COL 499893 2

Amore Nel Pomeriggio ‎(CD, Album)        Columbia          COL 4998939     Italy      2001    

Amore Nel Pomeriggio ‎(CD, Album, Dig) Columbia          COL 499893 2    Italy      2001    

Amore Nel Pomeriggio ‎(CD, Album, Dig) Columbia          COL 499893 2    Italy      2001    

Amore Nel Pomeriggio ‎(Cass, Album)     Columbia          COL 499893 4    Italy      2001    

Amore Nel Pomeriggio ‎(CD, Album, RE, Dig)       Sony Music, Columbia   88843067712             Italy      2014

 

 

 

 

 

 

Prodotto da Guido Guglielminetti. Registrato da Gianmario Lussana. Hobo Recording Studio - Saracinesco (Roma). Mastering di Ian Cooper, Metropolis Mastering - Londra. Ed. Serraglio Copertina di Piero Pizzi Cannella Artwork: Francesca Pes
Grazie a Enrico Tortarolo Projet Studio Cuneo. Hanno inoltre collaborato: Marco Rosini (mandolino) Slep (chitarra) Stefano Tavernese (violino) Dario Arianti (chitarra) Fabio Ceccarelli (fisarmonica) Alessandro Arianti (pianoforte) Scuola APM di Saluzzo Michele Fefrigotti e Vittorio Muò (direzione orchestre)

 

 

Copertina di Piero Pizzi Cannella (a sinistra)........

Però la copertina mi piace - non solo perchè è una copertina " d'oro" ( SE LA GUARDATE BENE)- ma proprio perchè è di cartone. Forse abbiamo tagliato qualche albero in più, ma produrremo meno diossina. Comunque per quanto ne so c'è anche una versione con il guscio di plastica tradizionale - ma sempre senza i testi-. Per farmi perdonare ho chiesto alla Sony di stampare anche il vinile. E l'uomo del monte ha detto si. Ciccio

 

 

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De Gregori Canti d’amore e di guerra

“Nel saggio del 1932 Morte nel pomeriggio, Hemingway mise su carta “l’insostenibilità” della corrida, rito della tauromachia che Fernanda Pivano descrisse come una “tragedia” perché “il torero è l’uomo che vive in stretta intimità con la morte e reca sul viso le tracce di questa intimità”.

Quasi 60 anni dopo De Gregori prende in prestito quel titolo, affida la copertina del disco all’artista Piero Pizzi Cannella che tratteggia il traje de luces, l’abito del torero, e ne ribalta il concetto, ma a metà. Amore nel pomeriggio è un non luogo dove dormi con la vita e la morte nello stesso letto; l’amore è paradiso e guerra, ti riempie, ti consuma e si dissolve, come il sudore dell’uomo contro l’animale nell’arena,  come nell’ enigmatica Caldo e scuro , con la sua citazione di Rimmel, o nella delicata rivisitazione di

Canzone per l’estate , scritta con De André nel 1975.  E poi ci sono i migranti di Natale di seconda mano che osservano non visti “ballare sul marciapiede la vita in rosa che ci guarda e sorride e non ci tocca mai” e Condannato a morte ,ispirato a Salman Rushdie ben prima che tentassero di assassinarlo.  E c’è il capolavoro arrangiato da Battiato sulla fine del regime fascista, Il cuoco di Salò ,dove “dalla parte sbagliata si muore”.

Sempre e per sempre , forse la più amata del repertorio di De Gregori, chiude il disco. 

È il suo modo di scegliersi la parte e uscire dall’ombra. Troppe cose fuggono dolorosamente quando non vorremmo, sappiamo che alcune non si perdono mai. “

 VALERIA RUSCONI- Repubblica - 26 luglio 2023

 

 

"Abbiamo incominciato, Francesco ed io, a pensare di realizzare finalmente un disco, perché i tempi pensavamo fossero maturi. Allora ci siamo trovati a casa sua, in Umbria, e abbiamo fatto una riunione...abbiamo pensato a riproporre un Rimmel dei giorni nostri.

Abbiamo lavorato a "togliere" piuttosto che "ad aggiungere" perché le idee c'è ne sono state tantissime, ed è stato un bellissimo lavoro.

L’atmosfera è stata quanto di meglio si possa pensare. Abbiamo registrato tutto in diretta, cioè ogni musicista suonava il proprio strumento con Francesco che cantava, come se fosse un concerto in sala di registrazione. Sono stati pochi i ritocchi, abbiamo preferito rifare più volte il pezzo piuttosto che intervenire su ogni singolo strumento, perché questo ci avrebbe portato a raffreddare l'atmosfera delle canzoni.”

(Guido Guglielminetti)

Ascoltando le ballate del disco si capisce subito che aveva bisogno soltanto di essere ascoltato, non spiegato. Deriva è un gioiellino il cui testo non contiene parole ma note musicali, frasi, armonie. Sono parole che potrebbero già suonare da sole, senza strumenti, ma avendo la fortuna di essere imprigionate in quella gabbia melodiosa che Francesco ha costruito per loro, diventano di conseguenza meravigliosi pentagrammi. E' una canzone che ascoltata nel posto giusto ti mette addosso un'indescrivibile voglia d'amore, una canzone terapeutica che ti aiuta a trovare il coraggio di dire 'ti amo'.

Anche L'aggettivo Mitico, Sempre e per sempre, Il cuoco di Salò saranno ricordate a lungo, come impresse in quella misteriosa fotografia virata seppia che ogni tanto cita: "quando ho guardato la tua foto sul muro ed ero già lontano tu sorridevi a qualcuno qualche anno prima" e "quella foto in cui tu sorridevi e non guardavi".

Guido Guglielminetti

 

 

Ecco i fatti dell’anno: migliaia di persone si recano pacificamente nelle giornate del G8 a Genova per manifestare sui temi della globalizzazione, la situazione però degenera con conseguenze imprevedibili; Silvio Berlusconi vince le elezioni politiche e ci governa con la coalizione del Polo delle libertà; il primo ministro inglese è Tony Blair; dopo l’attentato a Manhattan gli USA bombardano l'Afghanistan; Palma d’oro a Cannes per Nanni Moretti con La stanza del figlio; muoiono Renato Carosone, George Harrison, Giorgio Lo Cascio, Indro Montanelli, Ferruccio Amendola, Christian Barnard, Peppino Prisco, Maria Grazia Cutuli.

Ma quest’anno sarà ricordato nella storia dell’uomo sopratuttto per un’infamia: il crollo delle torri gemelle a New York avvenuto l’11 settembre a causa di due boeing pilotati da kamikaze e che provocò migliaia di vittime, proprio nel cuore della blindata America. Quelle torri che fumano come comignoli resteranno per sempre il simbolo di questo nuovo millennio. Da quel giorno in poi le strategie politiche del mondo cambieranno e tutti, a cominciare dagli invincibili americani (che hanno sofferto da sempre della sindrome da invasione), siamo consapevoli che nessuno è invulnerabile di fronte al fanatismo esasperato, al terrorismo e soprattutto alla voglia di riscatto. Per questo dall’11 settembre saremo ogni giorno in trincea per difenderci da questo nemico invisibile. Ma è una guerra che potremmo anche perdere, nulla ci assicura che l’Occidente possa vincerla, perché il 70 per cento della popolazione del pianeta non accetterà più certe condizioni. L’occidente continua a non accorgersi che qualcuno bussa alla porta e che è ormai troppo tardi per mettere il cartello “non disturbare”. C’è gente affamata che via satellite vede i nostri animali domestici mangiare su piattini d’argento, che si tuffa in mare da disperati gommoni in avaria e che rivendica non il suo diritto di vivere, ma almeno quello di sopravvivere.

Per fortuna nel 2001 c’è anche lo sport: la Ferrari, dopo tanti anni, vince finalmente il titolo mondiale con Schumacher. Col tedesco ne seguiranno tanti, ma tanti altri, Owen vince il Pallone d’Oro e la domenica sera Marco Mazzocchi e Giorgio Tosatti ci raccontano che la Roma vince lo scudetto con Antonioli, Zago, Cafù, Candela, Tommasi, Samuel, Montella, Emerson, Batistuta, Totti, Del Vecchio. (All. Capello)

Ci intossichiamo con l’ovetto Kinder e Quattro salti in padella quando non possiamo cucinare per il tempo sempre più ridotto rimasto a nostra disposizione. Per questo la pasta diventa un piatto unico ed è consigliata dai dietologi, che la celebrano come un pass-partout per tutte le occasioni. Nelle cene con gli amici si ritorna a mangiare in casa, in cui ognuno gareggia sul manicaretto più ricercato o sulla segreta ricetta della torta, donata dalla mamma come un gioiello di famiglia.

Indossiamo abiti scuri con piccoli colletti, camicie grigie, grandi scarpe con punta quadrata. I capelli li portiamo rasati a zero e con pizzetto. Per le donne abbiamo delle scarpe a punta che avrebbero bisogno del porto d’armi per indossarle, jeans a vita bassa con un leggero ritorno alla zampa d’elefante e l’ombelico che fa capolino da magliette troppo corte.

In televisione il tempo diventa la cosa più preziosa. I palinsesti cambiano vorticosamente prostrandosi davanti al dio Auditel; un minuto in più o in meno significa milioni di euro; i tranquilli presentatori (ora conduttori) adesso lottano contro il tempo con stati di ansia da ricovero alla Neuro; interresanti dibattiti vengono interrotti dai gesti dei direttori di sala che premono per il tg, la pubblicità, costringendo il conduttore a chiedere all’ospite “abbiamo trenta secondi, lei cosa vuol dire in conclusione? Vediamo se è bravo!”. Da pazzi!

Per rilassarci però vediamo il Commissario Salvo Montabano, il Grande Fratello, la Tv delle ragazze, L’ottavo nano, Luttazzi, e poi marescialli, ispettori, commissari, squadre di polizia, brigadieri, appuntati, avvocati, medici legali, medici di famiglia, capuccini, frati, preti, papi e sacrestani, venditori di tappeti, gioielli, quadri, elisir di lunga vita ed Elisir di Mirabella, che al solo vederlo sentiamo addosso tutti i sintomi esposti e l’indomani corriamo a farci fare le analisi. Ma soprattutto c’è una novità: il decoder, la parabola e tutti i programmi satellitari a pagamento.

Il Premio Strega va a Domenico Starnone con Via Gemito e il Campiello va a Giuseppe Pontiggia con Nati due volte

Al cinema vediamo Il mio grosso grasso matrimonio greco, Vanilla Sky, L'ultimo bacio, La stanza del figlio, I cento passi, Concorrenza sleale, Malèna, Almost Blue, A beatiful mind, Il signore degli anelli I, Harry potter, Chocolat, Hannibal, Pearl Harbour, The Others, Moulin Rouge.

Viaggiamo con Ford Focus, Bmw 530, Toyota Yaris e Corolla, Alfa Romeo 147, Peugeot 307, Citroen Xsara, Fiat Stilo, Mercedes Classe A e Kompressor, Matiz Daewoo, Chrysler Voyager e centinaia di modelli di monovolume, jeep e fuoristrada come se fossimo sulle strade del Nebraska!

Nella pubbicilità del nuovo millennio sono sempre più presenti i campioni dello sport: al Cepu insegnano a Vieri cos'è l'Adsl, Del Piero beve l’acqua parlando con un uccellino, Buffon se la vede con una donna gigante, Cannavaro rompe i vetri giocando al pallone, ecc. L’uomo, a differenza degli anni Settanta, ribalta il suo ruolo nei confronti della donna. Adesso è completamente ai suoi piedi: lei lo graffia sulla guancia, gli grida “egoista!”, si esibisce in una sfilata maliziosa con tutte le calze che ha a disposizione e lo fa ingelosirore dicendogli di aver incontrato Antonio Banderas in tram. E lui accetta tutto, è sempre più innamorato e lo dimostra facendole romantici scherzetti: dalla porta di ingresso invia un messaggio alla segreteria telefonica di casa e, con un sincronismo pari a quello degli esperti di Cape Kennedy, riesce a farle sentire al momento giusto: "...Ciao, presto sarò a casa …..(E ci credo! La sua efficienza sul lavoro non è cambiata affatto rispetto a qualche anno fa!),….sul tavolo c'e' il vino con le patatine… i fiori sono freschi…. e nel cd c’è la nostra canzone ... e mi raccomando, quando torno a casa non fare il solito gioco che non mi apri!!" e le si para davanti! Ma lei, più stronza che mai, s’incazza perché il lettore del CD è guasto ed esce fuori nel pianerottolo gridando: Basta! Vado col primo che capita!………… Buonaseeera!”.

Altri spot da ricordare sono “parola di Francesco Amadori!”; “A regazzi’! E mo’ sto pallone voo’ buco!”; il frigorifero pieno di Kinder Pinguì che per mangiarli devi umiliarti davanti a tuo fratello perchè sono i suoi; “No Martini, No Party”; l'acqua Rocchetta che fa fare molta "plin plin"; la barca della Q8.. incagliata in una pozzanghera.

Leggiamo La Repubblica, l’Espresso, Capital, Donna moderna, Cosmopolitan, Max, Libero, Italia Oggi, La Gazzetta dello Sport, Televideo, L’isola che non c’era.

Giochiamo con Pokemon, il solitario di Windows, Flight Simulator, Picaciù.

Di moda sono i palmari, i viaggi in Irlanda, in Patagonia e tutto ciò chè è stancante e “off-limits” (basta che si dica di essere stati in un posto sconosciuto da tutti); gli sms, il Rottweiler e il pastore Maremmano, lo zaino della Napapijri, l’alimentazione biologica, il piercing e i tatuaggi, adottare un bambino ucraino, il vintage, la card taroccata di Tele+, il cellullare con l’auricolare che mentre lo usi per strada vieni schivato come un mentecatto che parla da solo, il DVD, l’impianto Home Cinema.

A Sanremo vince Elisa con “Luce (tramonti a nord est)”, il Premio Tenco lo vince Giorgio Gaber con La razza in estinzione, allo Zecchino d’oro vince "Il Singhiozzo" e al Festivalbar vince Vasco Rossi con “Ti prendo e ti porto via”.

Almeno in Italia c’è ancora della buona musica con Vinicio Caposella, Sergio Cammarere, Samuele Bersani, Daniele Silvestri, Gemelli diversi, Luna Pop, Tiziano Ferro, Goran Bregovic e Carmen Consoli.

Attraverso la circolazione mondiale degli mp3, internet permette a tutti l’acquisizione di qualsiasi materiale musicale: dall’ultima spazzatura al remoto capolavoro, abbattendo in questo modo i costi e le distanze della musica. Per i musicisti vuol dire far circolare il proprio materiale velocemente senza tanti passaggi di mano, mentre per chiunque voglia ascoltare musica significa riuscire a possedere, in modo facile e veloce, i materiali più disparati del passato e del presente.

Così accade che il ragazzo della nuova generazione si trova in mano dischi di cui al massimo aveva sentito parlare in termini mitici. Antichi capolavori perduti gli si parano davanti, a volte anche a prezzo invitante o scaricati gratuitamente dalla rete, li ascolta, scopre la verità, se ne fa influenzare e alla fine se ne va ai concerti revival dei Deep Purple insieme al padre.

In queste occasioni c’è qualcuno che dice “che bello, ma ci pensi? C’è il mitico Alvin Lee che mi sta suonando davanti!” e un altro che gli risponde “Sì, ma vedere dal vivo i Ten Years After di trent’anni fa era un’altra cosa, era una conquista, un obiettivo, era essere un eletto, significava litigare con i genitori e scappare con un sacco a pelo su un treno, significava essere presenti quando suonavano i loro pezzi per le prime volte, significava dire ‘io c’ero’”.

Ma quel che rimane dei miti che inventarono il rock lo si vede proprio in questi concerti, in cui suonano i fantasmi di loro stessi, come fece al circo l’ultimo Bufalo Bill. E’ come il riflesso di una stella che vediamo in cielo e che in verità non c’è più da millenni. Non sappiamo se lo fanno per scopi poco nobili o se in loro vaga ancora l’anima dei giorni di Woodstock. Ma a vederli e sentirli suonare scappa comunque la lacrimuccia. E’ inevitabile!

Comunque è strano vedere i ragazzi della classe ’85 ascoltare soltanto “quella” musica rinnegando l’attuale. Questo significa che l’apparato uditivo dell’uomo funziona ancora bene, che almeno da quel punto di vista (anzi di orecchio) i ragazzi non si fanno influenzare dalle mode. Non ci sono altre spiegazioni.

Peccato che quello che hanno scoperto non risorgerà più. Di quel leggendario vento di passioni oggi resta soltanto una leggera brezza. Il grande rock, il vero rock, è definitivamente scomparso. Quello che si fa oggi sono soltanto ripetizioni di quello che fu, comprese tutte le sue sfaccettature. Nell’era in cui vengono pubblicati una miriade di scadenti dischi al mese, non esistono più gli album “guida” come Born to run, Blood On The Tracks, A Night At The Opera, The Dark Side Of The Moon, The wall, Aqualung. Il più è già stato inventato ed è anche per questo che gli anni Sessanta e Settanta sono stati i più ricchi e prolifici. All'epoca – e il contesto socio-politico stimolava - c'era ancora tutto lo spazio per sperimentare e gettare le basi in immense praterie tutte da cavalcare per la prima volta. Oggi non si profila proprio niente di nuovo all’orizzonte, e questo è preoccupante. Chissà come sarà la musica del nuovo millennio?

Mah… ecco cosa si ascolta nel 2001: Can't get you out of my head, Infinito, Xdono, It's raining men, Eternity, Io sono Francesco, Me gustas tu, Luce, Down down down, Lady Marmalade, Baila, E ritorno da te, Love don't cost a thing, Hero, Imitation of life, Little L, www.mipiacitu, Smooth criminal, Not that kind, Dream on, Sono contento, Mama insegnami a bailar, Fino alla fine, Trouble, Scream if you wanna go faster.

Gli album più venduti in Italia sono Esco di rado e parlo ancora meno, Stupido Hotel, Stilelibero, Shake, One Beatles, The best of Pink Floyd, All that you can't leave behind, Festivalbar 2001, No angel, Not that kind, Il cammino dell'età, Medina, La curva dell'angelo, Festivalbar 2001, Love and theft, Iperbole, Born to do it, 1 in + 883, The Marshall mathers, La vasca, Anime salve, Macramè.

Tormentone dell’estate: Tre parole, di Valeria Rossi. Come quelle che disse Francesco sul disco: “Amore-nel-pomeriggio”. Stop. Non disse altro. Fece la sua promozione attraverso il forum del sito Sony, dialogando con i suo ammiratori come un ragazzino e parlando delle sue nuove canzoni solo in quel luogo.

 

 

Il ritorno di De Gregori e i morti di Salò

di Gino Castaldo

Torna dopo qualche anno di silenzio (almeno per quanto riguarda nuovi dischi) a farsi sentire la voce di Francesco De Gregori, e apre il nuovo millennio con una canzone destinata a lasciare un segno forte. Ad ascoltarla fa uno strano effetto, potente e tragico, un appello solo apparentemente indiretto che appare come una rumorosissima, benché delicata, voce nel deserto, una struggente evocazione storica, una visione rarefatta e poetica della storia di Salò, vista dagli occhi malinconici di un cuoco, un innocente, un subalterno, un testimone della storia che ricorda altri personaggi delle sue canzoni, come i macchinisti del Titanic, le donne cannone, le tante vittime della storia.

La canzone, "Il cuoco di Salò", si può ascoltare da ieri nel sito Internet www.sonymusic.it, come annuncio del nuovo atteso album che uscirà nei negozi il 19 di questo mese col titolo di Amore nel pomeriggio. Il pezzo è stato arrangiato con un tocco di grazia, e con leggeri interventi classicheggianti, da Franco Battiato, e ovviamente ne esce un ritratto di un Italia divisa ed estrema, in cui è inevitabile leggere le cose di oggi. Alcune frasi sembrano attraversare il tempo: in un'atmosfera sospesa e vagamente irreale, il cuoco vede belle donne che accorrono e aspettano nude il loro turno, sente colpi lontani, "c'è chi dice che sono banditi, e chi dice americani", vede "quindicenni sbranati dalla primavera". Dunque si può combattere con l'eroismo della passione, ma dalla parte sbagliata, e ogni tanto il testo torna a scandire il senso tragico della politica vissuta sulla propria pelle: "Che qui si fa l'Italia e si muore".

Non c'è alcun senso di schieramento da una parte o dall'altra, e sarebbe veramente pretestuoso voler leggere la canzone come una provocazione legata alle prossime elezioni. Siamo da tutt'altra parte. Se un riferimento c'è alla politica dell'Italia di oggi, è all'asprezza delle divisioni, al richiamo alla semplicità dei bisogni dell'uomo, alla delicatezza della sincerità, dell'innocenza rappresentata dal protagonista, il cuochttps://www.iltitanic.com/premi/01.jpgo che non ha colpa di nulla e che comunque rimane al suo posto, disposto a continuare a svolgere il suo lavoro, ovvero far da mangiare, che siano i ragazzi repubblichini in partenza verso la morte o perfino gli americani in arrivo.

C'è di nuovo un senso di naufragio imminente, cantato da un Ismaele destinato a essere, come in Moby Dick, il probabile unico superstite del disastro, l'unico quindi in grado di raccontarlo.

Finalmente arriva una canzone importante, fortemente controcorrente rispetto al pensiero debole e rinunciatario che attraversa la canzone italiana di questi ultimi tempi, e in questo senso di sapore antico, e soprattutto la sensazione di un De Gregori ritrovato rispetto alla sua miglior vena. La canzone dice molto, senza mai scadere in semplificazioni banali. Viene da pensare che De Gregori questa uscita l'abbia covata a lungo, lui che in diversi tempi e modalità è stato uno de testimoni più puntuali delle trasformazioni del nostro paese, riuscendo a cantarle con imprevedibili e spesso folgoranti intuizione poetica. De Gregori è stato e rimane un cantautore inquieto, uno scomodo cantautore, capace di forti polemiche, di schierarsi apertamente quando occorre, di tuonare contro i festival di Sanremo e altre ipocrisie dell'ambiente musicale.

Col passare degli anni si sta ritagliando un ruolo sempre più appartato, una sorta di Cincinnato che proprio per la sua posizione riesce a vedere con occhi spietati e non inquinati dalla confusione mediatica. Quella che propone oggi è una di queste intuizioni preziose che lasciano in bocca un sapore amaro, ma anche un'aperta elegiaca devozione verso una forma di bellezza poetica che oggi viene schiacciata dal cinismo dei tempi. Giova molto la sua voce, rimasta negli anni tra le poche in Italia a conservare il carisma che può dare alle parole il potere della sincerità, disarmante e ineludibile.

E' solo un annuncio di un disco che uscirà tra qualche giorno, ma se il buongiorno si vede dal mattino, è presumibile che si tratti di un disco di un certo rilievo. Segno che la vecchia generazione della canzone d'autore ha ancora qualcosa da dire.

(da "La Repubblica" del 12 gennaio 2001)

 

 

 

Ma adesso salvatelo dalla rissa politica

di Michele Serra

E' possibile e anzi probabile che "Il cuoco di Salò" venga acciuffata, specie per qualche suo tono o frase, dagli insaziabili artigli della polemica politica. E magari messa a luccicare o a friggere nel grande e scomposto mucchio del SalòPride, sempre più ricco di memorialistica vanitosa e di revisionistica puntigliosa.

Sarà un peccato, perché la canzone sorvola di parecchio il dibattito contingente, proprio come ci si aspetta che l'arte faccia rispetto al contesto che la genera, o perlomeno la nutre. Il rischio dell'artista è sempre solitario, in qualche modo "a latere" rispetto al continuo e astioso dibattimento che rimbalza tra tivù e giornali, e fosse anche solo per questo per la fragilità e il coraggio del punto di vista andrebbe rispettato, e fatto salvo dai fumi tossici della rissa mediatica.

Qui De Gregori, poi, dà il meglio di se stesso (cioè il meglio di un talento grande e raffinato), raccontando con pietà e asciuttezza i colpi, il sangue, la cruenza e perfino l'ingenuità che accompagnarono e seppellirono i protagonisti di una delle stagioni più disperate della nostra storia, vissuta [ab]dalla parte sbagliata[bb].

Invece, vedrete che la domanda che echeggerà in sala, a canzone cantata, sarà [ab]chi è che ti ha mandato?[bb] (citazione degregoriana).

Ma gli artisti, in genere, si mandano da soli.

Il De Gregori cittadino ha avuto tempo e modo di riflettere su quegli anni: un suo zio materno morì nella faida di Porzus, e neppure in quel caso gli è stato risparmiato, con interviste estorte e chiose furbette, l'uso politico di riflessioni private. Accadde in occasione dell'uscita del controverso film su Porzus. Non è escluso che questo "Cuoco di Salò" sia anche, tra le altre cose, lo sbocco che il De Gregori artista ha voluto dare a quelle riflessioni, affidando a una canzone il compito di esprimere ciò che un artista non può e non deve esprimere in un'intervista o in un dibattito.

L'arte è una disciplina privata ma ha, come è ovvio, un destino pubblico. L'augurio, è che il pubblico riesca ad ascoltare "Il cuoco di Salò" senza lasciarsi confondere dalla necessità di incasellarla a destra o a sinistra della storia, come si fosse tutti rinchiusi in un eterno "Porta a porta". (da "La Repubblica" del 12 gennaio 2001)

 

 

Amore nel pomeriggio - Intervista a Guido Guglielminetti

(da "Il Corriere della Sera" del 12 gennaio 2001)

Produttore e arrangiatore di "Amore nel pomeriggio", nonché grande amico di Francesco De Gregori.

Un lavoro lungo un anno: come, quando e dove è nato Amore nel pomeriggio?

Abbiamo incominciato, Francesco ed io, a pensare di realizzare finalmente un disco, perché i tempi pensavamo fossero maturi. Allora ci siamo trovati a casa sua, in Umbria, e abbiamo fatto una riunione...abbiamo pensato a riproporre un Rimmel dei giorni nostri.

Quali sono state le difficoltà nel creare un "vestito sonoro" per una voce e, soprattutto per dei testi che debbono essere sempre in primo piano.

Abbiamo lavorato a "togliere" piuttosto che "ad aggiungere" perché le idee c'è ne sono state tantissime, ed è stato un bellissimo lavoro.

Com'era l'atmosfera nello studio di registrazione?

E' stata quanto di meglio si possa pensare. Abbiamo registrato tutto in diretta, cioè ogni musicista suonava il proprio strumento con Francesco che cantava, come se fosse un concerto in sala di registrazione. Sono stati pochi i ritocchi, abbiamo preferito rifare più volte il pezzo piuttosto che intervenire su ogni singolo strumento, perché questo ci avrebbe portato a raffreddare l'atmosfera delle canzoni.

La canzone "amore di seconda mano" è stata arrangiata dal premio Oscar Nicola Piovani, che esperienza è stata lavorare con lui?

E' stata un'esperienza particolare e piacevole nel tempo stesso, in quanto ho avuto la possibilità di conoscere Nicola Piovani, una persona deliziosa, col quale ci siamo divertiti, abbiamo riso e scherzato molto.

 

 

 

Sono venuto nella tua città un giorno, era caldo e scuro.
Poteva essere mezzogiorno,
ma non ne sono sicuro.
Avevo tempo da perdere,
da guadagnare niente.
Non c'eri tu nell'aria, sensibilmente.
C'erano macchine ferme sulla tangenziale,
e occhi al finestrino che respiravano male.
Avessi almeno potuto scendere e fermarmi a mangiare,
ma i ristoranti erano tutti pieni e non avevo fame.
E sono entrato in un portone e dentro a un grande ascensore
e mi hanno fatto domande sulla mia vita interiore.
ed in qualcuna delle mie risposte c'era il tuo nome,
mentre la tua città prendeva fuoco, sotto al sole.
Così mi son sentito piccolo
 come un chicco di grano,
quando ho guardato la tua foto nel muro ed ero già lontano.
Tu sorridevi a qualcuno, qualche anno prima ed io ho pensato,

sarà meglio lasciare questa città, prima che sia mattina.
Ed ho imparato che l'amore insegna, ma non si fa imparare.
E ho giocato a nascondermi
e a farmi trovare.
Ed ho provato a smettere di bere
e a ricominciare,
e sono stato bene e sono stato male.

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Guido Guglielminetti (basso)

Massimo Buzzi e Alessandro Svampa (batteria)

Toto Torquati (Hammond)

Guido Guglielminetti (tastiere)

Greh Gohen (contrabbasso)

Slep (chitarra elettrica)

Francesco De Gregori (chitarra acustica)

 

 

 

 

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E' appena uscito, nelle migliori librerie, un libro dedicato al cantautore romano dal titolo "Francesco De Gregori - Cercando un altro Egitto" scritto da Mario Bonanno ed edito dalla casa editrice Bastogi. Il libro ripercorre l'intera carriera di De Gregori attraverso tutti i suoi album (da Theorius Campus a Amore nel pomeriggio più tutti i live). Il prezzo del libro è di 20.000 lire.( UN LIBRO E UNO SPECIALE SU FRANCESCO DE GREGORI)  

 

 

De Gregori, canzoni nel silenzio
di Alfredo d'Agnese

Sta nascendo nel più assoluto riserbo, negli studi Hobo Recording di Mimmo Locasciulli a Vicovaro, il nuovo, atteso album di Francesco De Gregori. Annunciato per la fine di ottobre, ancora senza un titolo, il ventiquattresimo disco del cantautore romano è il primo album di inediti da quattro anni.

A differenza di Prendere e lasciare, nato negli studi Fantasy di Berkeley e prodotto da Corrado Rustici, l?album è italianissimo e vede al fianco di De Gregori un gruppo fidato di musicisti guidato dal bassista e chitarrista Guido Guglielminetti.

Lontano dagli "ismi" e dalle superproduzioni, il disco è ancora in fase di realizzazione. A settembre saranno effettuate le ultime registrazioni e i missaggi di quello che è salutato come il ritorno del più autorevole cantautore della sua generazione. Chi ha potuto ascoltare i provini di alcune nuove canzoni parla di un ritorno all?antico, alle atmosfere dei primi album, Francesco De Gregori, Rimmel, Bufalo Bill e De Gregori. A chi gli ha chiesto di cominciare a divulgare qualche dato sul nuovo disco, il cantautore sembra aver risposto, a mo? di gentile rifiuto, che non importa a nessuno.

A quasi cinquant?anni, De Gregori è sempre più schivo e meno interessato al rapporto con i media. Per la pubblicazione dell?album non ha intenzione di concedersi alla routine promozionale: niente conferenze stampa, né una massiccia campagna. Il disco, nelle sue intenzioni, sarà ?lanciato? da un laconico comunicato con titolo, brani e crediti. Probabilmente nei prossimi due mesi chi gli è vicino riuscirà a strappargli qualche altra concessione, ma già nel tour di appena un anno fa De Gregori ha messo in atto il suo distacco dai titoli a nove colonne rifiutando non solo di concedere interviste ma perfino di incontrare giornalisti che lo conoscono da anni.

Chi gli è vicino parla di un musicista molto deluso e sempre più diffidente. Negli anni Novanta ha pubblicato solo due dischi in studio e questo prolungato distacco ha fatto lievitare le attese per quello che si annuncia come il disco italiano dell?inverno.

L?ultimo atto ufficiale di De Gregori è stata la firma sulla lettera inviata assieme ad altri venti colleghi il 13 luglio al presidente del Senato Nicola Mancino e ai presidenti di tutti i gruppi parlamentari perché sia rapidamente approvata la nuova legge anti-pirateria.

(25 agosto 2000)

 

È morto a Roma Giorgio Lo Cascio, il cantautore che nei primi anni '70 con Antonello Venditti, Francesco De Gregori ed Ernesto Bassignano fu il promotore della cosiddetta scuola romana, che si riconosceva nel Folkstudio di Trastevere. Aveva 48 anni. IL MESSAGGERO 26.2.2001)  

 

 

(Guglielminetti - Arianti)

 

Qualcuno ha detto qualcosa, qualcun altro ha detto che non è così.
Qualcuno ha fatto qualcosa
e qualcun altro ha detto che non si fa così.
Qualcuno ha detto che probabilmente è tutto vero,
qualcun altro ha detto che la verità resterà un mistero.
Qualcuno ha detto basta,
qualcun altro ha detto si.
Qualcuno ha confessato
e qualcun altro no.
E qualcuno ha anche pagato,

qualcun altro ha detto che ha detto che non ci sto.
Qualcuno ha detto che
la vita è solo un pozzo nero,
qualcun altro ha detto credo
e qualcun altro ha detto spero.
Qualcuno ha detto quando,
qualcun altro ha detto qui.
Sarà il destino a farci camminare
lungo questa mezzeria.
Sarà il futuro che immaginiamo di possedere,
che ci farà scappare via.
La nave è tornata vuota,
come non fosse partita mai,
con questo sale che brucia tutto,
con questo sole che non rispetta noi marinai.
Lentamente qualsiasi barca
prima o poi ritorna a riva,
ma mica sempre trasporta un carico
con qualcosa nella stiva.
Qualcuno ha capito tutto,
che qualcun altro era già arrivato là,
però qualcuno non ha capito
e qualcun altro non si sa.
Sarà il destino a farci correre e sudare
lungo questa mezzeria.
Sarà il futuro che ci sorpassa,
che ci farà scappare via.

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Guido Guglielminetti (basso)

Massimo Buzzi e Alessandro Svampa (batteria)

Dario Arianti (chitarre)

 

Il Salotto Televisivo illumina la banalità, la fa risplendere nel buio: nobilita il vuoto e lo rende accessibile. Per chi lo segue da casa il Salotto Televisivo altera le percezioni e lenisce la sofferenza del vivere, come fanno certe droghe. Nel Salotto Televisivo altri, al tuo posto, evocano problemi e sentimenti e li frantumano nella chiacchiera, nell'alterco, nelle lacrime, nella barzelletta sconcia, nello scongiuro scrotale. Quando e qui: le unità di tempo e di luogo scolano una sull'altra, prolificano, si moltiplicano: ridondano. Quanto all'azione, essa è sempre lasciata in balia della pubblicità. Cuochi pensano, attori scrivono, scrittori parlano. Si guardano, certe cose, perché l'Orrido attrae. Oppure si notano cravatte, bellissime gambe femminili. A volte la regia ci fa vedere a lungo una scarpa. "Ah, i salotti di una volta! Almeno ti offrivano i pasticcini!" "E com'erano?" "In che senso?" "Com'erano i pasticcini?" "Quando?" "Qui!" (Gli argomenti possono essere Ustica, la pedofilia, il Festival di Sanremo, la Madonnina di Civitavecchia, l'UNICEF, la sordità, la deriva dei continenti, l'incontinenza, l'ultimo libro di Bevilacqua, la sclerosi a placche, il Capodanno, l'alitosi, il futuro…)

FdG

 

 

 

 

Se il Principe storpia i suoi vecchi successi fa bene Così tutti i grandi sopravvivono a se stessi. Caro direttore, leggo sulla rubrica Spompati (il Riformista, martedì 5 agosto): «Dal vivo Francesco De Gregori sta diventando un po' irritante. C'è in lui, molto più che in Bob Dylan, una volontà autolesionista di rovinare i propri capolavori, deturpandoli con arrangiamenti assurdi e un cantato sfalsato, nel tentativo di mandare fuori giri i cori del pubblico». Essendo «disturbante la sua versione di I treni a vapore e inascoltabile Generale» (perlomeno nel tour con Ron, Mannoia, Daniele, ndr), «sarebbe bello se Francesco De Gregori capisse che rinnovarsi non significa sputare in faccia al proprio passato». Ogni giudizio è lecito, ci mancherebbe, specie in fatto di canzonette. Anzi, sono sicuro che la bacchettata del Riformista raccolga e interpreti lo stato d'animo di molti fan: ventenni e cinquantenni, di sinistra e di destra, nostalgici e non, irrequieti e acquietati. Una mia giovane amica, degregoriana fino al midollo, protestò un giorno: «Canti pure le nuove canzoni. Ma se in concerto non mi fa Generale, La donna cannone, Buonanotte fiorellino e Pablo, io mi arrabbio. E di brutto». Stando così le cose, verrebbe da pensare che il «Principe», come devotamente lo chiamano alcuni critici musicali, sia davvero vittima di una botta di autolesionismo. Al contrario, io penso faccia bene a reinventare i suoi hit: ritoccando il ritmo, talvolta la linea melodica, stiracchiando il canto, destrutturando l'arrangiamento originario, trasformandole in qualcosa di diverso, forse di peggiore. Lo fa anche Dylan, ripetono gli esperti. E certo De Gregori deve parecchio al cantautore americano, il quale, a sorpresa, ha ripagato amichevolmente la dedizione pubblicando nel suo nuovo cd la versione italiana di If you see her, say hello che compariva nel doppio La valigia dell'attore. In effetti, quando suona per il mondo, Dylan gode a strapazzare i brani più famosi, stravolgendoli alla radice, fino a renderli irriconoscibili, per poi recuperare in extremis il ritornello salvifico: si tratti di Like a rolling stone o di Just like a woman, di Highway 61 revisited o di Maggie's farm. Ma non è il solo. Il discorso vale anche per John Fogerty, Van Morrison, Neil Young, David Crosby, Elton John, Paul McCartney, il nostro Edoardo Bennato… Tutti ultracinquatenni. Con l'età cambia la voce, l'estensione diminuisce, certi arrangiamenti risultano orpellosi, non più intonati al mood della canzone. Che non è una partitura classica, un canone immutabile nel tempo, o soggetto, al massimo, alla sensibilità dei direttori d'orchestra. Per questo, pur comprendendo le perplessità del pubblico pagante, mi schiero dalla parte di De Gregori. Così facendo, egli non sputa affatto «in faccia al proprio passato». Al contrario, si misura dialetticamente con quel passato, intrecciandolo con le cose più recenti, siano esse Battere e levare o Il cuoco di Salò. Del resto, come si fa a replicare a vita le stesse dieci canzoni senza rompersi le balle? Ogni generazione, si sa, custodisce un proprio ricordo infrangibile di un'emozione canzonettistica. De Gregori, più di altri, ma poco concedendo al ricatto della memoria, incarna un modello autorevole e carismatico di compositore. Da Nanni Moretti della canzone d'autore. Ai concerti, ragionevolmente, il pubblico chiede, anzi esige, Alice, Buonanotte fiorellino, La leva calcistica della classe '68, La donna cannone, Rimmel, Niente da capire eccetera: per cantarci sopra in coro, per condividere un sentimento, per rivivere un momento, per sentirsi insieme sotto un cielo di stelle. Ma poniamo il caso che quelle canzoni, pur belle e universali, non corrispondano più per intero al mondo interiore di chi le scrisse cinque-sei lustri prima. Che senso avrebbe eseguirle come se il tempo non fosse passato, pantografandole asetticamente, per restituirle pari pari alla platea adorante? Qualche mese fa, durante la guerra in Iraq, a un «reading per la pace» promosso dalla Fandango due attrici recitarono Generale come fosse una poesia di Montale, con pause e accentuazioni. «Generale dietro la collina / ci sta la notte crucca e assassina» scandirono solennemente sopra qualche nota di violino. Mi piace pensare che anche per questo - per non ridursi a classico della più bolsa retorica pacifista - De Gregori stropicci così bene i suoi testi, dilatando le parole e contraendo le rime. (www.ilriformista.it)

 

 

 

Con tua moglie che lavava i piatti in cucina e non capiva,
con tua figlia che provava il suo vestito nuovo e sorrideva.
Con la radio che ronzava, per il mondo cose strane,
e il respiro del tuo cane che dormiva.
Coi tuoi santi sempre pronti a benedire i tuoi sforzi per il pane,
ed il tuo bambino biondo
a cui hai donato una pistola per Natale.
Con il letto in cui tua moglie,
non ti ha mai saputo amare
e gli occhiali che tra un po', dovrai cambiare.
Com'è che non riesci più a volare...
Con le tue finestre aperte sulla strada
e gli occhi chiusi sulla gente,
con la tua tranquillità, lucidità,
soddisfazione permanente.
La tua coda di ricambio,
le tue vergini in affitto
e le rondini di guardia, sotto al tuo tetto.
Con il tuo francescanesimo a puntate
e la tua dolce consistenza,
le tue onde regolate in una stanza.
Col permesso di trasmettere
e il divieto di parlare,
e ogni giorno, un altro giorno da scontare.
Com'è che non riesci più a volare...
Con i tuoi entusiasmi lenti precisati da ricordi stagionali,
e una bella addormentata
che si sveglia a tutto quel che le regali.
Con il tuo collezionismo
di parole complicate
la tua ultima canzone per l'estate.
Con le tue mani di carta
per avvolgere altre mani normali,
con lo scemo in giardino
ad isolare le tue rose migliori.
Col tuo freddo di campagna
e il divieto di sudare
e più niente per poterti vergognare.

Com'è che non riesci più a volare, com'è che non riesci più a volare,
com'è che non riesci più a volare....

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Guido Guglielminetti (basso)

Massimo Buzzi e Alessandro Svampa (batteria)

Paolo Giovenchi (chitarre)

Carlo Gaudiello (tastiere)

Francesco De Gregori (chitarra acustica)

 

 

 

Abbiamo scritto questa canzone, Fabrizio ed io, nel '74 o forse addirittura nel '73. Lui stava preparando il disco che poi si sarebbe chiamato Volume VIII e mi aveva proposto di lavorare insieme dopo avermi conosciuto in un locale di Roma, il Folkstudio. Passammo quasi un mese da soli nella sua bellissima casa in Gallura, davanti ad una spiaggia meravigliosa dove peraltro credo che non mettemmo mai piede: in quel periodo avevamo tutti e due delle storie sentimentali assai burrascose ed era più o meno inverno. Fabrizio beveva e fumava tantissimo e io gli stavo dietro con un certo successo. Giocavamo a scacchi, a poker in due: ogni tanto prendevo il suo motorino e me ne andavo in giro per chilometri. Al mio ritorno spesso lo trovavo appena alzato che girava per casa con la sigaretta e il bicchiere e la chitarra in mano e che aveva buttato giù degli appunti, degli accordi. Era uno strano modo di lavorare il nostro: non ci siamo mai messi seduti a dire "Adesso scriviamo questa canzone". Semplicemente integravamo e correggevamo l'uno gli appunti dell'altro, certe volte senza nemmeno parlarne, senza nemmeno incontrarci magari, perché lui dormiva di giorno e lavorava di notte e io viceversa. Le musiche ci venivano abbastanza facilmente - Fabrizio era un eccezionale musicista - e le registravamo su un piccolo registratore a pile. Così vennero fuori "La cattiva strada", "Canzone per l'estate", "Oceano"… Lui aveva scritto da solo "Amico fragile" e poi aveva voluto inserire nel suo disco "Le storie di ieri" che la RCA (la mia casa discografica di allora) si era rifiutata di farmi incidere sulla "Pecora". E' difficile pensare a Fabrizio come uno che non c'è più: quando se n'è andato non ci vedevamo da parecchio tempo. Credo di averlo sentito al telefono circa un anno prima che morisse ed aveva la sua solita bella voce, l'intelligenza correva sul filo… Fabrizio era un uomo generoso e bellicoso, facile da amare e difficilissimo da andarci d'accordo. Uno dei ricordi più belli che conservo di lui è quando andammo all'Idroscalo di Milano sulle montagne russe del Luna Park, insieme a Dori: scendemmo felici e ubriachi con lo stomaco in bocca e andammo a finire la serata chissà dove. Ho messo la nostra canzone in questo disco non per fargli un omaggio (Non ne ha bisogno e non so se gli piacerebbe). E' solo una buona canzone che oggi, dopo tutti questi anni, sento un po' più mia.

 

 

 

 

Ho fatto il pieno e cammino di notte

come uno scemo,
e mi prendo gli schiaffi e le botte

del freddo e del vino.
E premo l'acceleratore

quando incrocio le luci blu.
Ho fato il pieno, ho perso il treno,

di quei treni che non passano più.
C'è un cartello alla porta dice non disturbare
sarà che non mi ami o che non mi vuoi amare.
C'è un cartello alla porta dice forse domani
ma domani, domani chissà,
ma domani, domani chissà.
Ho fatto il pieno e mi viene da ridere

come a un bambino
e confondo le stelle e il soffitto

la notte ed i sogni e il cuscino.
Ed è tardi per chiedersi adesso,

chi ha vinto e chi ha perso, chi ha giocato di più.
Ho perso il treno, ho fatto il pieno,

di quei pieni che non passano più.
C'è un cartello alla porta dice non disturbare,
sarà che non mi ami o che non mi vuoi amare.
C'è un cartello alla porta dice forse domani,
ma domani, domani chissà.

 

 

 

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Guido Guglielminetti (basso) Massimo Buzzi e Alessandro Svampa (batteria)

Paolo Giovenchi (chitarre) Marco Rosini (mandolino) Lalla Francia (cori)

Carlo Gaudiello (tastiere) Stefano Tavernese (violino)

 

De Gregori compie 50 anni, riconoscimenti dagli studiosi Per i suoi 50 anni, Francesco De Gregori raccoglie non soltanto l'acclamazione dei fans e il tributo di critici e colleghi, ma anche il convinto apprezzamento di studiosi e cattedratici non del settore. Questi giudizi vanno ben oltre il valore artistico del cantautore, riconoscendo nelle sue canzoni un costante impegno etico e civile. Per Giulio Ferroni, professore di Letteratura Italiana all'Università la Sapienza di Roma, "De Gregori è una presenza importante nel panorama culturale italiano, perché come cantautore ha dato un'aurea poetica alle contraddizioni dell'Italia, dagli anni 60/70 in poi, con uno sguardo dolce ma anche aggressivo, sempre animato da spirito critico. Le sue canzoni sono una sorta di geografia della passione della sinistra, fatta di impegno e attenzione alle realtà più emarginate: la vita degli emigranti, degli attori di strada, di proletari, della gente che lavora nel circo". Un giudizio condiviso dall'etnologo Luigi Lombardi Satriani, per il quale De Gregori è il "poeta degli "umiliati e offesi", dei "miserabili", perché ha sempre posto attenzione alla molteplicità delle esperienze umane, riscattando figure emarginate dalla società, delle quali ci fornisce dei fedeli e felicissimi paradigmi". "Oggi però - precisa il professor Satriani - si ha come paura a trattare, in forma artistica o come studioso, queste condizioni di privazione o comunque di disagio ed emarginazione, perché si teme l'accusa di populismo o peggio ancora di paternalismo. Ma questa vocazione è un'istanza etico-politica irrinunciabile per una società che non sia votata solo alla produttività e al consumismo, ma diventi consapevole della molteplicità delle sue condizioni". "De Gregori - continua Satriani - riesce a non tradire il suo impegno etico-civile senza cadere nella trappola del cinismo, del fatalismo, coniugandolo anzi a una partecipazione sentimentale che non è mai retorica nè melensa, ma sempre critica. La sua è una poesia di struggente dolcezza e dolente umanità". Per Giovanni Sabbatucci infine, professore di Storia Contemporanea, "Le canzoni di De Gregori sono la biografia di una certa generazione di sinistra, la stessa che si riconosceva e si riconosce nel cinema di Nanni Moretti. Per uno storico di oggi ma soprattutto del futuro, musica e cinema sono i punti di riferimento più adatti per comprendere un periodo relativamente recente, per sondarne gli umori, le aspettative, i riferimenti culturali. E il valore storico-sociale dell'attività di De Gregori sta proprio nell'essere stato un riferimento costante di questa generazione, la sua colonna sonora". "Nell'età contemporanea - conclude Sabbatucci - dove la poesia non viene letta e la letteratura ha comunque un ruolo marginale, il valore storico di cantautori come De Gregori è proprio quello che prima ricoprivano poeti come Rilke: quello cioè di essere autori e testimoni del proprio tempo".

 

 

 

 

Da qualche parte dicono che vive bene,

che relativamente non gli manca niente.
Può bere, camminare, scrivere e respirare, fantasma senza catene.
Da qualche parte dicono è sempre uguale, anche se non si somiglia più.
La mattina di Pasqua con le mani in tasca e una corona di spine.
Da qualche parte al mondo suonano le sirene,

milioni di uomini cominciano a remare.
Si confondono il turno della notte e del giorno

si confondono gli agnelli con le jene.
Da qualche parte al mondo dicono, va bene con una colomba morta tra le mani.
Fuori dall'orizzonte con il muro di fronte, risultato senza soluzione.
Condannato a morte, condannato a vita.

Condannato a morte per la vita.
Condannato a morte, condannato a vita.

Condannato a morte per la vita.
Che silenzio che c'è qui intorno, che paura che c'è qui intorno.
Religione può essere un sentimento, religione può essere una fuga d'amore.
Religione può essere intrattenimento, religione può essere terrore.
Da qualche parte dicono che vive bene, anche se gli fa paura ogni rumore.
Una foglia che cade, una faccia che vede,

una notte che ha sentito abbaiare il suo cane.
Da qualche parte al mondo suonano le campane,
milioni di uomini cominciano a pregare.
Ognuno dal suo punto cardinale, nella corrente dello stesso fiume.
Da qualche parte dicono va bene, seduto nella pioggia sopra una panchina.
Fin quando non avrà il suo posto al sole, tutto quanto questo mondo sarà, prigione.

Condannato a morte, condannato a vita.

Condannato a morte per la vita.
Condannato a morte, condannato a vita.

Condannato a morte per la vita.

 

 

 

 

 

parliamo per esempio di quando realizzo un disco: arrivo in studio con una canzone, che ho scritto sulla chitarra o sul pianoforte, ma in realtà non so nemmeno quanto valga, quanto possa essere comunicativa. La prima verifica la faccio proprio con i musicisti, perchè non faccio mai sentire le mie canzoni a nessuno prima di andare in sala. Quindi prima dell'aspetto tecnico, professionale, prima di capire come devono suonare Vincenzo o Lucio, si tratta di vedere se questa canzone che ho scritto, se questa cosa che ho in testa è comunicabile. Se lo è, loè comunque tramite loro. Proprio il rapporto con i musicisti, per il tipo di lavoro che faccio, è fondamentale. A meno che domani non volessi decidere di fare un disco da solo, con la chitarra e l'armonica; e potrei anche fare un disco così, come ha fatto Springsteen in Nebraska, un disco bellissimo in cui non esistono mediazioni. Però i musicisti per me sono la mediazione con il pubblico. https://www.iltitanic.com/premi/01.jpgOrmai nel momento in cui scrivo le canzoni io già so - non so come, ma già so - che comunque ci andrà la chitarra, che la suonerà Mancuso, la suonerà Bardi; già so che le tastiere le suonerà Martellieri e così via. Diciamo quindi che i musicisti sono un prolungamento importante del mio lavoro. Il rapporto che ho con lor, con qualsiasi musicista che suoni con me - anche uno che suona con me la prima volta e che magari non ci suonerà più, perchè non ci capiamo - è comunque un rapporto creativo. Chiedo creatività ai musicisti, non gli do mai delle parti scritte; cerco sempre di dire: "prova a fare questo e vediamo se funziona...tu che faresti qua? Tu che conosci lo strumento, come lo suoneresti, come suoneresti la chitarra in questo punto?". Perchè io non sono un chitarrista: sono una specie di contaminatore, sono uno che prova a mettere insieme delle cose. Sì, ho nelle orecchie molta musica, però non ho una professionalità da musicista: io non ho studiato musica, loro invece sì. Non voglio dire che chiedo aiuto a loro, comunque non è un rapporto da datore di lavoro a orchestrale - come dicevi tu prima - o a turnista. Io arrivo con del materiale, loro diventano coautori della canzone: sì, alla fine la canzone la scrivo io, parole e musica, però quello che esce sul disco in realtà è stato scritto da tutti. Questo vale per qualsiasi disco io abbia fatto e con qualsiasi musicista io abbia lavorato, dai più bravia ai meno bravi: a tutti ho chiesto questo tipo di aiuto, perchè sono uno che le canzoni se le scrive in camera sua, della musica ho un'idea così... Non voglio dire che sono un orecchiante - non mi considero un orecchiante, mi considero un musicista a tutti gli effetti - però sono musicista grazie a loro, perchè loro interagiscono con me."

FdG

 

 


https://www.iltitanic.com/2023/deriva.jpg

 

Guido Guglielminetti (basso) Massimo Buzzi e Alessandro Svampa (batteria)

Paolo Giovenchi (chitarre) Carlo Gaudiello (tastiere)

 

 

  

De Gregori vende l'olio via internet

PERUGIA, 2 APRILE - Dopo il successo in campo musicale, per Francesco De Gregori arriva anche quello in campo agricolo-commerciale grazie ad Internet. L'azienda umbra del cantautore - La Palomba di Spello - ha infatti venduto on line il suo olio biologico in Giappone durante il sesto 'Sol', il Salone dell' olio d' oliva vergine ed extravergine, di Verona. La partita più cospicua - si legge in un comunicato del 'Sol' - è stata acquistata dal Giappone e più precisamente da un "navigatore gourmet" di Tokyo.

Ad Andria una tre giorni con le migliori produzioni mondiali, organizzata dalla CiBi pugliese. L'olio biologico italiano si conferma leader al V Premio Biol-Città di Andria, unico concorso al mondo per gli extravergini ecocompatibili

Vince l'azienda Titone di Marsala. Riconoscimenti alle aziende pugliesi. Quinto posto per l'olio del cantautore Francesco De Gregori. Primi tra gli stranieri, Argentina e California. Istituito il primo Osservatorio internazionale specializzato.

ANDRIA - L'olio biologico italiano si conferma leader a livello mondiale, aggiudicandosi i principali riconoscimenti della quinta edizione del Premio Biol-Città di Andria, unico concorso internazionale riservato ai migliori extravergini ecocompatibili - quest'anno un centinaio in gara - prodotti nei vari continenti.

Il premio principale, appunto il Biol, è andato infatti all'azienda Titone di Marsala, che ha bissato la vittoria dell'anno scorso. A seguire, altri produttori italiani, tra cui - al quinto posto - anche il cantautore Francesco De Gregori, che ha partecipato con l'olio "Le Palombe" prodotto nella sua piccola azienda di Sant'Angelo di Spello, nel Perugino. Distaccati di qualche posizione, i primi stranieri: l'azienda californiana "Lunigiana" e l'argentina "Paso Vejo"; menzione speciale anche all'extravergine croato "Art".

Nelle altre categorie, il Biolpack {miglior packaging ed etichettatura), è andato ex aequo al "San Giuliano" dell'azienda Manca di Alghero e al "Puer Apuliae" della Moc - Oliveti d'Italia di Andria, mentre il Biolblended (al miglior olio imbottigliato e commercializzato con marchi non del produttore), è stato assegnato al "Clemente", dell'omonima azienda di Manfredonia. Infine, l'azienda molfettese Minervini col suo "Marcinase" ha vinto il Biol-Puglia, sezione istituita quest'anno e riservata ai migliori produttori pugliesi qualificatisi per la fase finale.

  

 

https://www.iltitanic.com/2021/74.jpg

 

 

 


Alla sera vedo donne bellissime da Venezia arrivare fin qua.

E salire le scale e frusciare come mazzi di rose.

Il profumo rimane nell'aria quando la porta si chiude

ed allora le immagino nude aspettare.
Sono attrici scappate da Roma o cantanti non ancora famose.

Che si fermano per una notte o per una stagione.

Al mattino non hanno pudore quando scendono per colazione,

puoi sentirle cantare.
Se quest'acqua di lago fosse acqua di mare,

quanti pesci potrei cucinare stasera.

Anche un cuoco può essere utile in una bufera,

anche in mezzo a un naufragio si deve mangiare.
Che qui si fa l'Italia e si muore. dalla parte sbagliata.

In una grande giornata si muore, in una bella giornata di sole,

dalla parte sbagliata si muore.
E alla sera da dietro a quei monti si sentono colpi non troppo lontani.

C'è chi dice che sono banditi e chi dice americani.
Io mi chiedo che faccia faranno a trovarmi in cucina

e se vorranno qualcosa per cena.
Se quest'acqua di lago potesse ascoltare quante storie potrei raccontare stasera.

Quindicenni sbranati dalla primavera, scarpe rotte, che pure li tocca di andare.
Che qui si fa l'Italia e si muore, dalla parte sbagliata.

In una grande giornata si muore, in una bella giornata di sole.

Dalla parte sbagliata si muore in una grande giornata si muore,

dalla parte sbagliata, in una bella giornata di sole, qui si fa l'Italia e si muore

Michele Fedrigotti (pianoforte, tastiere e direzione dell'orchestra G. Verdi di Milano) Ben Fenner (registrazione e missaggio)

 

 

Non si prende la parte della Sinistra o della Repubblica di Salò. Non era mia intenzione, attraverso questa canzone, ribadire - se ce ne fosse bisogno - che io sono un uomo di sinistra e che quindi ho, diciamo, un'idea chiara su quello che è il giudizio storico, politico, morale sul fascismo e sulla Repubblica di Salò. Non è questa l'intenzione, perchè non è una canzone politica. Sottolineare che coloro che aderirono a Salò morirono dalla parte sbagliata, viene da sé.

Tra l'altro il verso "dalla parte sbagliata si muore", non voleva essere una mia notazione dall'alto, in cui io che scrivo la canzone punto l'indice e dico: attenzione ascoltatori, questi stavano dalla parte sbagliata! Sono loro stessi, che in questo canto dicono di stare dalla parte sbagliata

Credo che questo fosse un sentimento abbastanza diffuso, forse in maniera più o meno conscia, fra coloro che avevano scelto di militare nella Repubblica sociale. Sicuramente sapevano di andare incontro a una sconfitta storica, non solo ad una sconfitta militare. L'unico punto della canzone che secondo me, per come l'ho scritto, può essere non revisionista, perché arriverebbe molto in ritardo rispetto all'analisi storiografica sul periodo, ma sul quale possiamo discutere è il verso "qui si fa l'Italia e si muore", citazione, appunto, di Garibaldi, e come dire, questi facevano l'Italia? Ecco, ora però il discorso sulla guerra civile o guerra di liberazione è sempre stato visto male dalla sinistra fino a una decina d'anni fa. Poi c'è stato il libro molto importante, che sicuramente alcuni di voi avranno letto, di Claudio Pavone, dove si dice una volta per tutte, e credo che questo oggi nessuno lo possa contestare, che comunque anche quelli che combattevano dalla parte dei fascisti, anche i repubblichini, anche quelli alleati con i Tedeschi, erano comunque italiani. Quindi probabilmente avevano delle motivazioni forti, patriottiche, per compiere quella scelta. Questo chiaramente non vuol dire giustificarli. Non è la canzone la sede per giustificare. Voglio dire, se io faccio una canzone su Giovanna d'Arco, non devo parlare della guerra dei cent'anni, se Manzoni scrive i Promessi Sposi, non deve spendere più di poche righe, fra l'altro anche le più noiose, per descrivere la guerra di successione al Ducato di Mantova e la dominazione spagnola. No, la canzone vive di altre cose, insomma.

La canzone poi parla di quindicenni. Noi dobbiamo distinguere, perché nella Repubblica di Salò, voi lo sapete meglio di me, ci andarono sia i primi, i vecchi fascisti, quelli che avevano fatto la marcia su Roma e che poi dopo si erano sentiti traditi, diciamo, dall'andamento borghese del regime fascista durante il ventennio... Quindi, sia questi vecchi caporioni, sia i quindicenni. Ora, chi aveva 15 anni nel 45? Quelli che erano nati nel 1930. E che cosa avevano visto queste persone cresciute negli anni Trenta? Che scuola avevano frequentato? Che Chiesa avevano avuto? Che padri e madri avevano avuto? Quando il loro compagno di scuola ebreo venne cacciato..., nessuno aveva fiatato. Il re era fascista, il Papa insomma..., più di tanto non è che... Sì, forse un po' di presa di distanza... Quindi, è chiaro che quando si parla di quindicenni andati lì...

FdG

 

DAL NOSTRO INVIATO - PRATO - Ed è subito "Rimmel". Il classico di 26 anni fa arriva come secondo brano nel concerto con cui Francesco De Gregori ha aperto ieri sera il nuovo tour, la chitarra acustica, l'armonica e nient'altro, la band per qualche minuto ancora, il tempo di cantare "Generale", dietro le quinte. Sul palco un divano bianco, un tavolinetto e un lume. Dopo quattro anni di assenza, a un primo sguardo appare come un ribelle tranquillo. Non sembra il profeta che indica la via, ciò che gli altri non vedono; le sue ballate non sono sfigurate in una smorfia ideologica. Anche un pezzo tanto chiacchierato come "Il cuoco di Salò" si sottrae ai disordini della passione politica e cammina leggero tra gli spettatori, e il verso che dice che "dalla parte sbagliata si muore" scorre asciutto, svuotato da letture strumentali e furori preelettorali. Per il pubblico di Prato, quella sera lontana in cui il disastro si avvicina, è solo una struggente ballata rarefatta, come le altre che hanno trovato accoglienza in "Amore nel pomeriggio", il disco in cui De Gregori, alla soglia dei 50 anni, viaggia felice sull'ispirazione ritrovata di suoni quasi "arcaici" e poco alla moda, e sembra voler ignorare la realtà più diretta, trincerato dietro il suo ombroso orgoglio aristocratico (e ieri non ha detto niente altro che grazie).
 Il concerto si snoda ed emerge un malessere acquattato nella penombra degli accordi, un malessere nuovo, strano, poco visibile, si avverte l'insoddisfazione che porta alla nostalgia della perfezione, cioè alla bellezza. È un De Gregori senza inganni nostalgici e senza il miele autocelebrativo, che si sottrae al vincolo delle etichette, maturo, disincantato, e forse non aveva mai cantato con tanto dolore eppure con tanta felicità. Con i sette compagni di viaggio della band, il cantautore romano va nel passato in "La casa di Ilde", un brano degli inizi, quasi trent'anni fa, che pochi ricordano, che viene dato come inatteso bis e poi si rituffa nelle atmosfere sospese di oggi dietro cui si annidano miserie e naufragi che non si offrono al primo sguardo.
C'è un anelito a ritrovare l'innocenza perduta, via dalla bagarre stolta che offre la politica. E dipanando il gomitolo delle emozioni il desiderio sembra perdere le ali, ed ecco il ritornello insistito di "Canzone per l'estate", il brano ancora attualissimo che Francesco nel '74 scrisse a quattro mani assieme a Fabrizio De André, in cui la sua donna non riesce più a volare.
Tutto è ammantato da un sottofondo di malinconia amara; che non è resa. De Gregori nel suo nomadismo intellettuale continua a battersi per le idee e non per gli uomini, che possono tradire, anche se stavolta non c'è l'Italia derubata e colpita al cuore, l'Italia che non muore.
De Gregori ripercorre con quei suoi modi sempre più dylaniani, la voce sgranata, alcune tra le più belle pagine della canzone italiana, filastrocche che si appoggiano a tastiere e mandolini (anche una "Buonanotte Fiorellino" stavolta in versione messicana"), rime dissacranti dal sapore country, e le antiche dolcezze di "Rimmel", con "quella foto in cui tu sorridevi e non guardavi". Canzoni innocenti e feroci, il mondo poco consolatorio di un artista integro ma non moralista, indignato ma non militante, un menestrello che nonostante tutto non ha perduto la capacità d'indignarsi: e Pablo è ancora vivo. È la bell'Italia di De Gregori quella che si è affacciata al Politeama di Prato, e che arriverà il 30 e il 31 marzo al Nazionale di Milano, e l'11 aprile all'Auditorio romano di Santa Cecilia.

 

 

 

L'AGGETTIVO MITICO

 


La musica etnica, la contaminazione, l'ultimo rifugio dei vigliacchi, la comunicazione.
Le notti insonni dei creatori di moda,
l'alba difficile dei gioiellieri e dei creditori.
E i venditori di parrucche per corrispondenza, gli uomini di scienza e i manipolatori.
La sanguinaria guerra dei predatori
e la serena guerra dei aviatori.
E gli uomini col machete sul fuoristrada, gli uomini a piedi nudi lungo la strada.
La fuga degli animali,
l'inondazione e la foresta che diventa fumo.
Le stelle pakistane che esplodono sulla frontiera
e tutto che ritorna uno.
E le radio delle ragazzine dove scoppia il silenzio ed ogni dedica si confonde.
Nell'aria che non ha confine,
nell'aggettivo mitico e nelle sue onde.
E gli uomini col machete sui fuoristrada, gli uomini a piedi nudi lungo la strada. 
Guarda come vanno veloci le navi,
come vanno lontano.
Come salutano i passeggeri,
fanno ciao con la mano. 

E ballano al suono del diavolo e del suo violino,
e cantano canzoni d'amore sul mare, color del vino.
Oggi non c'è più freddo, non c'è più fame, oggi tutto sembra sotto controllo.
Oggi si versa il vino, si spezza il pane, due mila volte che canta il gallo.
Socrate grida domande per strada
e il Beato Angelico dipinge muri di periferia.
La risposta confusa nel vento
a tradimento li prende alle spalle e li spazza via.
Insieme agli uomini col machete sul fuoristrada, 

gli uomini a piedi nudi lungo la strada.
Guarda come vanno veloci le navi,
come vanno lontano.
Come salutano i passeggeri, fanno ciao con la mano.
E brindano al suono del diavolo e del suo violino,
e buttano benzina sul fuoco del mare, color del vino.
Ascolta il nemico ti ascolta, da dietro la porta, 

gli specchi cominciano a sanguinare, cari e care.
Il giorno è finito, si spengono le vetrine, ma i prezzi continuano a scintillare.
Batte sotto le stelle un nero biondo con le labbra d'acciaio, il suo nome è Cassandra.
Uomini dentro a una stanza si chiudono a chiave,

in silenzio respirano al suono di Radio Londra.
Uomini nella polvere di una cometa, uomini nella rete senza una meta..... (3 vlt.)


Guido Guglielminetti (basso) Massimo Buzzi e Alessandro Svampa (batteria) Paolo Giovenchi (chitarre) Carlo Gaudiello (tastiere) Lalla Francia (cori)

 

 

 

DE GREGORI Un ragazzo di cinquant'anni 

Raffaella Silipo - Martedì 27 Marzo 2001
"Ma non lo vedi come passa il tempo? Come ci fa cambiare? E noi che siamo come cani senza padroni... abbiamo avuto tempo sufficiente per imparare". Francesco De Gregori compie cinquant'anni e il tempo non lo ha cambiato poi tanto, se si tralascia qualche ruga o qualche filo grigio tra i capelli, come tanti vecchi ragazzi suoi coetanei: parte (stasera da Prato) con il tour dell'ultimo album "Amore nel pomeriggio", poi sarà venerdì e sabato a Milano, e a Torino il 3 e il 4 aprile. Il compleanno, proprio il 4 aprile, lo festeggerà dunque a Torino, al Colosseo, davanti ai fan di ieri e di oggi. E lo stile è lo stesso degli esordi, più di trent'anni fa, con "Theorius Campus" a quattro mani con l'amico, poi nemico, poi nuovamente amico Antonello Venditti. Uno stile aristocratico, ombroso, per niente facile, quello di De Gregori, non a caso soprannominato "il Principe". Eppure gli italiani - e non solo i suoi coetanei - gli devono uno straordinario patrimonio collettivo di immagini, suggestioni, ricordi. Canzoni che hanno accompagnato il percorso della prima generazione della storia ad aver conosciuto drammi e beatitudini dell'adolescenza prolungata, la prima a non rassegnarsi alla mezz'età. E non è proprio un caso, allora, se questo tour coincide con una campagna elettorale che vede, su fronti contrapposti, tanti esponenti di quella stessa generazione, oggi più o meno al potere. Lui non ha mai nascosto le simpatie politiche per la sinistra (è stato anche giornalista sull'"Unità" dell'amico Walter Veltroni, che sarà certamente in prima fila, l'11 aprile, al concerto romano all'Accademia di Santa Cecilia), ma ha sempre rivendicato con orgoglio la scelta di "non scrivere canzoni militanti". Anche se i tentativi di annoverarlo sotto qualche bandiera sono innumerevoli, basti vedere in quali e quanti contesti è stata usata la sua "Viva l'Italia". Solo a gennaio, all'uscita del singolo "Il cuoco di Salò" si è persino parlato di revisionismo, e lui nemmeno si è degnato di precisare che si tratta piuttosto di una dolente ballata sui perdenti, tutti, della storia.
L'album intanto, zitto zitto, è arrivato a oltre 200 mila copie. Da ieri è "Sempre per sempre" il nuovo singolo radiofonico trasmesso da tutte le emittenti italiane: sarà uno dei brani leader del tour, insieme con la riscoperta di "Canzone per l'estate", scritta nel 1974 a quattro mani con Fabrizio De Andrè. De Gregori sarà accompagnato da Guido Guglielminetti al basso, Massimo Buzzi e Alessandro Svampa alla batteria, Paolo Giovenchi alla chitarra e Carlo Gaudiello alle tastiere, con la partecipazione anche di Greg Cohen (già con Tom Waits) al basso e contrabbasso acustico; Alessandro Arianti al piano e tastiere; Marco Rosini al mandolino e alla chitarra acustica e Toto Torquati all'organo Hammond e tastiere. In scaletta ci saranno, naturalmente, anche tanti vecchi successi: irrinunciabile qualche classico da "Rimmel" (1975), e da "De Gregori" (1978), con la famosissima "Generale". E speriamo che il principe non dimentichi la lieve "Banana Republic" (1979) che fu colonna sonora di un indimenticabile tour insieme con Lucio Dalla. Ma in trent'anni di carriera c'è davvero l'imbarazzo della scelta, tra il felicissimo e premonitore "Titanic" (1982) e la struggente "Donna cannone" (1983), tra il complesso "Scacchi e tarocchi" (1985) insieme con Ivano Fossati e le più recenti e veementi "Canzoni d'amore" (1992) e "Prendere e lasciare" (1996). Sceglierà lui, naturalmente, che cosa cantare, senza troppe spiegazioni. D'altronde i fan ormai lo sanno: non c'è niente da capire.

 

Oggi è tempo d'incendi, organizziamo presepi, dalle stelle tu scendi e ci senti e ci vedi.
Addormentati in panchina
o indaffarati a far niente ed il freddo che arriva, ci brucia e ci spegne.
Non c'è nessun segreto, nessuna novità, non c'è nessun mistero, nessuna natività.
Io ti regalo una foglia
da masticare col pane, e tu una busta di vino per passare la fame.
Sior Capitano aiutaci a attraversare
questo mare contro mano. Sior Capitano, da destra o da sinistra non veniamo e questa notte non abbiamo Governo e parlamento non abbiamo e ragione o sentimento non conosciamo e quando capita ci arrangiamo.
Con documenti di seconda mano. Con documenti di seconda mano.
Oggi è tempo d'attesa,
organizziamo qualcosa, mentre balla sul marciapiede, la vita in rosa.
Che ci guarda e sorride
e non ci tocca mai, ultimi di tutto il mondo, piccoli fiammiferai.
Non c'è nessun perdono,
in tutta questa pietà, non c'è nessun calore, nessuna elettricità.
E oggi parlano i cani
per sentirsi più buoni, intorno al nostro fuoco, cantano canzoni.
Sior Capitano, aiutaci a attraversare
questo mare contro mano. Sior Capitano, da destra o da sinistra non veniamo e questa notte non abbiamo Governo e parlamento non abbiamo ragione o sentimento non conosciamo e quando capita ci arrangiamo, e ci arrangiamo.
Con documenti di seconda mano, con documenti di seconda mano

 

Guido Guglielminetti (basso)

Massimo Buzzi e Alessandro Svampa (batteria)

Paolo Giovenchi (chitarre)

Carlo Gaudiello (tastiere)

Nicola Piovani (pianoforte e direzione d'orchestra)

Fabio Ceccarelli (fisarmonica)

registrato al Forum Village di Roma

 

Siamo a Bengodi, siamo a Shan-gri-la! - Siamo a Brindisi, siamo a Berlino! - Siamo a El Dorado! - Siamo a Rimini! (E' pieno inverno, il mare sono sacchi di plastica scura. E' l'Adriatico, che unisce e separa oriente e occidente. La gondola è un gommone nero, Casanova ha vent'anni e quindici fidanzate) - E' buono questo rancio, Capitano! - E' buono?! - E' buono questo rancio, Capitano! - Ma a casa vostra, allora, cosa mangiavate? - Pane e foglie, Capitano! (tutti insieme) - Pane e foglie, Capitano! - E ai bambini? - Pane e foglie, Capitano, pane e foglie, Capitano! - Siamo a Brindisi, siamo a Itaca! (Siamo a Itaca, El Dorado, Shan-gri-la, siamo a Bengodi, siamo a Brindisi) - Che tempo fa, Capitano? - Fa Natale, fa Natale! Nevica sul mare! - Fa Natale, fa Natale, nevica sul mare! (tutti insieme) - Fa Natale, fa Natale, nevica sul mare! E' allora che i presepi si incendiano, e ci si brucia per scaldarsi, per non morire di freddo. E' allora che ci si butta a mare per non annegare, è allora che si nuota, per chi sa nuotare. 

FdG

 

IL FORUM DEL SITO UFFICIALE SONY

 

alcuni interventi del forumista Francesco De Gregori,

in arte CICCIO (in neretto)

 

Beh, a proposito dei testi l'ho fatto apposta a non metterli sul disco. Perchè penso che una canzone vada ascoltata tutta insieme. Eppoi mi sembra che le parole si capiscano abbastanza bene anche a un primo ascolto. E' vero che nel disco precedente c'erano, ma allora il web non era esteso come adesso, dove tutti i miei testi circolano liberamente e non solo nel sito ufficiale. Eppoi questa volta erano davvero troppo lunghi e avremmo dovuto scriverli molto piccoli. Però la copertina mi piace - non solo perchè è una copertina " d'oro" ( SE LA GUARDATE BENE)- ma proprio perchè è di cartone. Forse abbiamo tagliato qualche albero in più, ma produrremo meno diossina. Comunque per quanto ne so c'è anche una versione con il guscio di plastica tradizionale - ma sempre senza i testi-. Per farmi perdonare ho chiesto alla Sony di stampare anche il vinile. E l'uomo del monte ha detto si. Ciccio

 

Beh, sono Francesco (quello che canta). " Tutti hanno un cuore"non è la mia canzone preferita, avete ragione. Mi piace solo quel verso che dice " Cercano dentro a un pezzo di specchio un riflesso del sole". "Jazz" Rustici non voleva metterla nel disco, ho insistito io. " Stelutis Alpinis" invece mi piace, ma è un fatto personale, mi piaceva tradurre in italiano un pezzo scritto in friulano. Comunque non tutte le canzoni riescono col buco. " Rosa rosae ha un titolo terrificante, ed era meglio nei provini che nel disco.. Però grazie di avermi scritto. Nei concerti non sono freddo. Cerco sempre di vestirmi bene e di ricordarmi le parole. Chiamatemi sempre " Ciccio"!

 


Beh, sono proprio io, sono Ciccio, quello che canta. Per farmi credere vi dirò alcune cose sui prossimi concerti che solo io posso sapere. Faremo non più di una quindicina di date tra la fine di marzo e la metà di Aprile in teatri più o meno piccoli. Le città? Prato, Torino, Piacenza, Milano, Varese, Roma... Adesso sto cercando di mettere su la banda. Spero di avere Greg Cohen al contrabbasso e Toto Torquati alle tastiere, che si uniranno agli altri che hanno lavorato sull'ultimo disco. Greg può venire solo per una ventina di giorni e questo ci obbliga a concentrare tutti i concerti al Nord per non perdere tempo con gli spostamenti:quest'estate però faremo un bel giro per tutta l'Italia senza la nebbia , col bel tempo e negli spazi aperti.
Adesso vi dico qual'è il mio problema: scegliere i pezzi da fare. Non se ne possono farepiù di 20 / 25 bis compresi e per esempio non so quanti e quali fare del nuovo disco.
 Qualcuno mi consiglia anche di fare un concerto tutto infarcito di pezzi "storici" ( Titanic, Rimmel, La donna cannone etc. etc.) ma io penso che sarebbe meglio metterci anche qualcuna di quelle piccole canzoni sconosciute che lasciano la platea in silenzio e un po' imbarazzata.
Comunque il mio problema stasera è questo e in qualche modo lo risolverò.
Eppoi comunque dalla scaletta mancherà sempre qualche canzone che il pubblico avrebbe voluto sentire e io avrei voluto fare. Inoltre è vero che non mi piace parlare tra una canzone e l'altra ( preferisco farlo qui), ma non è vero che mi secca se il pubblico canta con me. Sono ormai rassegnato a sentirmi chiamare "Ciccio" per sempre. Ciccio

 

Grazie a tutti per l'affetto che mi avete dimostrato con i vostri messaggi, auguri, complimenti. Noto con dispiacere che qualcuno firma a mio nome messaggi..., supponevo che prima o poi sarebbe successo. grazie, grazie, grazie... - ciccio

 

Federico che scrive nel forum non è mio figlio ma qualcuno che si diverte a fare lo spiritoso.
Poi vi dico che presto inserirò nel sito qualche canzone del mio ultimo concerto dal vivo che chi vorrà potrà scaricarsi (non ho ancora scelto quante e quali). E che presto il forum chiuderà e riaprirà più avanti. Sono l'unico vero Ciccio esistente e per dimostrarvelo vi dico che stasera al concerto di Catanzaro suonerò un pezzo che non ho mai fatto prima in questa tournée e che si chiama "Auschwitz". Vi ringrazio tutti e a presto. Ciccio

 

 

  

 


 

 

Pioggia e sole cambiano, la faccia alle persone
fanno il diavolo a quattro nel cuore e passano e tornano
e non la smettono mai.

Sempre e per sempre tu ricordati dovunque sei, se mi cercherai.
Sempre e per sempre
dalla stessa parte mi troverai.
Ho visto gente andare,
perdersi e tornare

e perdersi ancora
e tendere la mano a mani vuote.
E con le stesse scarpe
camminare

 per diverse strade o con diverse scarpe su una strada sola.
Tu non credere
se qualcuno ti dirà che non sono più lo stesso ormai.
Pioggia e sole
abbaiano e mordono, ma lasciano,

lasciano il tempo che trovano.
E il vero amore può
nascondersi, confondersi, ma non può perdersi mai.
Sempre e per sempre,
dalla stessa parte, mi troverai.
Sempre e per sempre,
dalla stessa parte, mi troverai.

 

 

 

Guido Guglielminetti (basso, scrittura e arrangiamento archi)

Paolo Giovenchi (chitarre)

Francesco De Gregori (pianoforte)

Scuola A.P.M. di Saluzzo (archi)

Vittorio Muò (direzione d'orchestra)

 

 

 

 

Il loro nome e' De Gregori, ma guai a chiamarli figli di papa'

Gruppo di famiglia in concerto in un locale di Trastevere. C' era anche lo zio Luigi Il loro nome e' De Gregori, ma guai a chiamarli figli di papa'

Sono loro, non sono loro: storia del concerto piu' "carbonaro" di una notte d' inizio estate. Perche' quei due ragazzi che ieri notte hanno cantato e suonato al "Lettere Caffe' ", locale in via San Francesco a Ripa a Trastevere, sono Marco e Federico De Gregori, figli gemelli del cantautore Francesco. Ma guai a dirglielo o a chiederglielo: "No", rispondono. "Non siamo noi". E se pure il concerto s' intitola "Da De Andre' a De Gregori", pure se il nome del celebre papa' risuona nelle note diffuse e mischiate ai clacson che ancora festeggiano lo scudetto della Roma, ufficialmente loro sono solo "due ragazzi che suonano e basta". Anche il fratello di De Gregori, Luigi Grechi (cognome d' arte) e' li' per suonare: "Ma non per essere il fratello di...", ci tiene a specificare. E comunque sono tutti bravi, bravissimi. Anche Davide Trebbi, ufficialmente l' unico protagonista del concerto, pronto a intonare alcune sue canzoni e altre in omaggio a Lui, che e' "il papa' di...", "il fratello di...", ma non si deve dire.

E allora a notte fonda ancora si fatica per conoscere la scaletta di questo concerto che pur vanta un doppio patrocino: ministero per i Beni culturali e assessorato alla Cultura del Comune di Roma. Locale affollato, quadri alle pareti, faretti incassati nel parquet: e' passata da un bel po' mezzanotte quando Marco e Federico in compagnia del ventitreenne Giacomo Giulianelli attaccano "Festival", "Atlantide" e "L' uccisione di Babbo Natale". Marco al basso, Federico alla chitarra, Giacomo che canta. Poi tocca a Federico, con "Giorno di pioggia". Poi a Marco, che per la prima volta solo su un palco (chitarra e voce) si esibisce nell' "Impiccato" di De Andre' . Pubblico di amici, tutti a chiedersi se arrivera' papa' Francesco, che il 24 maggio scorso aveva accompagnato i due figli in quella che era la loro prima, o quasi, uscita pubblica: un altro concertino nel locale "Vicolo de' Musici" in via Cavour. Di solito i due ragazzi si presentano come il gruppo dal nome "L' acqua alle olive". Questa volta invece sono "Due ragazzi e basta": di 22 anni, jeans, maglietta bianca e barbone lungo. Si' , figli d Francesco De Gregori, ma la riservatezza e' d' obbligo.

Edoardo Sassi 23.6.2001

 

 

Arrivo a Piazza Don Bosco proprio mentre Fiorella sta finendo di cantare Sally, fatico un po per cercare un posto dove si possano guardare in faccia i cantanti, dato gli ombrelli che ostruiscono tutta la visuale. Per fortuna verso la fine del pezzo successivo "L'uccisione di babbo Natale" cantata da Fiorella e Francesco, la pioggia cessa di scendere e tutto diventa magico. Mi accorgo con stupore di stare a pochi metri dal palco e che riesco a vedere tutto, anche le espressioni del viso dei cantanti. Francesco finito questo pezzo dice:"Vorrei chiamare sul palco un vecchio e caro amico..." Sale sul palco Antonello ed insieme cantano "bomba o non bomba".
 La mia sensazione è stata quello di aver assistito ad un concerto "strano", nel senso di atipico. Mi sono divertito a vedere un Francesco gironzolare col suo sigaro in mano sul palco, sembrava intervenire a cantare giusto quando passava davanti al suo microfono. Ho avuto come l'impressione che intendesse questo concerto più come una festa fra pochi amici che come un'esibizione davanti ad un pubblico. Avevano voglia di cantare ieri, e si capiva.(Fiorella ha anche accennato insieme al pubblico un: Forza Roma alè, Roma alè...Roma alè)
Il momento più alto secondo me è stata l'interpretazione di "la storia" di Fiorella, il mio corpo è stato percorso da un brivido per tutta la durata della canzone. La sua interpretazione è stata ancora migliore di quella del 1 maggio. E' davvero brava.
Un bel concerto davvero, una festa. Quando è salito sul palco Piovani speravo ci regalassero "Natale di seconda mano", i due hanno parlottato un po e poi hanno eseguito "la donna cannone"...va bene così.
Finito il concerto insieme alla mia ragazza decidiamo di andare dietro al palco, tempo pochi minuti e viene fuori Antonello, devo dire che è stato molto cortese ed educato, ha stretto mani e ha scambiato due parole con tutti noi, ha riso e ha scherzato. Gli ho chiesto di chiamarci Francesco e lui ce l'ha anche chiamato, ma Francesco era chiuso nella roulotte e non ne ha voluto sapere di uscire. Si è solo limitato dopo un bel po ad affacciarsi e a tirare una scarpa che poi ha regalato al fan che l'ha raccolta (per la cronaca porta 44). Neanche Fiorella si è avvicinata alle transenne. I tre poi mentre cercavano di raggiungere il pulmino che li doveva portare via, hanno distibuito sorrisi e strette di mano, tutti, tranne il nostro Francesco che sembrava invece molto ma molto infastidito dalla folla che lo acclamava. Devo dire che questa insieme alla pioggia, è stata l'unica cosa che non ho molto gradito di tutto il concerto. Non sarò certo io ad insegnare il comportamento a Francesco, è libero di porsi come meglio gli pare, io credo solo che un sorriso avrebbe fatto felice tanta gente e non sarebbe costato nulla.
Comunque questo è poco importante, ciò che conta sono solo la sua musica e le sue parole che ancora una volta,per l'ennesima volta mi hanno regalato delle splendide emozioni.

 

 

 

 

     


Una bestia di fuoco e velocità, cinque quintali di pura bellezza.
Un angelo giallo come un lampo
e improvviso come una faina.
Eravamo una macchina sola
e io pensavo ed era cosa fatto.
Nessuno ci stava dietro,
senza peso e senza ingombro,
senza peso, senza ingombro, solo pensiero veloce.
A terra si vedevano solo bocche spalancate,
i bambini di Lugo ci segnavano a dito.
Le donne si innamoravano
del aeroplano e del mio coraggio.
Ed era solo volontà di precisione,
la guerra, solo l'occasione,
e i nemici quasi complici di questa volontà, complici e gregari della nostra temerarietà.
La terra è una parentesi
tra una partenza e l'altra,
quasi un'inutile perdita di tempo, per cose di poca importanza.
Di lassù, c'è un'altra vista del mondo, un altro panorama della vita.
Non avremmo potuto invecchiare mai, non dovevamo invecchiare mai,
perché non eravamo nati per invecchiare mai.
La terra è una parentesi
tra una partenza e l'altra,
quasi un'inutile perdita di tempo per cose di poca importanza.
Ecco una bestia di fuoco e aerodinamicità. Ecco cinque quintali di vera bellezza.


Guido Guglielminetti (basso)

Massimo Buzzi e Alessandro Svampa (batteria)

Paolo Giovenchi (chitarre)

Carlo Gaudiello (tastiere)

Alessandro Arianti (pianoforte)

Orlando getta in fondo al mare l'archibugio di Cimosco (Abominoso ordigno!) e spera così che le armi da fuoco vengano bandite dal futuro dell'umanità. La polvere da sparo è invece destinata a sovvertire per sempre i codici cavallereschi e la lealtà del duello. Così, secoli dopo nel film "Indiana Jones" Harrison Ford abbatte a pistolettate - fra gli applausi e le risate del pubblico - l'avversario che lo aggredisce a colpi di scimitarra… Così anche lo SPAD VII S2489 di Francesco Baracca, ferito a morte dalla fortunosa fucilata di un fante partita dal fango di una trincea, diventa simbolo di combattimento sleale, di un'infrazione - anche estetica - alle regole del gioco. L'episodio ci fa pensare al gesto del ragazzo Balilla, di Davide, o di Ulisse che acceca Polifemo con l'inganno. Il fante sconosciuto è - appunto - Nessuno. Al contrario la sua vittima, Baracca, viene giustamente considerato Qualcuno, anzi un eroe. Nulla di eroico, invece, nella vita e nella morte di Antoine de Saint-Exupéry, scrittore aereo e pacifista soldato che si inabissò in un punto imprecisato della Baia degli Angeli al largo della Costa Azzurra durante un volo di ricognizione verso la fine della seconda guerra mondiale. Di lui ci restano, oltre a "Il piccolo Principe", pochi libri in cui la condanna della guerra è dolorosa ed inappellabile. Ancora sull'argomento: si chiamava Claude Eatherly l'uomo che sganciò la bomba atomica su Hiroshima e che venne poi ricoverato per anni in un ospedale psichiatrico americano. Consigli per gli acquisti: "Staccando l'ombra da terra", di Daniele Del Giudice e "L'uomo che brucia" di Massimiliano Governi. E poi i piloti sconosciuti che in Iraq e in Kosovo hanno inaugurato l'era della guerra nucleare porta a porta. La serena guerra degli aviatori. Volare, Oh Oh!

FdG

 

Avevo uno studio di registrazione a Torino e con me lavorava Dario (Arianti) in qualità di fonico. Spesso ero via perché già lavoravo con Francesco, ma quando ci vedevamo e non eravamo impegnati in qualche lavoro dello studio, Dario ed io ci divertivamo a scrivere pezzi e a realizzarli.
Più o meno era il 2000.
Un giorno Dario mi fece sentire un pezzo che aveva realizzato con Alessandrino, suo figlio. M' innamorai subito della parte strumentale di pianoforte e chiesi loro se avessi potuto lavorarci un po' su, perché, secondo me, con un altro testo ed una nuova melodia sarebbe diventato un pezzo molto forte (fra l'altro fu proprio per quell'esecuzione che, in seguito, Francesco volle che Alessandrino entrasse a far parte della Band).
Pensavo che con quel tipo di atmosfera, il testo avrebbe dovuto raccontare una storia importante. Allora incominciai a gironzolare su internet, alla ricerca di un' idea.
Inizialmente ero particolarmente attratto dalla vita di Giovanni Soldini, il navigatore solitario, ma dopo svariati tentativi, rinunciai, perché proprio non riuscivo a far decollare il testo. (Beh, in fondo è abbastanza difficile che "decolli" un navigatore!).
In quel periodo frequentavo un corso per agenti immobiliari (…ho visto che hai strabuzzato gli occhi!!! Beh ho conseguito il patentino con successo, se proprio lo vuoi sapere, ma non me ne sono mai servito). Al corso feci amicizia con una ragazza che gestiva un locale ristorante a Levaldigi, all'interno dell'aeroporto; (Levaldigi è l'aeroporto di Cuneo).
Il locale era nell'aeroclub, per la precisione, dove ci sono gli aerei da turismo, insomma quelli piccoli, avete capito!!
Mi invitò ad andarla a trovare ed io ci andai. Per un appassionato come me di qualsiasi tipo di viaggio, quel posto sembrava il paese dei balocchi! C'era una piccola pista con qualche aereo parcheggiato sull'erba, erano bellissimi! Tutti tirati a lucido, sembrava potessero spiccare il volo da soli, da un momento all'altro, bastava salirci e partire, non importa per dove! Il locale era una baracca prefabbricata, tutta in legno, con un porticato sotto il quale c'erano i tavoli e le sedie. Sembrava uno di quei posti che siamo abituati a vedere nei film che descrivono la frontiera americana, dove ci sono sempre i cespugli che rotolano, ebbene lì mancavano solo i cespugli.

 

 

Il locale si chiamava: "Baracca", credo si chiami ancora così. Pensai fosse per il fatto che era tutto di legno, ma dentro vidi che le pareti erano piene di fotografie d'epoca che ritraevano Francesco Baracca, asso dell'aviazione durante la prima guerra mondiale, quindi il nome del ristorante derivava appunto dal grande aviatore. Rimasi stregato da quelle immagini ed appena tornato a casa incominciai la mia nuova ricerca in internet, finche non incappai nello "Spad Vll" il leggendario biplano compagno d'avventura di Francesco Baracca: Spad VII.
Costruttore: S.P.A.D. Tipo: Caccia In ruolo dal: 1916 Motore: Hispano Suiza 8BEc 8cil. V in linea raffreddato ad acqua 175 hp Apertura alare: 7.77 m Lunghezza: 6.13 m Altezza: 2.33 m Peso a vuoto: 500 kg Peso al decollo: 703 kg Velocità massima: 192 km/h Ceiling: 6550 m Autonomia: 2 h Equipaggio: 1 Armamento: 1 Vickers .303
Fu amore a prima vista!!
Fu proprio da questi dati tecnici che ricavai la partenza del testo.
Sdraiato sul divano pensatore, col blocco note a portata di mano, in uno stato di dormiveglia, forse più "dormi" che "veglia", scrissi: "una bestia di fuoco e velocità, cinque quintali di pura bellezza, un angelo giallo come un lampo e improvviso come una faina" In seguito Francesco avrebbe poi cambiato "pura bellezza" con "vera bellezza", senza dubbio, molto meglio! Fu questa complicità fra l'uomo e la macchina ad attrarmi: "…Eravamo una macchina sola, io pensavo ed era cosa fatta". Francesco Baracca ho voluto immaginarlo, più come un grande appassionato di volo, che come un guerriero; "…La guerra solo l'occasione e i nemici quasi complici di questa volontà, complici e gregari della nostra temerarietà", come a dire che tutte le scuse erano buone pur di volare, al punto che perfino i nemici potevano diventare complici di quel gioco, che era il suo unico scopo di vita, e infatti: " …La terra è una parentesi fra una partenza e l'altra, quasi un' inutile perdita di tempo per cose di poca importanza". Venne tutto di conseguenza, il testo si scrisse da solo, come dice Vasco.
Il giorno dopo andai a Torino da Dario e glielo proposi, lui ne fu entusiasta e lo cantò subito benissimo! (detto fra noi, Dario è un grande cantante!!).
Era tempo di fare il nuovo disco di inediti e Francesco ancora non aveva scritto niente. Molto timidamente, un giorno che ero a Spello, gli dissi che mi sarebbe piaciuto fargli sentire una cosa che avevo scritto con un amico (Dario e Francesco ancora non si conoscevano). Gli piacque subito e disse che l'avremmo fatta nel nuovo disco, non appena avesse avuto del materiale buono.

Probabilmente quel pezzo servì da stimolo a Francesco, perché non passò molto tempo che si presentò con uno degli album più belli della sua carriera: "Amore nel pomeriggio".

 

 

“Francesco e i “musicanti” di piazza Navona”

 

una rara registrazione di “Mr. Tambourine man”  - De Gregori in coppia con Franco Fosca.

Franco,  “il menestrello”, è stato per 25 anni un artista di strada di Piazza Navona,  ed era molte altre altre cose: poeta, busker, cantautore, giovane del folk studio, Dylaniano, Degregoriano chitarrista con Luigi Grechi; un outsider culturale che ha vissuto soltanto  di musica. Un poeta libero quando suonare in strada non faceva tendenza, ma spesso dovevi scappare inseguito dalla polizia …

Franco è stato anche un nostro amico, un compagno di anni bellissimi di lotte e di sogni ancora intatti… ma questa è un’altra storia.

 “e non  importa niente se la gente del caffè non capira’ la loro anima i musicanti non piangono mai”️ 

Nel 2002, per ben due volte, Franco Fosca si trova su un palco assieme a Francesco De Gregori ad  interpretare dei brani di Bob Dylan, amore comune ,- il 14 febbraio a Trastevere  al “Lettere/Caffè” (“Mr tambourine” e  “Blowing in the wind”), e il 9 maggio al “Classico” (“Tomorrow is a long time”) ecco come descrive il suo incontro  con Il principe.

(Daniela Spaziani Gregori)

 

https://www.iltitanic.com/2023/navona.jpg 

 

 "“Francesco De Gregori è stato x me - soprattutto negli anni Settanta in Liguria - un fratello maggiore mitico e ideale. Uno capace di dare forma alle sue ossessioni e fartele sentire tue; uno di quelli che. quando sei sulla strada senza sonno e senza un posto dove andare, ti parla dalla piccola cassa di un mangianastri e ti dice nell’ orecchio cosa sta succedendo e quali sono i modi giusti x affrontare le cose, la vita, la società aliena. Con questo background, potete ben immaginare la mia gioia estasiata quando, per ben due volte, ho avuto l'onore di cantare insieme a lui su un palco. So che  gli devo molto perchè

Francesco è uno schivo e discreto, e non gli piacciono granché queste cose. La prima volta fu il giorno d San Valentino del

2002, sul palchetto del "Lettere-Caffè" d Trastevere: suonammo dei brani di Dylan e poi misi la mia armonica su un suo brano, "Battere e levare" (ho le registrazioni da qualke parte). Era successo questo. Ero da poco uscito dai postumi del mio secondo infarto (quello in cui sono morto x 3 minuti) e dalla convalescenza post-operatoria, e stavo organizzando una sorta d mega-ritorno sulle scene, x ringraziare tutti gli amici e i colleghi e mi erano stati vicini. Una bella mattina (andavo a lavorare anche convalescente, perchè  c'era da mandare avanti la famiglia) ecco che io e i miei colleghi busker d piazza Navona ci vediamo arrivare Francesco con la sua tipica falcata principesca. Dopo i saluti, gli dissi della mia festa imminenete, e lui mi promise di venire. Mantenne la promessa, e mi fece strafelice. Poco più di un anno dopo, al "Classico" di via Libetta, l'incontro artistico si è ripetuto. Avevo già suonato col mio gruppo sul palco in occasione di un tributo

all'amico Fabio Tassi, scomparso da poche settimane, e subito lui, Francesco - che non era in programma - mi si è era fatto

sotto dicendo: "Ti va se saliamo a fare un brano insieme?". Dissi d si, ovviamente, e andammo su a fare "Tomorrow is a long time" di Dylan a due voci. Una tenerezza unica.”

 

 

Sul Corriere della Sera di oggi, Faffner torna a dire la sua su Francesco, passi per tutto,visto che si stanno tutti e due antipatici, ma l'erede?l'erede?l'erede no!
IMPEGNO E POESIA - Francesco De Gregori compie 50 anni mercoledì. Li festeggia sul palco (al Colosseo di Torino) nel tour che arriva all'indomani del successo dell'album "Amore nel pomeriggio". E' cambiato rispetto alle origini? Molto poco. Resta, per capacità di sintesi poetica, un caposcuola, illuminato da canzoni senza età, a decine, che vanno da "Buonanotte Fiorellino" a "Rimmel", dall'"Abbigliamento di un fuochista" a "Generale", da "La leva calcistica classe 1968" a "La donna cannone". La sua vena creativa è capace ancora di intuizioni folgoranti come "La valigia dell'attore", "Il cuoco di Salò" o "Natale di seconda mano". Sono migliorate la sua voce e la preparazione musicale. Sul piano umano resta discontinuo. Una finestra di simpatia si apre per un paio d'anni ogni otto. Poi torna orso. Su Internet nel suo sito si firma Ciccio. Fa poche apparizioni in tv e produce un mediocre olio d'oliva. L'erede : Jovanotti

  .....ho assistito ad un concerto in cui LUI non è stato freddo!!! Incredibile a credersi.. però è successo... è vero è un tipo che rimane sulle sue, addirittura mi hanno raccontato che una volta all Augusteo (un teatro di Napoli)lui si è incazzato col pubblico perchè voleva che si stesse zitti...ma dice che si è incazzato di brutto.. io invece, ad una festya dell' Unità (sempre a NA)dove è arrivato si con 2 ore di ritardo.. però... dopo un paio di canzoni poi.. al nostro grido "PRINCIPE!!!"LUI SI è MESSO A RIDERE.. E CI FA "CHIAMATEMI CICCIO STASERA!!!"...


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