposta del pubblico, e poi non mi è mai piaciuto seguire delle regole in questo senso. Anche le mie tournèe non sono mai state consecutive a dei dischi nuovi".
Un tour infinito, con una band con la quale dà l'idea di divertirsi parecchio.
"Assolutamente sì, se non ci divertissimo sarebbe davvero la fine! Mi fa piacere quando si sottolinea la bravura della mia band. Al di là del vestito che decidiamo di far indossare ai pezzi, penso si senta quando i musicisti sono affiatati".
Palasport, stadi, teatri, auditorium, ma anche piazze o centri sociali lei ha fatto concerti davvero ovunque. Tornerebbe oggi a qualche esibizione da pianobar?
"Perché no? Amo suonare davvero ovunque ed è anche quello che consiglio ai giovani: suonare senza risparmiarsi. È quello il principio per arrivare al pubblico, più di quello di cercare a tutti i costi un contratto discografico".
Tornando al disco in uscita a maggio, due canzoni inedite nel live romano "Finestre rotte" e "Per brevità chiamato artista": la prima è un rock 'n' roll molto sixty ed è più diretta, la seconda ha bisogno di qualche ascolto ed è nel testo forse più criptica. A cominciare dal titolo.
"Quando mi dicono che i miei testi sono ermetici sorrido un po', è stato così anche per altre canzoni ma poi nel tempo si capiscono. Finestre rotte è una canzone su quello che circonda, su quello che non va. Non mi piace spiegare i miei brani, si comprendono ascolto dopo ascolto. Per brevità chiamata artista prende spunto invece dalla curiosa formula burocratica che si usa nei contratti discografici. Questa cosa mi faceva sorridere per la sua freddezza".
Ha già deciso il titolo del disco?
"Ho in mente un paio di titoli a dire il vero. Ma preferisco non dirli perché magari poi cambio idea. Sarà un disco fatto di canzoni e atmosfere diverse una dall'altra, con brani nati dal clima teatrale della tournèe, meno palasport, meno rock, più cool, più con atmosfera da pianobar, brani con sonorità sofisticate… soffici, è forse questo il giusto aggettivo. Si tratta di un disco che si è suonato da solo, nella pausa fra un concerto e l'altro della tournèe".

 

 

https://www.iltitanic.com/2023/nos.jpgPerò se un giorno passerai dalle mie parti.....

Il 27 pomeriggio vado al centro di Catania per salutare alcuni amici venuti da Palermo e Daniele Di Grazia del Rimmel Club. Dopo un casuale caffè coi musicisti Valle, Giovenchi e Parenti, li lascio dando loro appuntamento per la sera al concerto di Francesco De Gregori, inserito nel suo tour "Left & Right".

Mi avvio al parcheggio dove ho l'auto, per tornare a casa. Percorro a piedi Via Etnea, poi Via Umberto e mai, mai mai mai..... ... e poi mai avrei pensato .......

(Miiiii... non ci possso credere!) di fare un incontro del genere: da un grosso furgone (Ford?) vedo scendere Francesco! Proprio lui, fra tanta gente come un comune passante, desideroso di farsi quattro passi a piedi in via Etnea prima di andare al teatro.

Gli vado vicino: "Ciao Francesco!" e lui "Ciao, ci vediamo stasera...."

Come al solito non mi riconosce e mi devo presentare. "Sono Mimmo Rapisarda".

"Minchia! Mimmo!..... come stai?" Che fai qui?

"Tu ..... che ci fai qui!"

Mi abbraccia nella mia Catania, in strada, fra i miei concittadini, nella centralissima Via Umberto. Per me, stare a parlare col mito e presentarlo, al contempo, alla mia amata città è un doppio motivo di orgoglio. Da tempo ho fantasticato su quel che è accaduto l'altra sera: incontrarlo sui marciapedi di casa mia, proprio quelli consumati dai galantuomini del gallismo di Brancati; proprio come loro, a discutere all'angolo del Caffè Savia. L'altra sera questo desiderio si è avverato.

Stiamo un po' a parlare come fanno due catanesi prima di avviarsi in uno dei numerosi chioschi, ci diamo appuntamento per la serata e alla fine gli chiedo se posso fare qualche foto durante il concerto.

"ehh.... ehh..... veramente .......non si potrebbe." (in questo periodo, vista la prossima uscita del nuovo disco, è un'impresa ardua), poi fa un cenno al suo assistente e gli dice "Alfredo (per discrezione chiamiamolo così), mi raccomando, lui è amico mio".

Ma gli scatti sono quelli che sono. Perchè, anche col placet di Francesco?

Perchè nonostante Alfredo mi avesse consentito di farne qualcuno in sala "senza esagerare" (e lo ringrazio), oltre lui c'era una mezza dozzina di addetti che giravano e stanavano, con piccole torce, qualsiasi segnale luminoso proveniente da una fotocamera, dalla più sofisticata a quella del cellulare. Siccome non mi andava di fare il raccomandato mettendo Alfredo in chiara difficoltà, ho cercato di fare quel che ho potuto: velocemente, di nascosto e con le mani che mi tremavano per la fretta e per il timore di essere beccato.

Sfido chiunque a scattare una foto durante un concerto con una scenografia molto soffusa (quindi poca luce all'obiettivo, nonostante fossi a ISO 800 e 4.2 di diaframma), con un tele che in cattive condizioni balla parecchio e sul collo il fiato di autentici kapò che ti braccano come un ebreo nei ghetti di Berlino. In pratica, chi riesce a scattare bene in situazioni del genere, dopo può scattare di tutto. Tuttavia, anche se non eccezionale, il ricordo della serata è rimasto lo stesso.

Il concerto, inutile dirlo, è stato bellissimo. Ciccio sempre di poche parole.

Il Capitano ha tolto subito le ancore del suo transatlantico ed ha sfoderato quattro canzoni appartenenti ad uno dei dischi a cui è più legato: Titanic. Poi Festival, davvero emozionante, e la nuova versione di Natale che ha impregnato tutto il teatro di atmosfere parigine grazie alle mirabili mani di Arianti sulla sua fisarmonica. Sempre e per sempre, suonata da De Gregori al pianoforte, con un faro su di lui, secondo me è stato il momento che da dato più phatos alla serata. Fino ai consueti bis, il pubblico catanese ha potuto godere più di trent'anni di storia italiana attraverso una scaletta farcita di nuovi pezzi e da classici intramontabili, e che gli ha dato modo di salutare il cantautore romano con calorose manifestazioni di affetto: "sei bellissimo, che Dio benedica tua madre, ecc.".

Lui lo sa che quando arriva a Catania, dalla platea possono partire le battute più estemporanee e colorite. Siamo fatti così (vedi il povero arbitro Farina che al Cibali è stato distrutto dall'improvvisa ironia che abbiamo nel DNA). Lo sa, lo sa, come sa pure che siamo tutti suoi amici, da sempre. Specialmente uno.

"Lui è amico mio!" Anche tu sei amico mio, non so se l'hai sentito bene quando ci siamo lasciati l'altra sera su quel parcheggio a strisce blu, quando ti ho detto "Ciao Francesco, sei sempre il più grande, ti voglio bene!"

Il frutto di quell'antica amicizia è raffigurato in questa pagina.

http://www.mimmorapisarda.it/concerti/degregori1.HTM