
It/Rca - ZSLT 70017 - apr 1973
Alice Non Lo Sa (8-Trk,
Album, Ltd) - it - Z8ST 70017 Italy 1973
Alice Non Lo Sa (Cass,
Album) - RCA Italiana - TPK1 1010 - Italy - 1974
Alice Non Lo Sa (LP,
Album, RE) RCA Italiana - TPL1-1010 - Italy - 1974
Alice Non Lo Sa (CD,
Album) - BMG Ricordi S.p.A., RCA - PD 74044 - Germany -
1989
Alice Non Lo Sa (CD,
Album, RE) - RCA Italiana - PD 74044 - Italy - 1989
Alice Non Lo Sa (CD,
Album) - BMG Ricordi S.p.A., RCA - 74321450722 - Europe 1996
Alice Non Lo Sa (Cass,
RE) - RCA - 74321 450724 - Italy - 1996
|
Alice Non Lo Sa (CD,
Album) - Panorama (23) - CD0940603 - Italy - 2000
Alice Non Lo Sa (CD,
RE, RM, Dig) - Ricordi - 74321 765062 - Italy - 2000
Alice Non Lo Sa (CD,
Album, RE, RM, Cas) - Corr.Della Sera - 9771825788145 90003 - Italy
- 2009
Alice Non Lo Sa (CD,
Album, RE, Dig) - Sony Music, RCA - 88843067522 - Italy -
2014
Alice Non Lo Sa (LP,
Album, RP, 180) - Sony Music, RCA - 88875121251 - Europe
2015
Alice Non Lo Sa (CD,
Album) - Sorrisi E Canzoni Tv - 3 - Italy - Unknown
Alice Non Lo Sa
(CD, Album, RE) Sorrisi E Canzoni TV - IGA 200115-TVSC - Italy -
Unknown |


Produzione
e realizzazione artistica a cura di Edoardo De Angelis.
Arrangiamenti
a cura di Edoardo Da Angelis e Francesco De Gregori.
Archi
diretti dal maestro Luigi Zito.
Registrazioni
effettuate presso lo studio 38 in Roma da Aurelio Rossitto e Ivano
Casoni. Mixages
effettuati presso il re-recording 1 della BMG Ariola in Roma da Sergio
Patucchi con Edoardo Da Angelis e Francesco De Gregori
Fotografia di Giorgio Lo Cascio. Realizzazione
grafica e disegno di Alvise Sacchi
Hanno inoltre collaborato: Alvise
Sacchi CAMPANELLI, BIRIMBAO Marcello Feliciani OBOE Massimo Rocci
BATTERIA, BONGOS Luciano Ciccaglione CHITARRE Jimmi Tamborelli CHITARRA
CLASS. Sandro Ponzoni BASSO Franco Di Lelio ARMONICA Aldo Pizzolo PIANO
Maurizio Biglio CHITARRA 12 corde, banjo Baba Yaga CORO Ed. IT/BMG
Ariola . CD Artwork: Mario Scardala
 |


Il Dott. Micocci mi
disse che aveva intenzione di regalare a tutti i giornalisti una
bambolina tipo Barbie vestita solo di un nastro intorno ai fianchi, per
rappresentare la signora Aquilone esattamente come nel bel disegno di
Alvise Sacchi nella busta intema, e realizzarla in modo da poter essere
inserita sul pemo centrale del giradischi onde danzare soavemente
durante l'ascolto delle canzoni di Francesco.

«Ma
chi è 'sto Cesare? Ma chi lo conosce! Ma nun poi parlà come magni?».
E Francesco, paziente, spiegava al tecnico del suono che non era
necessario sapere per forza che si trattava di Cesare Pavese, che
avrebbe potuto essere un Cesare qualsiasi, sotto la pioggia, ad
attendere inutilmente il suo amore ballerina.”. Questo raccontava Lo
Cascio del disco dove arrivano finalmente i violini.Quando esce “Alice
non lo sa“, per Francesco è ancora fresca l’eliminazione dal “Disco
per l’estate” del 1972, dove era arrivato ultimo con la sua Alice!
Ma non gliene frega più di tanto: sente già che vento sta per tirare e
quella sua partecipazione fu quasi una provocazione al mercato musicale
italiano.Alla gara canora (perché di gara si tratta) partecipano, fra
gli altri, i Nomadi con “Io vagabondo” (e non vincono nemmeno
loro!), Giovanna con una canzone di Bennato “Perchè perché”, i
Delirium di Fossati con "Haum”, Umberto Balsamo con “Se fossi
diverso”, Stormy Six con “Sotto il bambu”, Nada con “Una
chitarra e un’armonica”.Vincerà Gianni Nazzaro con "Quanto e'
bella lei", staccando la seconda classificata Orietta Berti con “Stasera
ti dico di no” e i terzi classificati, i compagni di scuderia della It
“I Vianella” con “Semo gente de borgata”. Le giurie bocciano
anche grossi calibri come Gianni Morandi (Principessa), Patty Pravo
(Io), Sergio Endrigo (Angiolina), Equipe 84 (Pullman), Romina Power
(Nostalgia), Tony Renis (Un uomo tra la folla) e addirittura un certo
Dalla Lucio, con un capolavoro che si chiamava “Sulla rotta di
Cristoforo Colombo”.
(Il Nostromo)
_________________________________________
Ah! Se Colombo potesse vedere quel che succede
sulle rotte che aveva tracciato! Viene posto nell’oceano Atlantico il
più grande cavo sottomarino del mondo in grado di permettere 1800
conversazioni simultanee; USA e Vietnam del nord e del sud firmano a
Parigi l'accordo di pace dopo tredici anni dall'inizio della guerra,
nonostante i sudvietnamiti continuino la loro lotta fino alla fine di
aprile; ci governa Andreotti con una coalizione politica DC, PSDI, PLI e
poi Rumor con DC, PSI, PSDI, PRI; una bomba esplode in mezzo alla folla
davanti al portone della questura di Milano durante la cerimonia in
memoria di Luigi Calabresi; Breznev si reca in visita negli Stati Uniti;
il governo decreta il blocco dei prezzi per ventuno generi di prima
necessità per combattere l'inflazione; rivolta e incendi a Regina Coeli
a Roma e barricate sul tetto a San Vittore a Milano; a Napoli scoppia
un'epidemia di colera che si estende fino in Puglia e Sardegna
provocando il tracollo della pesca e dei mercati ortofrutticoli; in Cile
l'esercito, guidato dal generale Pinochet, assalta il palazzo del
presidente democraticamente eletto Allende, che viene ucciso. Molti anni
dopo si scoprirà l'appoggio americano della CIA al golpe; i paesi arabi
dell'Opec decidono di ridurre del 5% la produzione del greggio ai Paesi
che appoggiano Israele fino a quando non abbandonerà i territori
occupati; viene inaugurato ad Istanbul il ponte sul Bosforo che riunisce
Europa ed Asia; il governo decreta provvedimenti di austerità, divieto
di circolazione delle auto nei giorni festivi, chiusura alle 23 per TV e
Cinema, bar e ristoranti; si registra ufficialmente in Italia il primo
giovane morto a causa di un’iniezione di eroina; a Roma si svolge la
più grossa manifestazione sindacale del dopoguerra: più di 200.000
metalmeccanici; muoiono Pablo Picasso, Pablo Neruda e Anna
Magnani.E’
la grande stagione delle zattere, il periodo in cui siamo tutti più
alti di almeno 3 o 5 cm per quei tacchi cubici. I maggiori
rappresentanti sono I Cugini di Campagna. Indossiamo pantaloni a zampa d’elefante,
lunghi cappottoni color amaranto o verde scuro che ci arrivano ai
polpacci, camicie con colletti a punta e pullover colori militari con i
gradi attaccatti addosso; camicioni etnici, camicie a fiori, foulard e
bandane dalle stampe vivaci; orecchini a forma di cerchi enormi,
anellazzi e ciondoli multicolori e appariscenti, cravatte grandi come
lenzuoli. Portiamo i capelli lunghi sulle spalle ma curati, e con un
accenno di frangettina sulla fronte alla Emerson Lake & Palmer.Ci
intossichiamo con Zio Tom e Pepito, Cristallina Ferrero, le caramelle
Dufour, la magnesia San Pellegrino, la Coppa del Nonno, il gelato a
forma di piedone, il Duplo Ferrero, la Nutella, il formaggino Mio. E
tutte queste briciole cascano sui sandaletti blu dei bambini, quelli con
due buchi grandi e due piccoli.
Alla radio ascoltiamo Hit Parade di Lelio Luttazzi e Dischi caldi di
Gian Carlo Guardabassi.
Spot da ricordare sono "Come mai non siamo in otto? Perchè manca
Lancillotto. Arriva Lancillotto, arriva Lancillotto, succede un
quarantotto e tutto a posto va"; Dixan e il suo Mister X; El
Merenderoooo!!!, L'è lì l'è là, l'è là che aspettava Miguel";
il rabarbaro Zucca con la gheisha che si mette in posizione per formare
una Zeta; "Pun...pun... appuntamento yeeeess, appuntamento con Punt
e Mes!", 'La carne Montana che stringo, alé, vengon tutti a
mangiare con Gringo' e …"Cimabue, cimabue, fai una cosa e ne
sbagli due. Eh, che cagnara, sbagliando si impara !"Leggiamo
Topolino, Gruppo TNT, l’Intrepido e il Monello con le storie di Billy
Bis e Lone Wolf, Il mare colore del vino, Le ore, Playman e Playboy,
Soldino, Lupo Alberto, Il Gabbiano, Nonna Abelarda, Tiramolla, Geppo,
Zoe e Arturo, Cucciolo, Il grande Blek, Capitan Miki, Caro Michele, L’Osservatore
Romano.In televisione c’è A come Andromeda e A come Agricoltura,
L'uomo e il mare di Bruno Vailati e Jaques Costeau con la sua
Calypso,
Io Agata e tu, Senza Rete, Doppia Coppia, il Pinocchio di Comencini,
Eneide, E.S.P., Rischiatutto, Paolo Villaggio con il suo cammello di
pelusche, la Canzonissima con Loretta Goggi, Le sorelle Materassi,
Ironside, Zorro. Programmi lenti, presentatori educati e in smoking,
pubblico che sta compostamente seduto al proprio posto, quasi nessuna
parolaccia. E questo avviene anche allo stadio.Infatti la domenica sera
Alfredo Pigna ci racconta che al mitico Comunale di Torino la Juve vince
lo scudetto con Carmignani, Spinosi, Marchetti, Furino, Morini,
Salvadore, Causio, Capello, Anastasi, Cuccureddu, Bettega (All.
Wickpalek) e che a Salonicco il Milan vince la Coppa delle Coppe con
Vecchi, Sabadini, Zignoli, Biasiolo, Rosato, Schnelinger, Sogliano,
Benetti, Bigon, Rivera, Chiarugi. Felice Gimondi nel ciclismo e Novella
Calligaris nel nuoto sono campioni del mondo.
Di moda vanno l’alano e il volpino, i jeans Fiorucci, la chitarra
elettrica, scrivere “vogliamo la pace e non la guerra” negli ultimi
riflessi dell’era dei figli dei fiori, i viaggi con zaino in spalla e
tanta voglia d'avventura per le capitali europee. Ma pensiamo anche a
tirare calci al pallone (con i Supersantos, Supertele e San Siro) negli
oratori delle parocchie dopo il piccolo ricatto del parroco: “o
servite messa e cantate ‘Resta con noi Signore la sera’ o non vi
faccio giocare”. Ritornando a casa giochiamo ancora: il Piccolo Silvan
e il piccolo chimico, il miniflipper, le automobiline della Bburago e
della Polistil, le radioline walkie talkie, i chiodini colorati, l'album
di Nick Carter, i trenini della Rivarossi che coinvolgono anche i papà
accovacciati a quattro piedi, mentre fumano le Nazionali semplici, le
Colombo, le President, le Calipso, le Tre Stelle, le Super senza filtro.
Le loro ginocchia reggono bene perchè si posano su qualcosa di morbido:
la moquette! Distese interminabili di moquette, preferibilmente acrilica
e con colori sgargianti, dove gli acari vivono indisturbati e non sono
ancora l'incubo delle casalinghe.Il Premio Strega va a Manlio Cancogni
con “Allegri, gioventù” e il Campiello va a Carlo Sgorlon con Il
trono di legno.E i cinema? Chi dimentica i cinema dei nostri ricordi? Si
entra dentro la sala fin dal primo pomeriggio, le sedie di legno vuote,
il silenzio, la maschera che spruzza la lavanda e chiude le tende, la
luce rossa “toilette”, il pacco di popcorn già finito durante i
trailers.
A volte vedevamo le pellicole già cominciate e, per capire la
trama, si restava lì ad aspettare la proiezione successiva per guardare
il resto (e anche di più). E allora nei cinema si poteva anche fumare!
All’uscita, la cassiera, alla quale è affidato anche l’ingrato
compito di valutare, dalla corporatura, i ragazzini per stabilire se
abbiano o no diciott’anni, ci ricorda un po’ la tabaccaia grassona
dipinta in quel geniale affresco autobiografico che è l’Amarcord di
Federico Fellini. Ma vediamo pure La stangata, Sussuri e grida, Paper
Moon, L’esorcista, Il Padrino parte II, Effetto notte, Jesus Christ
Superstar, Anastasia mio fratello, Polvere di stelle, Il delitto
Matteotti, Film d'amore ed anarchia.Viaggiamo con la Lancia Fulvia
Coupè Montecarlo, il motociclo Ciao, le moto Gilera, la Fiat 127
special, l’Alfa Sud, l’Autobianchi A112, la Mini Minor modello
Traveller con i bordi di legno, la Fiat 128 (preferibilmente verde); la
Fiat 850 Sport, l’Audi, la Citroën CX, la Simca 1307 e la Porsche 911
(chi può).Peppino di Capri vince a Sanremo con “Un grande amore e
niente più”, allo Zecchino d’oro vince "La sveglia
birichina" e al Festivalbar vince Mia Martini con “Minuetto”.Nella
musica il Glam contagia anche Lou Reed, che pubblica "Transformer";
Allman Brothers Band, Grateful Dead e Band suonano dal vivo a Watkins
Glen davanti a una platea di seicentomila spettatori; Tom Waits pubblica
"Closing Time" e Mike Oldfield "Tubular Bells". Il
film "American Graffiti" di George Lucas lancia il revival
musicale anni 50 e 60. Pete Townshend degli Who crea la sua seconda
opera rock: "Quadrophenia", dalla quale viene poi realizzato
un film sulla società dei giovani mods inglesi degli anni 60.
L'elettronica comincia a poco a poco a prendere il sopravvento, le
chitarre diventano più distorte, più tirate, l'hard rock, sempre più
esasperato, lascia il posto alla prossima tendenza dell'Heavy Metal.
Arriva una nuova generazione di cantautori americani: James Taylor,
Carole King, Carly Simon e il giovane Bruce Springsteen, uno dei
musicisti in grado di trasformare il sentimento di un'intera generazione
in un "suono" introducendo il modello del cantautore degli
anni Ottanta. In Italia spopolano i Pooh con un album che entra a far
parte della storia: Parsifal. Lucio Battsti è all’apice della sua
carriera.Ascoltiamo Crocodile rock, Questo piccolo grande amore, Il mio
canto libero, La collina dei ciliegi, Minuetto, Io e te per altri
giorni, He, My love, Infiniti noi, Harmony, Daniel, You're so vain, Tu
nella mia vita, Un sorriso e poi perdonami, Una serata insieme a te, Io
perchè io per chi, Happy 'Xmas, Come sei bella, Get down, Ciao mare,
Un'estate fa, La spagnola.
Gli album più venduti in Italia sono Il mio canto libero, Il nostro
caro angelo, The dark side of the moon, Don't shoot me I'm only the
piano player, Dettagli, Pazza idea, Parsifal, Sempre, Questo piccolo
grande amore, Dalla Bussola n. 2, Alessandra, 16ma Raccolta Fausto
Papetti, 15ma Raccolta Fausto Papetti, Gira che ti rigira amore bello,
Caravanserai, Who do we think we are, Storia di un impiegato, Felona e
Sorona, Goats head soup Rolling Stones, Del mio meglio n. 2 Mina.
Ma la puntina la poggiamo anche su dischi come Octopus, Tapestry,
Logging & Messina, Felona e Sorona, Crazy Eyes, Your mother wan’t
like me, For you pleasure, Secrets, Close to the edge, Non farti cadere
le braccia, Il giorno aveva cinque teste, Opera buffa, Le cose della
vita.La palma di Tormentone dell’estate va a Pazza idea, di Patty
Pravo. Si è detto del disco: “Non sapevo se lo avrei fatto o no questo
disco, perchè dopo "Theorius Campus" ero stato abbastanza
emarginato all'interno della IT. Comunque stavo bene, mi ricordo che
dopo "Theorius Campus" andai in Grecia, l'estate feci le
vacanze e un po' di canzoni le scrissi a Patmos. Ci sono poi gli
arrangiamenti che facemmo insieme io e De Angelis, con molte ingenuità
musicali: le ritmiche sono suonate in maniera accademica, non c'è
nessuna invenzione né il minimo di fantasia nella realizzazione di
queste cose: gli strumenti si limitano ad accompagnarmi, sono un
sottofondo; invece nelle cose nuove sento che c'è un fatto musicale
più vivo. Questo nuovo modo di usare la musica dipende dall'aver
conosciuto molta gente, perchè ho suonato in giro e perchè quando hai
la disponibilità della sala di incisione e ti pagano i musicisti, cambi
tu stesso modo di scrivere la musica, ti viene spontaneo cambiare,
quindi di divertirti un po'.”
http://www.rimmelclub.it/storia/storia.htm |


Quando
esce "Alice non lo sa", per Francesco è ancora fresca
l'eliminazione dal "Disco per l'estate" del 1972, dove era
arrivato ultimo con la sua Alice! Ma non gliene frega più di tanto: sente
già che vento sta per tirare e quella sua partecipazione fu quasi una
provocazione al mercato musicale italiano. Alla gara canora (perché di
gara si tratta) partecipano, fra gli altri, i Nomadi con "Io
vagabondo" (e non vincono nemmeno loro!), Giovanna con una canzone di
Bennato "Perchè perché", i Delirium di Fossati con "Haum",
Umberto Balsamo con "Se fossi diverso", Stormy Six con
"Sotto il bambù", Nada con "Una
chitarra e un'armonica", I Nuovi angeli con "Singapore",
Gli alunni del sole con "Un ricordo", Patty Pravo con
"Io".

Vincerà
Gianni Nazzaro con "Quanto e' bella lei", staccando la seconda
classificata Orietta Berti con "Stasera ti dico di no" e i terzi
classificati, i compagni di scuderia della It "I Vianella" con
"Semo gente de borgata". Le giurie bocciano anche grossi calibri
come Gianni Morandi (Principessa), Patty Pravo (Io), Sergio Endrigo (Angiolina),
Equipe 84 (Pullman), Romina Power (Nostalgia), Tony Renis (Un uomo tra la
folla) e addirittura un certo Dalla Lucio, con un capolavoro che si
chiamava "Sulla rotta di Cristoforo Colombo". Gianni Nazzaro
partecipava alla manifestazione per la seconda volta, e non era di ottimo
umore. Si sentiva trascurato dalla casa discografica, a vantaggio del
conterraneo Massimo Ranieri. "Siamo due scugnizzi nati e cresciuti a
Napoli, tutti e due abbiamo fatto la fame, tutti e due siamo giunti al
successo dopo aver molto tribolato, tutti e due interpretiamo suppergiù
lo stesso genere di canzoni. Forse proprio per queste ragioni nella stessa
casa discografica uno di noi è di troppo. E quell'uno sono io. In ogni
occasione, chi va avanti è lui. Ed io sono il numero 13 in panchina, come
si dice nel linguaggio calcistico". Ranieri replicò: "A Napoli
si dice: 'C'è sole per tutti'". Nel giugno 1972, con Ranieri lontano
dalla ribalta perché impegnato nel servizio militare, il "numero
13" riuscì ad affermarsi al Disco per l'Estate e in hit-parade. Ma
quindici anni dopo, l'antico rivale si rifece con gli interessi: nel 1987
infatti Nazzaro si presentò alla commissione selezionatrice del Festival
di Sanremo, e ne venne scartato. La canzone da lui presentata era 'Perdere
l'amore': l'anno dopo sarebbe stata la vincitrice del Festival, cantata da
Ranieri.
|



Era un periodo in cui ero
affascinato da tutto ciò che riguardava le associazioni e la scrittura
automatiche, ero figlio di una cultura dadaista e freudiana. Non so bene cosa
sia successo, probabilmente pensando ad Alice è stato automatico evocare lo
Stregatto; il gatto poi è notoriamente animale sacro agli egizi che adoravano il
sole. |

Quando
ho scritto la prima strofa di "Alice" non sapevo da che parte
avrebbe tirato l'ultima. Però volevo fare una canzone su una persona
incoscienìe. Anche la scelta del nome non è una scelta a caso solo
perchè Alice suona bene, è un riferimento letterario anche
quello.
E
poi c'è l'episodio del "Cancro nel cappello" censurato dalla
Rai; mi hanno chiesto esplicitamente di cambiare quella parola. Loro mi
dissero: "se non la cambi, questa canzone noi non te la
trasmetteremo mai", quindi lo chiesero. Mi dissero che siccome la
canzone doveva andare in onda verso mezzogiorno, la gente che mangìava
non aveva voglia di sentir parlare di cancri. La parola cancro infatti
è una parola proibita, da noi non si usa. Fa paura, fa sgomento, ti
fanno cantare culo ma cancro no; è peggio della sifilide. In una
famiglia per bene non si dice. E la Rai, come tutti sanno, è una
famiglia per bene.
______________________
"...alla
fine "Alice" cominciai a non sopportarla più perché durante
le serate tutti me la chiedevano dall'inizio alla fine, come se fosse
l'unica canzone che avessi mai scritto... io invece pensavo che anche
tutte le altre fossero delle buone canzoni... e così a poco a poco
cominciai ad odiare il fatto che la gente voleva sentire
"Alice" solo perché l'aveva sentita un paio di volte alla
radio e questo era l'unico motivo per cui gli piaceva. Ecco, mi dava
fastidio questa grande forza che aveva la radio (o la televisione) nel
determinare i gusti della gente. Poi in realtà io credo che
"Alice" sia una bella canzone ma mi seccava passare per
"quello che cantava Alice". Oltretutto non era nemmeno una di
quelle canzoni che si dicono scritte di getto; avevo fatto la musica sei
mesi prima di riuscire a metterci le parole e questa cosa non mi
piaceva. Ancora adesso
credo che le canzoni non andrebbero scritte in
quel modo, salvo eccezioni. ...Anche adesso non è una canzone che
faccio volentieri nei concerti. Troverei assurdo rifarla come è nel
disco, ma non credo che possa sopportare altri arrangiamenti e allora
forse è giusto che se ne stia lì, dove chi vuole se la può andare a
sentire ...Credo che nacque in quel periodo questa storia
dell'"ermetismo". Io non l'ho mai capita questa storia, mi
sembra una forzatura critica un po' grossolana: se proprio dovessi dire
che "Alice" somiglia a qualcosa direi che somiglia a una
poesia Dada o a un quadro cubista."
.....Siamo
andati al bar e il tecnico del suono, che quindi aveva lavorato su tutto
il disco, per il bene del whiskey diceva: <<Ma perché devi
parlare così? Ma perché non mi devi far capire quello che stai
dicendo?>>, diceva: <<Ma chi è 'sto Cesare? Ma chi lo
conosce? Ma se io non ho studiato non so che è Cesare Pavese>>,
perché qualcuno gliel'aveva detto. <<Ma come faccio a
capirlo?>>. E Francesco diceva: <<Ma non è importante che
sia Cesare Pavese. Cesare Pavese lo è perché io l'ho presa da lì la
storia >>.
"Se non sei un po' strano non fai
Alice non lo sa. Nel '73 non c'entrava niente con quello che c'era:
Paoli, De André, Endrigo, che erano i miei riferimenti, quelli che mi
avevano fatto capire che le canzoni possono essere un veicolo non solo
di banalità".
"Sì, l'immagine di Alice che guarda i
gatti appartiene a Carroll e alle illustrazioni di John Tenniel: quella
bambina con gli occhi sgranati era stato il primo impatto visivo quando
da piccolo lessi il libro. La verità è che venivo da un periodo in cui
ero attratto da tutto ciò che nell'arte non seguiva un filo logico. Mi
ero innamorato degli scrittori dadaisti, Tristan Tzara, la scrittura
automatica, avevo letto Joyce, lo stream of consciousness, Freud e
l'interpretazione dei sogni".
"Sì, l'immagine di Alice che guarda i
gatti appartiene a Carroll e alle illustrazioni di John Tenniel: quella
bambina con gli occhi sgranati era stato il primo impatto visivo quando
da piccolo lessi il libro. La verità è che venivo da un periodo in cui
ero attratto da tutto ciò che nell'arte non seguiva un filo logico. Mi
ero innamorato degli scrittori dadaisti, Tristan Tzara, la scrittura
automatica, avevo letto Joyce, lo stream of consciousness, Freud e
l'interpretazione dei sogni".
"Non avevo nessuno che mi premesse,
nessuno si aspettava che vendessi dischi. Ero libero di fare tutti i
danni che volevo. E la canzone me la sono scritta esattamente come
pensavo si dovesse scrivere una canzone. Avevo già una musica su cui io
cantavo un testo finto inglese, una specie di grammelot, ci misi sopra
quello che avevo scritto... Quando la portai a Vincenzo Micocci, allora
direttore artistico della Rca, e al mio produttore Edoardo de Angelis,
piacque anche a loro".
"Il "Cesare perduto nella pioggia" è
Cesare Pavese. Avevo letto tutto di lui, e nella biografia c'è questo
episodio di quando una sera aspettò per una notte Costance Dowling,
donna bellissima, ballerina che lo illuse e poi lo lasciò. Alice per me
è una specie di sfinge che guarda il mondo senza nessi consequenziali.
Non è nemmeno chiaro se è lei la narratrice o io che scrivo. Mentre il
personaggio dello sposo ha qualcosa di sicuramente autobiografico. No,
non perché volessi sposarmi, ma fuggire. Una fuga che era probabilmente
dalla vita cui ero predestinato da studente universitario, fare
l'insegnante come mia madre o il bibliotecario come mio padre. Ma forse
fuggire anche dal mondo della musica per cui ero uno strano".
da Francesco De Gregori: “Ho
scritto canzoni strane. Adesso ve le spiego”
di ANNA BANDETTINI


Io
ero molto contento di andarci, cioè l'avevo chiesto io di andare al
"Disco per l'estate"; perché volevo andare per radio e il
"Disco per l'estate" sai come funziona, garantisce un certo
numero di passaggi radiofonici e rimasi molto male quando mi buttarono
fuori subito perchè speravo di andare alla finale a Saint Vincent; poi a
conti fatti sono felice di non esserci andato perchè mi è molto
convenuto. Comunque "Alice" fece più o meno quello che aveva
fatto "Roma Capoccia" con Venditti, cioè mi fece conoscere ad
un pubblico abbastanza vasto; cominciai a fare le serate, e durante le
serate mi accorsi che la gente non voleva solamente "Alice", ma
voleva sentire anche le altre canzoni del LP. Andai a vedere le vendite e
vidi che il LP aveva venduto 6.000 copie e il 45 giri 2.600, allora
cominciai a capire che la cosa girava bene, che l'interesse per me non era
legato al "Disco per l'estate", ma andava oltre.
|

Non
è facile spiegare come si scrive una canzone; in realtà non lo so
nemmeno io. È un prodotto artistico, e come tutti i prodotti artistici
nasce dall'ispirazione. L'ispirazione è misteriosa, chissà da dove
viene e perché viene... A volte viene perché qualcuno ti dice una
frase, ti racconta qualcosa, a volte perché hai letto un libro, hai
visto un film. Direi che nel mio caso alla base c'è questa mia
passione
dilettantesca per la storia contemporanea. Io ho interrotto i miei studi
universitari, ma sono stato affascinato dalle letture che ho svolto in
quel periodo, e poi gli sono andato appresso, continuando poi nella mia
vita successiva a leggere libri di storia o libri legati alla storia.
Per cui di base sicuramente c'è una mia predisposizione a interessarmi
di storia piuttosto che di geografia, ecco, altrimenti avrei scritto
canzoni geografiche. Però l'ispirazione in sé... che ti posso dire,
1940, che è una delle mie più antiche canzoni, che parla dell'entrata
in guerra dell'Italia, mi è venuta in mente perché mia madre mi
raccontò, forse nemmeno stimolata da me, il suo giorno, il suo 10
giugno del 1940. Mi raccontò dove era, lei stava aspettando l'autobus e
non capiva niente, come molti italiani dell'età di mia madre allora non
capivano niente di politica, di guerra, non sapevano a cosa sarebbero
andati incontro, pensavano che tutto sarebbe stato facile. Quindi,
questo racconto fatto dalla madre probabilmente può suscitare, toccare
le corde molli, l'animo di un artista e tradursi in canzone. CONOSCERE
IL PASSATO ATTRAVERSO LE CANZONI – DAL SITO UFFICIALE SONY)
1940
Era il primo disco di De Gregori, ed io ero uno studente
di liceo. Accanto al pezzo più accattivante, Alice non lo sa, mi colpì molto
questa canzone.
Da bambino, nella grande cucina di mia nonna in Corso S.
Giorgio, sopra i portici di Fumo, dove anche io vivevo in un altro appartamento
coi miei genitori, avevo distrattamente colto, nel tempo, qualche accenno al
periodo della guerra, attraverso i racconti di mio nonno, nostalgico uomo di
destra, di suo fratello, ex fascista militante e maresciallo in guerra, di mia
nonna, sfollata prima a Napoli e poi a Teramo. Racconti sempre un pò omertosi,
appena accennati, ma che bastavano ad accendere la mia fantasia e curiosità,
ammantati di un velo di mistero e di una patina di ostentato eroismo...
Gli anni della scuola, poi, hanno reso ragione, nel bene e
nel male, a quelle vicende, dentro di me, acquistando la giusta collocazione
storica e sociale nel passaggio da racconti familiari a realtà documentata.
Questa canzone, 1940, mi fulminò: mi restituì, in un
attimo, tutto il processo, l'intero percorso che io avevo compiuto, nella mia
mente, in anni di evoluzione. Mi confermò, soprattutto, il penoso divario che
avevo intuito esistere tra il generale entusiasmo, fra la gente, per l'entrata
in guerra, e le miserie e gli orrori che la stessa avrebbe prodotto, lasciando
macerie nelle cose e nelle persone. Quello che mi colpiva, nella canzone, era il
contrasto bruciante tra la spensieratezza goliardica e guascone dei popoli che
si accingevano ad entrare in guerra e l'amaro destino finale, come un gregge di
pecore che procede ignaro verso il burrone che li inghiottirà. È il bello e il
terribile della Storia, poter vedere, a volo d'uccello, col senno del poi, il
prima e il dopo...
E allora mi colpì l'immagine della madre di De Gregori,
che avrebbe potuto essere mia madre dodicenne, che aspetta l'autobus nel mattino
luminoso; l'eccitazione della gente per strada, che legge i giornali e parla
dell'uomo coi baffi (Hitler) che ha invaso Parigi, che a breve cadrà. C'è un
generale, orrendo ottimismo, le persone ridono e credono, ignare, in un futuro
migliore, e aspettano con ansia di partire per il fronte, per fare la loro
parte. I soldati invasori fraternizzano con le donne del posto, quasi tutto
fosse un bel gioco, mentre in realtà stanno entrando nella bocca del mostro; con
una struggente metafora familiare, De Gregori li descrive ormai lontani,
fisicamente ed emotivamente, dai cortili che li hanno visti crescere,
dall'infanzia, dalla pace, proiettati ad appropriarsi di terre e vite altrui.
La canzone si chiude con un'altra fortissima metafora: i
soldati attraversano, cantando, il ponte che faranno saltare, mentre il fiume,
cittadino di sempre del paese, simbolo di eternità, li guarda passare, e sembra
di capire che lui già sa come andrà a finire...
A mio parere, la grande lezione della canzone è quella di
porre l'accento sulla vastità del consenso, totalmente acritico, che ebbe
l'entrata in guerra dell'Italia da parte della gente comune, senza il quale,
forse, le cose sarebbero andate diversamente. E l'invito, conseguente, ad
acquisire una coscienza critica nei confronti della politica e, più in generale,
delle cose del mondo, perché, come dice lo stesso De Gregori, la Storia siamo
noi, nessuno si senta escluso.
Mario Basile
https://www.facebook.com/mario.basile.7568596/posts/494189637579969


Anche
in questa seconda fase il Dott. Micocci non badò a spese. Michele
Mondella diede il meglio di se stesso e stese un piano promozionale
veramente importante. Innanzi tutto fu deciso di proporre Francesco al
Disco per l'Estate con il brano Alice. Qualcuno mi
disse che Francesco
partecipò a questa manifestazione al posto di Rosalino Cellamare che,
reduce dal successo de Il Gigante e la
bambina,
aveva realizzato un bel
long-playing con belle canzoni sul tema dell'infanzia. Mi dissero anche
che ciò irritò moltissimo Lucio Dalla che a quel tempo cercava di
aiutare in tutti i modi Rosalino a emergere. Si dice che formulò le sue
proteste in modo tangibile ed esplicito, ma noi, persone adulte,
certamente non diamo alcun peso ai pettegolezzi, e quindi abbandoniamo
prontamente l'argomento.
L'uscita del disco e la partecipazione di
Francesco al Disco per l'Estate furono annunciate in un incontro con la
stampa curato da Michele in tutti i particolari. Il Dott. Micocci mi
disse che aveva intenzione di regalare a tutti i giornalisti una
bambolina tipo Barbie vestita solo di un nastro intorno ai fianchi, per
rappresentare la signora Aquilone esattamente come nel bel disegno di
Alvise Sacchi nella busta intema, e realizzarla in modo da poter essere
inserita sul pemo centrale del giradischi onde danzare soavemente
durante l'ascolto delle canzoni di Francesco. Non so se questo piano
efferato sia stato portato a termine perché non partecipai a quella
presentazione, ma mi auguro vivamente di no. Madrina della
manifestazione fu una giovane ed esordiente attrice, Pia Giancaro.
Ricordo di avere visto da qualche parte una fotografia del rinfresco
offerto in quell'occasione: Francesco con i pugni serrati, lo sguardo
torvo seduto a fianco dell'attrice illuminata dai propri sorrisi. Sembra
anche che fu in quell'occasione che Francesco diede avvio alla sua ormai
mitica ruvidità nei confronti dei giornalisti. Per la scuderia di
Micocci prendevano parte al
Disco per l'Estate anche i Vianella.
Qualcuno, desiderando esprimere un augurio sincero e realistico disse:
"Auguro ai Vianella di arrivare primi e a De Gregori, di arrivare
almeno ultimo tra i primi". Al che Francesco rispose:
"Veramente io mi auguro di arrivare primo tra i primi e che i
Vianella arrivino ultimi tra gli ultimi".
|


Buonanotte
fratello, che riprendeva e trasfigurava il contenuto di alcune nostre
discussioni nelle quali Francesco mi metteva in guardia circa il mio
atteggiamento verso il prossimo. Sosteneva infatti che dietro la mia
estrema disponibilità non vi fosse una reale capacità di partecipare
alla vita interiore dei miei amici, e che pertanto in caso di necessità
non ero in grado di fornire un vero aiuto. Scherzosamente mi diceva che se
fossi stato un farmaco sarei stato un anestetico e non un lassativo.
(Giorgio
Lo Cascio)

Proprio
in questo periodo Comencini stava girando il film Pinocchio, con attori
magnifici, un Manfredi in splendida forma e di grande umanità, Franchi e
Ingrassia la cui bravura e il cui spessore ancora erano ignoti a tutti a
causa del genere di film che li avevano portati al successo e molti altri,
per uno dei prodotti
più belli che mamma RAI avesse messo in cantiere. Manfredi era in
contatto con il Dott. Micocci in quanto aveva inciso con discreto successo
il famoso brano di Petrolini Tanto pe' cantà, così chiese se ci fosse
stata una canzone da inserire nella colonna dello sceneggiato. Micocci ne
parlò con Francesco che in un lampo scrisse una canzoncina deliziosa che
fu subito accettata con entusiasmo. Francesco inoltre accettò di
rinunciare alla patemità di quel brano anche dal punto di vista dei
diritti, e ne fece dono al simpatico attore.
Il tema Pinocchio e' quello piu' noto, suonato spesso in trasmissioni tv e
ripreso qualche anno fa anche in versione disco. Il tema Geppetto e' il
mio preferito, e fu
anche la musica della canzone "La storia di Pinocchio", dal
bellissimo testo scritto e cantato dallo stesso Nino Manfredi. La canzone
di Pinocchio e' la sigla finale dell'ultima puntata e fu incisa su 45
giri.
Eccone il testo:
Com'e' triste l'uomo solo / che si guarda nello specchio / ogni giorno un
po' piu' vecchio / che non sa con chi parlare / passa giorno dopo giorno /
senza avere senza dare / Quando il sole va a dormire / ed il cielo si fa
scuro / resta solo una candela / ed un'ombra sopra il muro / Per non
essere piu' solo / mi son fatto un burattino / per avere l'illusione /
d'esser padre di un bambino / che mi tenga compagnia / senza darmi
grattacapi / che non usi la bugia / come pane quotidiano / e che adesso
che son vecchio / possa darmi anche una mano./ Com'e' stato lo sapete / e'
la storia di Pinocchio / naso lungo e capo tondo / che va in giro per il
mondo / e pretende di pensare / e su tutto ragionare. / Chi mi dice di
ascoltarlo / chi mi dice di punirlo / ma non so che cosa fare / non e'
facile educare / lui non vuole andare a scuola / lui non vuol lavorare /
debbo dirvi in confidenza / che com'e' non mi dispiace / m'e' riusciuto
proprio bene / piu' lo vedo e piu' mi piace.
|

Dal FOLKSTUDIO a FOLKEST
Edoardo De Angelis intervista
Francesco De Gregori
Febbraio 2015.
Tra i protagonisti della canzone
d’autore, della musica e della cultura italiana, Francesco De Gregori è
probabilmente quello che ha saputo individuare e seguire un percorso
personale e coerente all’insegna dell’equilibrio tra passione e
intelligenza, edificando e consolidando un saldo rapporto con diverse
generazioni di pubblico. Come lui stesso conferma in una lunga
intervista recentemente concessa al quotidiano “la Repubblica”, si è
saggiamente tenuto a distanza dagli effetti distruttivi di certa
immagine televisiva, centellinando i media, e lasciando sempre che
fossero le sue canzoni a parlare per lui. Così, a volte, si ha
l’impressione, o il desiderio, di scoprire in ogni suo brano qualche
tratto autobiografico.
- Buongiorno Francesco, fino a che
punto è così?
… Veramente c’è qualcosa di
autobiografico, sempre, in quello che si scrive. Credo che anche nei
Promessi Sposi ci sia molto della vita personale di Manzoni anche se la
storia in sé è una ” fiction”. Intendo dire che quello che appartiene
alle tue vicende personali confluisce sempre, magari anche
involontariamente, dentro quello che scrivi. Poi ci sono alcune canzoni
che ho scritto dove si può leggere chiaramente un pezzo di vita vissuta,
persone esistite, fatti avvenuti. Ma se non ci fosse anche qui
un’invenzione, qualcosa che sposta la canzone dalla cronaca individuale
a qualcosa di più interessante su un piano emotivo di tutti, qualsiasi
canzone avrebbe poco senso. Per essere chiari: se ti lascia la fidanzata
puoi scriverci una canzone sopra, ma solo se poi chi la ascolterà
proverà le tue stesse sensazioni di smarrimento, di gelosia, di dolore o
di quello che ti pare, solo in questo caso quella canzone è una buona
canzone, qualcosa che andava la pena di scrivere. Ti faccio anche un
altro esempio a proposito di biografia in canzone: capita che noi due
scriviamo una canzone insieme, “La Casa di Hilde”, partendo da un tuo
racconto su un episodio d’infanzia capitato durante una gita con tuo
padre. Da lì partiamo, ma poi la canzone si fa tutto un giro per conto
suo, cominciamo ad inventare diamanti, doganieri, capre etc etc… Quanto
c’è di autobiografico e quanto di invenzione? Boh.
Nella stessa intervista sostieni
che con il successo di Rimmel ti eri già assicurato una posizione nella
storia della musica italiana, e che quindi, con misura, non hai voluto
premere sull’acceleratore, preferendo pubblicare un album meno
“immediato”, come Bufalo Bill, per non dare punti di riferimento troppo
precisi. Chi ti ha ascoltato, però, li ha trovati lo stesso,
costantemente, lungo tutto l’arco della tua carriera, fino a oggi. A
guardare indietro negli anni, ci sono canzoni che sono sulla strada e
sulla bocca di tutti, e costituiscono ben più di un punto di riferimento
per la nostra cultura, la nostra società, la nostra storia: Alice,
Rimmel, Titanic, Generale, La donna cannone, La storia… Quali altre, tra
le più recenti, metteresti per completare il paniere di questi capitoli
eccellenti?
Ormai
mi sono rassegnato al fatto che la gente consideri la parte migliore del
mio lavoro quelle dei miei primi vent’anni (Rimmel, Alice, La donna
Cannone, Titanic, Viva l’Italia…) ma non credo che sia vero. Ho scritto
un sacco di canzoni buone, anche di recente. E non tutte quelle del
periodo “d’oro” erano dei capolavori. Degli ultimi tempi (ultimi si fa
per dire) mi piacciono molto Compagni di viaggio, Bellamore, Caldo e
scuro, Celestino, (anzi mi piace quasi tutto di quel disco). Poi anche
dopo… L’Infinito, Finestre Rotte,Cardiologia. E tutto il disco che si
intitola “Sulla strada”, che è l’ultimo inedito che è uscito.
-
A me sembra che ti abbia sempre divertito cambiare faccia alla musica
delle tue canzoni. Ora con questo corposo e snello VIVAVOCE hai
realizzato un atto d’amore nei confronti del pubblico e di te stesso.
Quando, come e perché è nata l’idea?
Vivavoce
l’ho voluto anche per questo, per dare un’altra occasione al mio
pubblico di andarsele a sentire e magari scoprirle per la prima volta.
Sai, magari qualcuno se l’è comprato solo perché dentro c’era Alice con
Ligabue e poi ha detto “beh, però non è male Un Guanto, da dove esce
fuori?”. Comunque l’ho fatto anche perché volevo continuare a fare
musica e non volevo darci troppo dentro con i concerti, così ho passato
un sacco di tempo con la chitarra in mano comunque.
Ho ascoltato con piacere e interesse tutto l’album, felice di scoprire
il nuovo vestito di canzoni che conoscevo, che riconosco. Trovo il
lavoro ben fatto, semplice, molto diretto, come acqua limpida e fresca
di torrente, vicino al live. Apprezzo poi tutta una serie di finezze,
tra le quali la citazione, delicata e sentimentale, di Com’è profondo il
mare nel finale di Santa Lucia. Non ti perdono invece l’esclusione di
alcune canzoni, Due zingari, ad esempio. Come si è sviluppata la scelta?
Il
criterio con cui ho scelto i pezzi rispondeva un po’ a questa voglia di
metterci dentro canzoni più recenti e magari non troppo famose, ma è
stato anche dettato dal gusto che provavamo mentre le suonavamo per
registrarle. Quando dovevamo faticare troppo per farle venire bene le
mollavamo. Onestamente a “Due Zingari” non ci abbiamo pensato, ma per
esempio “Rimmel” abbiamo provato, ma non ci veniva fuori niente. Sarà
per la prossima volta!
-
Dal FOLKSTUDIO a FOLKEST, da Caterina Bueno al grande pubblico, passando
e ripassando per le collaborazioni con Giovanna Marini e con Ambrogio
Sparagna… Qual è, a tuo parere, il rapporto tra canzone popolare e
canzone d’autore?
Beh,
questo del rapporto fra folk e musica d’autore (ma io preferirei
chiamarla “pop” così tagliamo corto) è un discorso doloroso qui da noi.
Mentre in altri Paesi (penso all’America, ma anche alla Francia, per non
parlare dell’Inghilterra o della Spagna) vedi che c’e un certo prelievo
da parte della musica pop nei confronti del patrimonio della musica
tradizionale e nessuno ci trova niente di strano, qui in Italia sembrano
essere mondi separati. Mi piace pensare che tante melodie e tanti testi
della tradizione sarebbero perfetti per scriverci delle canzoni nuove,
ma ci vorrebbe uno veramente coraggioso, lo accuserebbero di copiare.
Invece andrebbe fatto. Per come stiamo messi il folk rischia di finire
in una nicchia accademica, roba da studiosi e basta. Roba da studiare
invece che da suonare. E questo nonostante ci siano tanti gruppi di
musicisti giovani, che si rifanno a questo. Ma non fanno una vita
facile. Quando con Giovanna Marini abbiamo fatto “Il Fischio del Vapore”
un sacco di gente – intellettuali, appunto, musicologi, professori
universitari – si è incazzata perché avevamo osato trattare le “loro”
canzoni con le chitarre elettriche. Che ci vuoi fare?
-
Ammesso che ci sia distinzione, come definiresti la tua posizione
personale?
Io
al Folkstudio li avevo conosciuti in carne e ossa i grandi interpreti
della musica popolare italiana, Giovanna a parte, e quindi mi sembrava
così normale che quello che portavano fosse utile anche a me che facevo
il cantautore. E prendevo, hai voglia se prendevo. Anche Antonello… Ma
tu te la ricordi Tapùm di Antonello? O anche “A Cristo”? Anche Roma
Capoccia è una canzone popolare romana, a tutti gli effetti. Gran belle
cose. Poi magari ci è piaciuto anche venirne fuori… col blues, Dylan, il
rock. Va bene, ma quella roba che sentivamo da Matteo Salvatore o da
Rosa Balistreri quanto ci è servita? Lo voglio dire a testa alta. E
tutto il lavoro di Ivan Della Mea? L’uso che faceva del dialetto
milanese nelle sue ballate? In certi casi, giustamente, era difficile
trovare un confine fra le canzoni popolari e quelle che alcuni andavano
scrivendo.
-
La stessa domanda, riferita a Bob Dylan e Leonard Cohen.
A
proposito di questo viene fuori per forza il nome di Dylan, l’uomo che
ha preso tutto quello che si poteva prendere dalla musica tradizionale
americana e senza nessuno scrupolo l’ha fatta totalmente sua. Assai più
di Cohen o di Springsteen. Ma anche loro sono figli consapevoli della
musica che li ha preceduti e che è un giacimento infinito di storia e di
storie, e di melodie su cui alla fine si finisce sempre per ritornare,
per girarci intorno. Tutto viene usato, la tradizione non è uno scavo
archeologico ma una fonte di energia rinnovabile.
-
Così come alcuni altri significativi artisti (penso a Fabrizio De Andrè,
Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Francesco Guccini …), ma con la tua
personale letteratura, hai scosso con le canzoni la coscienza civile, la
memoria storica, hai contribuito alla consapevolezza. Penso, tra le
altre, a 1940, Viva l’Italia, Bambini venite parvulos, Scacchi e
tarocchi, Il cuoco di Salò… Versi quali “legalizzare la mafia /sarà la
regola del duemila” li definiresti più etici o profetici?
Profetiche
certe canzoni? Certamente no, se potessi predire il futuro farei altre
cose. È solo che gli artisti si collegano al presente con un altro
occhio, vedono luccicare delle cose che altri non vedono. Gli artisti
“guardano” in profondità, non in avanti. Ma sicuramente dalla profondità
del loro sguardo vengono fuori delle cose che ad altri risultano
invisibili. E allora magari puoi trovare nel lavoro degli artisti una
visione che sembra profetica semplicemente perché è in fin dei conti più
acuta di quella di un sociologo o di un giornalista o di un politico.
Quanto all’etica è una parola pericolosa. Odio i contenuti normativi
nell’arte, non sopporterei di aver scritto una canzone impegnata, non
credo che le canzoni e l’arte in generale abbiano a che fare con la
bontà.
-
Infine, Francesco, ti confesso che molte tue canzoni, sia pure ascoltate
e riascoltate, imparate e digerite, tornate ora all’attenzione con
VIVAVOCE, toccano ancora corde profonde, tra brivido e commozione. Vedi,
ad esempio, Il canto delle sirene. Quali tra le tue canzoni sortiscono
uguale effetto anche sull’autore?
Certo
che mi emoziono quando sento o canto alcune cose. È per questo che si
scrivono le canzoni. A parte alcune delle mie ti posso dire che quasi
sempre quando sento “Sfiorisci bel fiore” di Jannacci o “Bella ciao ”
cantata da Giovanna Daffini o da Giovanna Marini nella versione delle
mondine la mia risposta è emotiva, antintellettuale. Si muove qualcosa
che ha a che fare con il sentimento puro, come certi suoni, quello della
zampogna o, paradossalmente, dell’organo Hammond.
-
Ti ringrazio, e dopo l’onda lunga di questa raccolta, e un nuovo giro
d’Italia in tour, attendo qualche nuova canzone che mi stupisca e mi
faccia pensare ancora a quanto è bravo il mio amico. Mi accorgo adesso
che non ti ho proposto nemmeno una domanda cattiva, o imbarazzante …
Facciamo come da Marzullo? Vuoi suggerirmela tu?
…
Beh, c’è stato un periodo in cui Marzullo mi invitava regolarmente ad
andare da lui ma non ci sono mai andato proprio perché ero terrorizzato
da questa domanda. Risparmiamocela!
http://www.folkbulletin.com/edoardo-de-angelis-intervista-francesco-de-gregori-dal-folkstudio-a-folkest/

La riscoperta di Alice non lo sa
Francesco De Gregori s’annuncia così, con una
canzone abitata da personaggi abbozzati, ombre dietro alle quali si nascondono
chissà quali storie, frasi ad affetto aperte a ogni interpretazione, immagini
potenti e nitide, eppure enigmatiche. Il brano s’intitola “Alice” e nel 1973
apre il primo album del cantautore romano “Alice non lo sa”. La scrittura
poetica, immaginifica e allegorica di certo folk americano entra nel linguaggio
cantautorale italiano, e spiazza un po’ tutti. Liberate dalla necessità di
trasmettere un solo significato, di fornire una risposta univoca, le canzoni
rinnovano ad ogni ascolto le proprie domande come quadri astratti di cui è
facile catturare il sentimento sebbene ne sfugga la logica.
“Alice” esce nel 1973, quando Francesco De
Gregori sta ancora cercando la propria strada dopo avere pubblicato l’anno
precedente il 33 giri “Theorius campus” in coppia con Antonello Venditti.
Bazzica il Folkstudio di Roma, ascolta Bob Dylan e Leonard Cohen, cerca di
portare quel modo di scrivere canzoni in Italia. Intanto stringe amicizia con
Fabrizio De André, scrive per Amedeo Minghi, traduce canzoni americane, per poi
essere messo sotto contratto dall’etichetta discografica It.
Il frutto più
limpido della sua ricerca è “Alice”. De Gregori la abbozza in finto inglese, per
poi sostituire il testo con frasi frutto di scrittura automatica. Ad Anna Bandettini di Repubblica dirà che in quel periodo veniva “da un periodo in cui
ero attratto da tutto ciò che nell’arte non seguiva un filo logico. Mi ero
innamorato degli scrittori dadaisti, Tristan Tzara, la scrittura automatica,
avevo letto Joyce, lo stream of consciousness, Freud e l’interpretazione dei
sogni”. Non c’è una storia, c’è la fotografia di un momento vissuto da
personaggi senza legame apparente fra di loro. Eppure, grazie al potere della
musica, la canzone tutta e certi versi in particolare s’imprimono
nell’immaginario collettivo: “Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole”,
“Tutti pensarono dietro ai cappelli lo sposo è impazzito oppure ha bevuto”, “Ma
la sposa aspetta un figlio e lui lo sa”.
Rincorrere riferimenti e citazioni può essere
utile, ma non risolve l’enigma della canzone: la protagonista inconsapevole del
mondo che la circonda prende il nome da “Alice nel paese delle meraviglie” di
Lewis Carroll; il Cesare perduto nella pioggia è Cesare Pavese che aveva
effettivamente raccontato d’avere aspettato per lunghe ore sotto la pioggia
l’attrice e ballerina Constance Dowling di cui era invaghito; Lili Marlene è la
protagonista dell’omonima canzone d’inizio Novecento.

Più difficile dire chi
siano Irene che si guarda allo specchio o il mendicante arabo con “un cancro nel
cappello”, che diventa “qualcosa nel cappello” per evitare la censura della Rai.
Dietro al personaggio dello sposo c’è un po’ di De Gregori, come ha raccontato
lui stesso a Repubblica: “Non perché volessi sposarmi, ma fuggire. Una fuga che
era probabilmente dalla vita cui ero predestinato da studente universitario,
fare l’insegnante come mia madre o il bibliotecario come mio padre. Ma forse
fuggire anche dal mondo della musica per cui ero uno strano”.
La musica di “Alice” è suonata con tocco
leggero, in una miscela di strumenti acustici e archi diretti dal Maestro Luigi
Zito. In un’intervista con Chitarre, De Gregori attribuirà l’approccio musicale
della canzone alla timidezza e al “ritegno da novizio che avevo allora”. Eppure
la canzone diventa talmente significativa da provare una reazione di rigetto: il
cantautore reagisce alle critiche circa il carattere incomprendibile del pezzo
scrivendo “Niente da capire” e con Fabrizio De André “Oceano” in risposta al
figlio di quest’ultimo, Cristiano, che gli chiede di risolvere il rebus di
“Alice”. La canzone contribuisce a creare la fama di De Gregori cantautore
ermetico. Nel suo libro, l’amico del Folkstudio Giorgio Lo Cascio ricorda le
discussioni al bar tra il fonico e il cantautore: “Ma chi è ‘sto Cesare? Ma chi
lo conosce! Ma nun poi parlà come magni?”. De Gregori parlerà dell’accusa
d’essere ermetico a Paolo Vites in un’intervista inclusa nelle ristampe del 2009
della collana Contemporanea: “È una critica che ho sempre trovato pretestuosa.
Chi se l’era inventata fraintendeva anche il significato della parola
‘ermetico’: volevano dire che ero incomprensibile, ma in realtà ermetico
vorrebbe dire una cosa un po’ diversa... comunque era una critica che non ho mai
accettato, anche perché il fatto che le mie canzoni piacessero e si
cominciassero a sentire in giro, dimostrava che la gente le capiva, eccome”.
Scritto in parte durante una vacanza in
Grecia, arrangiato con Edoardo De Angelis, che è co-autore dell’unica canzone
non interamente composta da De Gregori, “La casa di Hilde”, “Alice non lo sa” è
per certi versi ancora acerbo rispetto alle opere che verranno, e in futuro il
musicista imparerà ad usare in modo più espressivo la voce, ma già contiene
buona parte delle caratteristiche del migliore De Gregori. L’amore per Leonard
Cohen suggerisce i nomi di Marianna (da “So long, Marianne”) e Suzanne contenuti
in “Marianna al bivio”, che contiene riferimenti anche all’ex produttore Lilli
Greco e ad Antonello Venditti, “il poeta che suonava il pianoforte”. Due pezzi,
“I musicanti” e “Suonatori di flauto”, raccontano il mestiere di musicista, un
argomento cui De Gregori tornerà in futuro, mentre “La casa di Hilde” e “Il
ragazzo” testimoniano l’interesse per i racconti d’infanzia e giovinezza. La
prima si basa su un ricordo di De Angelis trasfigurato con toni da romanzo
d’avventura, la seconda è il racconto della malintesa diversità di chi deve
ancora trovare un posto nel mondo, e secondo l’autore deve qualcosa a Lucio
Battisti.
Nel gennaio 1973 gli accordi Parigi pongono
fine alla guerra in Vietnam che De Gregori evoca in “Saigon”, dove la città
diventa simbolo di libertà e il sogno della pace è raccontato attraverso i
pensieri di una donna. Dirà il cantautore a Vites che quella “fu una guerra
idealizzata e la prima vista in televisione. Tutti facevamo un grande uso della
parola rivoluzione e sembrava facilissimo dividere il mondo fra buoni e cattivi.
La fantasia stava andando al potere. E tutto il disco di Alice è immerso nello
spirito di quel tempo, un tempo in cui forse ci immaginammo migliori di quello
che eravamo”. C’è la guerra anche in “1940” che narra l’Italia del 10 giugno
attraverso la prospettiva della madre del cantautore che aspetta l’autobus e
intanto la gente legge sui giornali che l’“uomo coi baffi” (Hitler) è arrivato a
Parigi. È una fotografia dell’ingenuità dei molti che non avevano idea degli
orrori che aspettavano dietro l’angolo.
“Alice non lo sa” esce nell’aprile 1973.
Francesco De Gregori non sarà tenero col disco e in un giudizio del 1980
riportato nella bio-discografia di Giommaria Monti parla di ingenuità musicali:
“Le ritmiche suonate in maniera accademica, non c’è nessuna invenzione né il
minimo di fantasia nella realizzazione di queste cose” poiché “gli strumenti si
limitano ad accompagnarmi, sono un sottofondo”. Suonato da un bel cast di
musicisti, fra cui i Blue Morning del chitarrista Roberto Ciotti, “Alice non lo
sa” vende 6.000 copie e arriva al ventinovesimo posto in classifica in un anno
in cui, fra gli italiani, spopolano Lucio Battisti con i due album “Il mio canto
libero” e “Il nostro caro angelo”, la Patty Pravo di “Pazza idea”, i Pooh di
“Parsifal”, l’Ornella Vanoni di “Dettagli”, e sul fronte dei cantautori il
Baglioni di “Questo piccolo grande amore” e il De André di “Storia di un
impiegato”. In compenso, il 45 giri di “Alice” è fra i 100 più venduti nel corso
del 1973. La canzone partecipa persino alla manifestazione Un disco per
l’estate. “Mi divertiva questo fatto”, dice il cantautore, citato nel libro “Mi
puoi leggere fino a tardi” di Enrico Deregibus, “che la gente avrebbe spento la
radio probabilmente, avrebbe detto: chi è questo stronzo?”. E così va: il primo
capolavoro di Francesco De Gregori si classifica in ultima posizione.
http://www.rockol.it/news-653928/francesco-de-gregori-alice-non-lo-sa-recensione

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Negli
anni mi hanno chiesto spesso di spiegare qualcosa di questa canzone, ma io non
sono mai riuscito a dire nulla di più del fatto che l'Alice di cui si parla è
vagamente ispirata alla protagonista del romanzo 'Alice nel paese delle
meraviglie', il resto non si può spiegare. Un anno dopo scrissi una canzone
chiamata Niente da capire proprio per dire che non si può sempre pretendere di
trovare una soluzione, che anche una canzone non è un'espressione matematica
che deve dare per forza un risultato. d'altra parte mi sembrava naturale che
dovesse essere così, che anche le canzoni potessero essere come i quadri di
Picasso o i film di Fellini, apparentemente prive di grammatica e indipendenti
da ogni analisi logica.
di Alice scrissi la musica molto tempo prima delle parole. E' una cosa per me
più unica che rara. Avevo inciso la melodia su un registratore casalingo,
cantando in finto inglese un testo tutto da inventare. E per dei mesi ogni tanto
facevo girare il nastro aspettando che mi venisse qualche idea. Alla fine
vennero fuori queste parole, mi lasciai trasportare da questa specie di
scrittura automatica ... era una cosa abbastanza nuova per le canzoni italiane e
anche rispetto alle cose che avevo scritto prima: qui sembra mancare
completamente qualsiasi accenno a una storia compiuta, le immagini sono del
tutto slegate una dall' altra, l'ascoltatore deve stare al gioco per godersi la
canzone, lasciarsi prendere senza farsi troppe domande, e allora tutto
funziona". La canzone, che da allora entrata nel novero dei classici della
canzone d'autore moderna, venne curiosamente mandata da Micocci al Disco per
l'estate, una manifestazione canora che andava per la maggiore in quegli anni.
Micocci mi propose di partecipare e io accettai. il Disco per l'estate prevedeva
una gara, ma soprattutto garantiva una serie di passaggi radiofonici che
aiutarono molto la canzone. Alla gara arrivai ultimo ma Alice era diventata un
successo. Incredibilmente, direi.
Dicevano
che ero ermetico. E' una critica che ho sempre trovato pretestuosa. Chi se l'era
inventata fraintendeva anche il significato della parola 'ermetico': volevano
dire che ero incomprensibile, ma in realtà ermetico vorrebbe dire una cosa un
po' diversa ... comunque era una critica che non ho mai accettato, anche perché
il fatto che le mie canzoni piacessero e si cominciassero a sentire in giro,
dimostrava che la gente le capiva, eccome.
Certo, dietro il testo di Alice ci sono tante cose che in quegli anni mi avevano
colpito: letture disordinate e compulsive, film, canzoni. D'altra parte, avevo
quell'età in cui tutto quello che vedi in giro lascia il segno. Lo stream of
consciousness dell'Ulisse di Joyce, le libere associazioni dadaiste, film come
Otto e mezzo o Blow Up, l'America di Kerouac e quella di Andy Warol. Tutto
quello che mi colpiva nella letteratura, nell' arte astratta, nel cinema poteva
diventare materiale per canzoni. Stavo cercando un mio stile e tutto tornava
utile. Certe critiche nascevano da chi non accettava che quello che avveniva
nelle altre forme artistiche potesse avvenire anche in una canzone, come se le
cose che scrivevo fossero un attentato - o forse magari lo erano - alle forme
consolidate e un po' ossidate del canzoniere tradizionale italiano. Comunque io
sentivo di avere il pubblico dalla mia parte, e questa consapevolezza mi ha
sempre aiutato nei momenti difficili del mio lavoro.
Tratto da
"Contemporanea" di Paolo Vites - allegato al Corriere della Sera
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|
.jpg)
La
canzone deve qualcosa a un certo Lucio Battisti. E' il tentativo di fare una
canzone in qualche modo orecchiabile, più delle altre. E' un pezzo
autobiografico solo fino a un certo punto, non si deve pensare che ci sia
autobiografia in tutto quello che uno scrive ... si usa anche quella, ma si
mescola tutto con cose viste o ascoltate che non c'entrano niente con te, le
vite degli altri, le loro storie o quuelle che magari ti immagini siano
importanti come la tua".
Tratto da
"Contemporanea" di Paolo Vites - allegato al Corriere della Sera
|



Sono
canzoni che definirei tardo adolescenziali, le ho rimosse dalla mia mente
e dal mio repertorio non per un caso, ma perché ci vedo una scrittura
ormai superata, nel testo e anche nella parte musicale. Oggi vedo quelle
canzoni un po' come degli esercizi di stile, che magari possono anche aver
fatto nascere buone cose, perché no .... non era sicuramente un'accusa,
quelle dell'ermetismo, dettata da un modo di "leggere" le
canzoni legato a preconcetti formali e culturali ormai datati e che mal si
adattavano ai nuovi cantautori.
Tratto da
"Contemporanea" di Paolo Vites - allegato al Corriere della Sera |

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Una
volta avevo ascoltato in una discoteca una canzone che mi era rimasta in
testa, mi era piaciuta tantissimo, ed era "Alice" di Francesco
De Gregori. Nello stesso tempo mi era rimasta in testa una domanda: ma
perché Alice guarda i gatti e non può guardare quel lampione là o non
può guardare qualsiasi altra cosa, un sasso piuttosto che un cespuglio,
un albero? E volevo chiederglielo, però non sapevo come, non lo
conoscevo e avevo questa domanda da fargli... L'estate successiva scopro
che sta iniziando a lavorare con mio padre ad un album che era
"Volume ottavo". Figurati, impazzisco, vado in Sardegna e me
lo trovo lì, a casa. In pigiama. Che lavora con mio padre, seduto sul
mio divano, con la chitarra, giovane, con la barba rossa, un po'
fricchettone, era un grande e lo è tuttora, è una persona che stimo
moltissimo, non soltanto a livello artistico, ma anche umano... E allora
io prendo coraggio e vado da lui. Questo è il figlio di Fabrizio,
Cristiano; piacere Francesco. Comincio alla larga, poi piano piano mi
convinco e un giorno: Francesco, perché Alice guarda i gatti? Lui mi
guarda con un occhio aperto e l'altro chiuso... Non mi risponde. E non
mi ha mai risposto. Anzi mi ha risposto, però in un modo abbastanza
inconsueto: cioè scrivendo una canzone, con mio padre. Si chiama
"Oceano", e devo dire che io sono orgoglioso di questa canzone
perché è stata dedicata a me. E' la risposta di perché Alice guarda i
gatti. Al che non mi sono più sognato di fargli domande di questo
genere.
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Edoardo
fu molto importante, intanto perché aprì una porta. Nel senso che senza di lui
il disco non sarebbe proprio stato registrato. Lui invece riuscì a portarmi in
sala di registrazione con i costi che questo comportava facendo uso di
insospettate capacità diplomatiche oltre che artistiche. Del resto aveva una
certa esperienza di studio, aveva
fatto un disco di successo e Vincenzo Micocci
si fidava di lui. Insomma, anche se aveva solo pochi anni più di me si era già
fatto le ossa ... conosceva un po' di trucchi, un po' di cose tecniche di sala
di registrazione. A Edoardo piaceva molto il mio modo di scrivere e cantare,
spese il suo credito con molta generosità e riuscì a farmi entrare in quei
binari su cui doveva camminare uno come me per poter mettere nero su bianco una
canzone. Per quel che riguarda gli arrangiamenti, nella confezione sonora del
disco non so dire quanto ci fosse di suo e
quanto di mio, credo che lui stesse
parecchio a sentire quello che gli dicevo e del resto andavamo sostanzialmente
d'accordo, ma la verità è che senza di lui 'Alice' non sarebbe mai uscito. Non
credere fosse facile per uno che non ha mai messo piede in sala di registrazione
tradurre la canzone in qualche cosa di compatibile con un nastro".
C'era però anche una certa dose di ingenuità: basti pensare a
quell'incredibile parte di batteria nel brano 1940: "certo risentire adesso
certe cose ... una strana impressione la fa. Sicuramente certe scelte sonore di
allora oggi sono invecchiate e vanno come dire ... storicizzate. Ma quello
comunque era un modo di suonare la batteria che andava molto in voga allora,
puoi ritrovarlo in molti dischi di quel periodo. Magari tornerà a essere di
moda fra un po'. Sicuramente Edoardo e soprattutto io nel fare gli arrangiamenti
pagavamo un prezzo all'entusiasmo, qua e là forzammo un po' la mano. Però alla
fine portammo a casa un disco che a risentirlo oggi sta ancora in piedi".
Tratto da
"Contemporanea" di Paolo Vites - allegato al Corriere della Sera
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La scrissi per Edoardo De Angelis perché una sera a cena mi
raccontò di questa gita in montagna che aveva fatto con suo padre ed è
esattamente come dice la canzone, tranne il fatto che il contrabbandiere non era
suo padre ma una persona che loro incontrarono in questa casa di Hilde dove loro
dormirono, e naturalmente non contrabbandava diamanti ma orologi. E quella notte
mentre lui e suo padre dormivano, nell'altra stanza c'era questo contrabbandiere
che credo scopasse con Hilde; arrivò la Guardia di Finanza che lo perquisì ma
non trovò niente perché Hilde aveva nascosto gli orologi da qualche parte.
Così mi raccontò Edoardo e io poi scrissi la canzone; infatti la firmò anche
lui che mi aveva dato l'idea..
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Le
strade di lei è al
contrario indiscutibilmente un'overdose di metafore.
Dolcissima e malinconica, giocata delicatamente sul do maggiore e
il la minore, colorata a pastello dalle voci intrecciate di un oboe e di
una soprano, parla una lingua che posso comprendere potesse lasciare
qualcuno perplesso.
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è una canzone autobiografica piena di
riferimenti, per esempio Venditti, "Il poeta che suonava il
pianoforte", poi parlo di Lilli Greco, il produttore con cui avevo
litigato. Suzanne della canzone di Cohen... dicevo: "Suzanne mi dà anche
la mano", ero ancora legato a queste cose.

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Antonio
De Rose e Francesco, chitarristi di Caterina Bueno.


Paola
Turci ne fece una bella versione, alcuni anni fa, molto migliore della
mia. Ma oggi per me una canzone come Saigon è veramente acqua passata
come del resto tutto quel periodo di entusiasmi e granitiche certezze. La
guerra del Vietnam fu la guerra sognata, la guerra idealizzata e anche la
prima guerra vista in televisione. Tutti facevano un grande uso della
parola 'rivoluzione' e sembrava facilissimo dividere il mondo fra buoni e
cattivi. La fantasia stava andando al potere ... forse quegli anni e
quelle suggestioni furono per molti di noi proprio come 'il paese delle
meraviglie'. E tutto il disco di Alice è immerso nello spirito di quel
tempo, un tempo in cui forse ci immaginammo migliori di quello che
eravamo.
Tratto da
"Contemporanea" di Paolo Vites
- allegato al Corriere della Sera
GIACCIO - Nel
'73 esce "Alice" che contiene tutte canzoni chiare.
DE GREGORI -
Infatti io scrivo solo canzoni chiare.
GIACCIO - No,
la "Pecora" non si capisce.
DE GREGORI -
Sì, è meno comprensibile la "Pecora".
GIACCIO -
Comunque di "Alice" una che a me piacque molto era 'La casa di Hilde".
DE GREGORI -
Infatti è una di quelle che mi piace di più anche adesso.
GIACCIO -
Quelle con che atteggiamento le hai scritte? Con che stato d'animo?
Che vita facevi?
DE GREGORI - Ma
non lo so, uno stato d'animo molto tranquillo, non sapevo se lo
avrei fatto o no questo disco, perchè dopo "Theorius Campus" ero
stato abbastanza emarginato all'interno della IT. Comunque stavo
bene, mi ricordo che dopo "Theorius Campus" andai in Grecia,
l'estate feci le vacanze e un po' di canzoni le scrissi a Patmos, 'I
musicanti" mi pare. 'La casa di Hilde" la scrissi perchè Edoardo De
Angelis una sera a cena mi raccontò di questa gita in montagna che
aveva fatto con suo padre ed è esattamente come dice la canzone,
tranne il fatto che il contrabbandiere non era suo padre ma una
persona che loro incontrarono in questa casa di Hilde dove loro
dormirono, e naturalmente non contrabbandava diamanti ma orologi. E
quella notte mentre lui e suo padre dormivano, nell'altra stanza
c'era questo contrabbandiere che credo scopasse con Hilde; arrivò la
Guardia di Finanza che lo perquisì ma non trovò niente perchè Hilde
aveva nascosto gli orologi da qualche parte. Così mi raccontò
Edoardo e io poi scrissi la canzone; infatti la firmò anche lui che
mi aveva dato l'idea.
GIACCIO - E
"1940"?
DE GREGORI - Mi
parlò mia madre di questa cosa, siccome studiavo la storia e allora
studiavo il fascismo, chiesi a mia madre come aveva vissuto
l'entrata in guerra, e lei mi raccontò di quella mattina quando
seppe che l'Italia era entrata in guerra...
GIACCIO - Che
raccontò?
DE GREGORI -
Niente, che lei aspettava l'autobus e vide tutta questa gente
contenta; arrivavano i giornali che dicevano: "Siamo entrati in
guerra finalmente! ".
GIACCIO - Qual
era il suo atteggiamento?
DE GREGORI -'
Non credo che fosse una donna che si interessava di politica.
ROMANO - Senti,
"Alice", non il "33", la canzone, ha tutta una serie di riferimenti,
si parla di Cesare che è Cesare Pavese, e tutta una serie di altre
cose, scritte senza pensare ad un disco non automaticamente legate
al mercato, ed erano scritte per un pubblico ristretto come quello
del Folkstudio. Poi questa canzone hai voluto a tutti i costi
mandarla al "Disco per Vestate" come mai?
DE GREGORI - lo
mi rendevo conto che era una cosa molto strana messa al "Disco per
l'estate", però mi piaceva, pensavo che avesse un contenuto
provocatorio messa al "Disco per l'estate" allora.
ROMANO -
Nonostante tu non l'avessi scritta con uno scopo provocatorio.
DE GREGORI -
L'avevo scritta perchè ha un valore in sé secondo me, però mi
divertiva questo fatto che veniva trasmessa tra una canzone della
Zanicchi e una dei Camaleonti. Cioè la canzone rimaneva intatta e in
più c'era questo fatto che la gente avrebbe spento la radio
probabilmente, avrebbe detto chi è questo stronzo?
GIACCIO -
Comunque "Alice" è già una delle tue canzoni più incomprensibili, o
no?
DE GREGORI -
Sì, è una di quelle meno chiare.
GIACCIO - Ma
queste canzoni per te hanno un senso o metti le parole una dietro
l'altra?
DE GREGORI -
Ma, non è vero né che sono chiare, né che metto le parole una dietro
l'altra; certo quando ho scritto la prima strofa di "Alice" non
sapevo da che parte avrebbe tirato l'ultima. Però volevo fare una
canzone su una persona incoscienìe. Anche la scelta del nome non è
una scelta a caso solo perchè Alice suona bene, è un riferimento
letterario anche quello.
GIACCIO - E poi
c'è l'episodio del “Cancro nel cappello" censurato dalla Rai; ti
hanno chiesto esplicitamente di cambiare quella parola?
DE GREGORI - Me
lo hanno chiesto sì. Loro mi dissero: "se non la cambi, questa
canzone noi non te la trasmetteremo mai", quindi lo chiesero.
ROMANO - Con
che motivazione?
DE CREGORI - Mi
dissero che siccome la canzone doveva andare in onda verso
mezzogiorno, la gente che mangìava non aveva voglia di sentir
parlare di cancri.
GIACCIO - Nel
cappello.
DE GREGORI -
No, di cancro proprio, la parola cancro infatti è una parola
proibita, da noi non si usa. Fa paura, fa sgomento, ti fanno cantare
culo ma cancro no; è peggio della sifilide. In una famiglia per bene
non si dice. E la Rai, come tutti sanno, è una famiglia per bene.
GIACCIO - Poi
c'è "Marianna al bivio" che è un'altra canzone abbastanza
enigmatica...
DE GREGORI -
Sì, quella è una canzone autobiografica piena di riferimenti, per
esempio Venditti, “Il poeta che suonava il pianoforte", poi parlo di
Lilli Greco, il produttore con cui avevo litigato. Suzanne della
canzone di Colien... dicevo: "Suzanne mi dà anche la mano", ero
ancora legato a queste cose.
GIACCIO - Ti è
servito Cohen?
DE GREGORI -
Sì, certo.
ROMANO - Ti
piace ancora oggi?
DE GREGORI - Mi
è piaciuto molto, adesso non me ne frega niente.
GIACCIO - Siamo
andati a trovarlo l'anno scorso con Cascone qui a Roma, un incontro
il primo di maggio. Che giorno per vedere Cohen. Al Grand Hotel
ricevuti in questo appartamento dove lui stava con il suo editore:
due grandi stanze, e al centro un'altra stanza con un tavolo di
quelli enormi, con tovaglie bianche, fini, di quelle che vengono
stirate sul tavolo così non hanno pieghe, e tína prima colazione
alle 11,30 del mattino all'americana, con uova, thé, marmellata. E
abbiamo fatto questa prima colazione Cascone ed io, l'editore e
Cohen. E' stato bello, un tipo pulito, naturale.
DE GREGORI - Io
l'ho visto per cinque minuti in strada, stava con una mia amica che
me l'ha presentato; io avevo una chitarra e lui no, lui mi fa: "hai
una chitarra? " e io: "Sì” e lui dice: "che chitarra è?" e io: "è
una Gibson". E lui continuava a guardarla e io gli dico: “Perché non
suoni qualcosa?" e lui risponde: "no, io posso suonare solo con le
corde di nylon, scommetto che la tua ha le corde di ferro." Io gli
rispondo di sì e lui dice: "Peccato!". E così è finito il nostro
incontro nella piazza di Santa Maria in Trastevere alle nove di
mattina.
ROMANO - Come
giudichi adesso, questo LP?
DE GREGORI - Ci
sono delle canzoni che mi piacciono molto: 'I musicanti", "Alice",
'La casa di Hilde", "1940"... infatti tranne 'I musicanti" le canto
sempre quando faccio gli spettacoli.
ROMANO - Ne 'I
musicanti" c'era un’introduzione così dolce ma anche così
tradizionale, piena di violini...
DE GREGORI - Mi
servivano i violini perchè il pezzo parla proprio di quelli lì che
suonano il violino pagati, parla dei musicisti prezzolati.
ROMANO - 'I
musicanti", come altre tue canzoni, è una canzone che, se vuoi, si
presta ad essere interpretata in vari modi. Tu sai che la gente
spesso ti definisce "ambiguo" per questa tua maniera di lasciare in
mano a chi ascolta la scelta di una chiave di interpretazione
piuttosto che un'altra. Insomma, quello che uno capisce di una tua
canzone a volte è diverso da quello che intendi dire tu quando la
scrivi, poi magari alla gente piace lo stesso. lo vorrei sapere che
ne pensi tu di questa ambiguità.
DE GREGORI -
Che mi piace, mi piace che una mia canzone possa essere letta in due
modi, possa voler dire due cose insieme.
ROMANO - Ma
oltre alla possibilità di essere letto in tanti modi diversi, c'è
quella di non essere letto affatto perchè magari c'è chi non dà
neanche una mezza interpretazione alle cose che scrivi; da qui
l'accusa che ti è stata rivolta di essere un grosso paraculo, un
grosso mistificatore, un bravo a mettere insieme delle parole che
poi in realtà non hanno nessun significato e che la gente compra
perchè è di moda, perchè fa fine...
DE GREGORI -
Questo è un problema della gente che mi compra, non è un problema
mio, io non devo averé altri punti di riferimento che me stesso
quando scrivo una canzone; se dovessi tener presente la possibilità
di essere frainteso o di non essere capito affatto come dici tu, non
avrei mai scritto "Rimmel" forse avrei scritto tre canzoni, e se mi
dici che la gente mi compra perchè fa fine, io non lo so, spero di
no, comunque questi sono problemi della gente.
ROMANO - Dal
punto di vista musicale come giudichi adesso la realizzazione di
"Alice" (nel senso dell'LP)?
DE GREGORI - Ci
sono gli arrangiamenti che facemmo insieme io e De Angelis, con
molte ingenuità musicali: le ritmiche sono suonate in maniera
accademica, non c'è nessuna invenzione né il minimo di fantasia
nella realizzazione di queste cose: gli strumenti si limitano ad
accompagnarmi, sono un sottofondo; invece nelle cose nuove sento che
c'è un fatto musicale più vivo.
ROMANO - Da che
dipende questo tuo modo nuovo di usare la musica?
DE GREGORI -
Dall'aver conosciuto molta gente, perchè ho suonato in giro e perchè
quando hai la disponibilità della sala di incisione e ti pagano i
musicisti, cambi tu stesso modo di scrivere la musica, ti viene
spontaneo cambiare, quindi di divertirti un po'.
da FRANCESCO DE
GREGORI, UN MITO
di Michelangelo Romano, Paolo Giaccio e Riccardo Piferi
-
Edizioni Lato Side – 1980

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Il
mio primo fìglio, che chiamai Francesco in memoria del mio amatissimo
nonno matemo, De Gregori fu
chiamato a testimoniarne l'ingresso nella
società umana, e in tale circostanza si presentò con i seguenti doni: un
magnifico Graal d'argento massiccio e una canzone dal titolo Suonatori di
flauto.
(Giorgio
Lo Cascio)

I RETRO


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