Dopo il successo di pubblico e critica registrato con “Off The Record”, in scena per un mese al Teatro Garbatella di Roma, Francesco De Gregori è ritornato  in tour anche nell’estate 2019. Dall’11 giugno in giro per l’Italia accompagnato da una grande orchestra, ha proposto per la prima volta i suoi più grandi successi in un contesto sinfonico.

La Gaga Symphony Orchestra, diretta da Simone Tonin e composta da quaranta elementi, ha avuto come nucleo centrale il quartetto degli Gnu Quartet (Raffaele Rebaudengo alla viola, Francesca Rapetti al flauto, Roberto Izzo al violino e Stefano Cabrera al violoncello). La band che accompagna De Gregori ormai da lungo tempo, è stata supportata dalle vocalist Francesca La Colla e Vanda Rapisardi e dal percussionista Simone Talone.

 

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GRAZIE a musicisti, tecnici, produzione e a tutti quelli che in giro per l’Italia hanno contribuito alla realizzazione di questo magnifico tour.

Francesco De Gregori

 

La Band: Guido Guglielminetti al basso, Paolo Giovenchi alle chitarre, Alessandro Valle alla Pedal steel guitar e Carlo Gaudiello al pianoforte, supportati da GnuQuartet: Raffaele Rebaudengo, Stefano Cabrera, Roberto Izzo, Francesca Rapetti

Produzione e coordinamento tecnico-logistico: Fenia Galtieri,  Giuseppe Sabatino, Giorgia Pipino

Fonici: Lorenzo Tommasini, Giuseppe Porcelli, Giuliano Bailetti – Backliner: Alessandro Morella, Mirko Piro, Domenico Colangelo, Francesco Migliarotti – Luci: Andrea Coppini, Domenico L’Abbate

Gaga Symphony Orchestra

ARCHI: Agnese Amico, Alice Bettiol, Elena Cardin, Elena Ciccarelli, Sarah Convento, Sofia Di Mambro, Erica Freo, Leonardo Giovine, Fabio Grossi, Annalisa Ligorio, Federico Lorenzon, Camilla Maran, Riccardo Martignago, Chiara Meneghiello, Francesca Pavan, Alessandro Pelizzo, Giordano Poloni, Francesca Pretto, Eva Salizzato, Roberto Sorgato, Matteo Valerio, Giorgia Vian, Lucia Zanella, Giulio Zanovello, Erica Zerbetto, Matilde Cerutti, Rosalba Ferro, Virginia Labarca Bencomo Eiling, Xabier Lopez De Munain, Simone Siviero, Claudia Tortora, Matteo Bassan, Piero  Bonato, Angela Bonetto, Elisa Lazzarin, Davide Pilastro, Piovan Francesco, Rossin Nicola, Zabadneh Matteo FIATI: Stefano Angiolin, Luca Pinaffo, Tommaso Piron, Mattia Marangon, Stefania Rivola, Lorenzo Valentini, Alberto Bonivento, Annamaria Tarozzo, Giorgia Signoretto, Riccardo Folador, Marcello Giannandrea, Elia Guglielmo. Manager: Sara Prandin - Direttore: Simone Tonin

 

 

 

 

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Il "De Gregori & Orchestra - Greatest Hits Live Tour" si è appena concluso, e in attesa di condividerne con voi alcuni momenti magici, vi lasciamo alle parole del nostro direttore Simone Tonin, in rappresentanza di ciò che tutti noi vorremmo dire.

Martedí sera il sipario degli Arcimboldi si é definitivamente chiuso su questo meraviglioso tour di 16 date in tutta Italia e a Lugano, su palcoscenici da urlo condivisi con una squadra formata da persone speciali.

Non basterebbero mille parole per descrivere anche solo parzialmente la bellezza di quanto abbiamo vissuto... Ma resta il ricordo, e la speranza di tornare presto a lavorare con Fenia Galtieri e Giorgia Pipino, con Lorenzo Tommasini al mixer di sala e Giuseppe Porcelli al mixer di palco, con Mimmo L'abbate e Andrea Coppini alle luci, con Mirko e Francesco super tecnici di palco. Con le dolcissime coriste Francesca La Colla e Vanda Rapisardi, con quei geni e pazzi scatenati dello GnuQuartet (Stefano Cabrera, Raffaele Rebaudengo, Francesca Rapetti e Roberto Izzo), nei quali abbiamo scoperto dei fratelli meravigliosi oltre che dei grandi musicisti.

Con la mitica band formata dagli iconici Alex Valle, Paolo Giovenchi, Carlo Gaudiello, Simone 'federicuccio' Talone e Guido Guglielminetti, a cui vogliamo bene come una seconda famiglia. E oltre a tutti loro? La speranza di tornare ad abbracciare il Principe e a lavorare con LUI, quell'uomo meraviglioso che é Francesco De Gregori, che ho avuto l'onore di conoscere non solo sotto il profilo musicale, ma soprattutto umano, conquistandomi e conquistandoci tutti.

Mi sto forse dimenticando qualcuno? Con chi desidero ritornare in palco sopra ogni cosa? Ovviamente con i miei compagni di vita: la Gaga Symphony Orchestra, senza la quale tutto questo non sarebbe mai stato possibile. A presto! E GRAZIE. Nel cuore, sempre.

 

GAGA SYMPHONY ORCHESTRA

Ph Natascia Torres Photography

 

 

 

«Lo spettacolo che porteremo in scena mischia un tessuto musicale che è una contaminazione tra generi vari, io sono molto soddisfatto. Credo che un musicista che ormai pratica il mestiere da 50 anni a un certo punto deve inevitabilmente arrivare, o comunque farsi tentare, dal suono orchestrale, perché l’orchestra produce dinamiche, timbriche, armonie che sono a volte nascoste nelle canzoni quando uno le scrive voce e chitarra/pianoforte o le fa con la sua band. L’orchestra aumenta queste potenzialità e, personalmente riesce anche a commuovermi perché magari una canzone sembrava una cosetta così e invece...».

Così Francesco De Gregori spiega i motivi che lo hanno portato ad architettare il suo «De Gregori & Orchestra - Greatest Hits Live», il nuovo tour che dopo aver debuttato il mese scorso alle Terme di Caracalla fa tappa in piazza della Riforma a Lugano venerdì sera alle 21 e che si concluderà (dopo una dozzina di esibizioni in tutta Italia) il 23 settembre al Teatro degli Arcimboldi di Milano. Un’occasione per riscoprire in veste inedita (gli arrangiamenti sono di Stefano Cabrera) una ventina di suoi grandi successi (vedi la scaletta a lato). Ad accompagnarlo sul palco ci sarà infatti una formazione di 40 elementi (la Gaga Symphony Orchestra) diretta da Simone Tonini, più lo Gnu Quartet (flauto, viola, violino e violoncello), senza però dimenticare la band che accompagna il cantautore già da diverso tempo, con Guido Guglielminetti al basso, Carlo Gaudiello al pianoforte, Paolo Giovenchi alle chitarre, Alessandro Valle alla pedal steel guitar e al mandolino, Simone Talone alle percussioni e le coriste Vanda Rapisardi e Francesca La Colla.

 

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Per De Gregori questa nuova sfida artistica giunge a pochi mesi da un progetto che si potrebbe per molti versi definire «opposto», ovvero la serie di concerti «intimi» intitolata Off the Record al Teatro della Garbatella di Roma (appena 230 posti) nel corso dei quali (tra fine febbraio e fine marzo, tutte le sere tranne il giovedì) il musicista si è divertito a cambiare scaletta ogni volta, pescando tra una sessantina di brani del suo immenso repertorio, che ha ormai quasi mezzo secolo alle spalle, e facendo ovviamente registrare una serie di venti sold out consecutivi.

 Con il tour che venerdì transita dal Ticino in occasione della chiusura della stagione di LuganoInScena e della contemporanea apertura del LongLake Festival (vedi sotto), De Gregori fa invece i conti con quei Greates Hits che un tempo alimentavano sostanziosamente il mercato discografico ma che oggi, per un musicista mai sazio di nuove esperienze come lui, rischiano di trasformarsi in una palla al piede ad ogni concerto. La scelta, come ammette lui stesso, è stata «dolorosa» ma anche «obbligata» poiché è dipesa dal modo in cui le avrebbe eseguite l’orchestra. «Ho sacrificato per forza dei pezzi più ritmici che avrebbe avuto poco senso fare» continua De Gregori, specificando però che non si tratta di un mutamento di rotta radicale:

«È solamente un’integrazione che sviluppa delle dinamiche, delle linee melodiche che erano sottintese nella struttura originale e che ora ho portato allo scoperto, grazie agli arrangiamenti e all’orchestra». Un modo di considerare le proprie canzoni come «qualcosa di vivo», come «figli che ogni giorno vesti in un modo o in un altro, però alla fine sempre figli sono. La struttura, la spina dorsale delle cose che ho scritto, non è cambiata»..

 Un’impresa del genere, che sottintende anche un importante sforzo organizzativo ed economico, sembra pensata apposta in vista della pubblicazione di un album «live», ma a questo proposito il cantautore è categorico: «

Sì, un disco lo farò, ma non lo pubblicherò mai. Non voglio fare dischi che non vendono, brani che le radio non passano. Lo farò per mio uso personale».

 

https://www.cdt.ch/cultura-e-spettacoli/francesco-de-gregori-e-la-tentazione-dell-orchestra-DC1361126

 

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De Gregori chiude il tour: omaggia Lucio Dalla e duetta con Tricarico

A Milano non c’è il mare, ma è un oceano di poesia e musica

Francesco De Gregori chiude il suo De Gregori & Orchestra – Greatest Hits Live con una doppia data al Teatro degli Arcimboldi di Milano.https://www.iltitanic.com/2019/fd1.jpg

Il cantautori presenta i suoi grandi successi, da Generale a Rimmel in un contesto sinfonico: c'è spazio anche per un omaggio a Lucio Dalla, che ottiene una standing ovation.

Sul palco la Gaga Symphony Orchestra, lo Gnu Quartet, la sua band composta da Guido Guglielminetti al basso, Carlo Gaudiello al pianoforte, Paolo Giovenchi alle chitarre, Alessandro Valle alla pedal steel guitar e al mandolino e Simone Talone alle percussioni, e le coriste Vanda Rapisardi e Francesca La Colla.

L'apertura è affidata a Tricarico, ospite di tutto il tour, che torna sul palco per duettare con il Principe in A Milano non c'è il mare.

INIZIO. L'apertura è affidata all'intro strumentale dell'orchestra con Oh Venezia che sei la più bella. De Gregori, maglietta a mezze maniche e cappellino con visiera, fa il suo ingresso sulle note di Generale, tra gli applausi del pubblico.

È poi il turno de Il cuoco di Salò, La storia e Pablo: “Hanno ammazzato Pablo, Pablo è vivo”.

Fonte Radio Italia

 

A Milano Non C’è il Mare è stato presentato il 20 settembre all’Arena di Verona, il brano farà parte del nuovo album di inediti di Tricarico, cantatutore che ha affiancato Francesco De Gregori in alcune tappe del suo tour estivo. La traccia, che vede la collaborazione con il Principe, sarà in rotazione in tutte le radio dal prossimo 27 settembre. Queste le parole di Tricarico:

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"Quando passavo l'estate da mia nonna al mare, il mare era per me un grande abbraccio capace di dare senso alle cose, un senso d'infinito e d'armonia a tutte le cose. 'A Milano non c'è il mare' parla di questo senso ed abbraccio perduti, che quindi possono trovare pace solo se trovati in me, in noi. Francesco De Gregori è un grande mare, un mare amico e, importante, che è complice di questa canzone. Ogni ringraziamento non basta per l'estate trascorsa insieme a cantare e a suonare in giro per questo Nostro meraviglioso Paese. Grazie a Voi".

Tricarico

 

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Palermo, De Gregori guida il valzer del pubblico con "Buonanotte fiorellino"

di MARIO DI CARO 27 luglio 2019

Non s'era mai visto il pubblico che balla il valzer sotto il palco sulle note di "Buonanotte fiorellino". Così come non s'era mai visto un Francesco De Gregori così divertito e divertente, così felice di condividere col pubblico la nuova dimensione sinfonica delle sue canzoni più belle eseguite da un'orchestra di 40 elementi. Insomma, il concerto di giovedì sera al teatro di Verdura è stato come minimo sorprendente a cominciare dalle nuove sonorità che hanno dato a "Titanic" un ritmo latino e dal bis di "Can't help falling in love" di Elvis Presley. E in platea, altra sopresa, l'arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, fan insospettabile di De Gregori.

Dopo l'apertura di Tricarico e dopo l'assolo dell'orchestra, De Gregori, in camicia gialla, ha iniziato con un classico, "Generale", seguito poco dopo da "La storia" e "Pablo". Per introdurre "La valigia dell'attore", invece, il cantautore, in vena di chiacchierare e raccontare, ha ricordato quella volta in cui si presentò nel camerino di un allora giovane Enzo Jannacci, da fan quale era.

 

"Questa dobbiamo farla bene perché è una canzone importante" dice nel momento più atteso De Gregori. Parte la prima nota di "La donna cannone" e i duemila del Verdura accendono le torce dei telefonini agitandoli per aria. Le altre "immortali" in scaletta sono "Alice", "Pezzi di vetro" fino all'ultimo bis, "Rimmel", subito dopo il valzer improvvisato del pubblico, persino sul palco, come richiesto dal cantante, con "Buonanotte fiorellino". Tanti appalusi e spettatori felici.

https://palermo.repubblica.it/societa/2019/07/27/news/palermo_de_gregori_guida_il_valzer_del_pubblico_con_buonanotte_fiorellino_-232182432/?refresh_ce

 

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Arena Festival di Soverato: due ore davanti a “chissà quale magia”

By Chiara Paone - 24 Luglio 2019

 

Ieri sera Francesco De Gregori ha dato il via all’edizione 2019 della Summer Arena di Soverato. Una serie di eventi – Salmo, Irama, Tosca, Gemitaiz, Anastasio, Fiorella Mannoia, Enrico Brignano, Pucci e, per concludere, Ficarra e Picone – fortemente voluti e ideati dalla Esse Emme Musica di Maurizio Senese. Ad aprire il concerto è Tricarico – cantautore milanese, classe ’71 – che ha esordito nel 2000 con la canzone autobiografica, “Io sono Francesco”, un brano che ha ottenuto un grande successo guadagnando anche il Disco di Platino.

De Gregori – accompagnato dalla straordinaria Gaga Symphony Orchestra diretta dal Maestro Simone Tonin, dallo Gnu Quartet e dalla sua storica band – ha incantato il Summer Arena con l’unica data calabrese del suo tuor “De Gregori & Orchestra – Greatest hits live”: <<Lo spettacolo che porteremo in scena mischia un tessuto musicale che è una contaminazione tra generi vari. Credo che un musicista che ormai pratica il mestiere da 50 anni a un certo punto debba inevitabilmente arrivare, o comunque farsi tentare, dal suono orchestrale, perché l’orchestra produce dinamiche, timbriche, armonie che sono a volte nascoste nelle canzoni quando uno le scrive voce e chitarra/pianoforte o le fa con la sua band. L’orchestra aumenta queste potenzialità e, personalmente riesce anche a commuovermi perché magari una canzone sembrava una cosetta così e invece…>>.

 

De Gregori non si era sbagliato: la scaletta – composta dai brani che meglio potevano adattarsi agli arrangiamenti dell’orchestra – ha fatto commuovere il pubblico presente, dall’apertura del concerto con “Generale” – un classico della musica italiana – e a seguire tutti gli altri capolavori del cantautore romano fra i più amati di sempre: “La Storia” “Pablo”, “La Leva Calcistica della classe ‘68”, “La valigia dell’attore”, “Un Guanto”, “Sempre e per sempre”, “Santa Lucia”, “Alice”, “La donna cannone”, “L’abbigliamento di un fuochista”, “Titanic”, “Buonanotte Fiorellino”, “Rimmel”.

Con il suo abbigliamento un po’ casual e una sigaretta fra le mani, De Gregori si racconta nei suoi testi, introduce alcune canzoni – anche se, come lui stesso afferma, “le canzoni non devono essere spiegate” – come nel caso di “Un guanto” un brano ispirato alla serie di quadri intitolata “Ein Handschuh” (ovvero un guanto) del pittore e scultore tedesco Max Klinger: una ragazza perde un guanto, forse volontariamente o accidentalmente, mentre pattina sul ghiaccio. Un signore dietro di lei lo raccoglie per poterglielo restituire, ma non riesce a raggiungerlo: <<un gentiluomo, un infedele lo seguì con lo sguardo e stava quasi per raggiungerlo, ma già troppo in ritardo>>. È una canzone che parla dell’amore che fa perdere la testa, della voglia di raggiungere qualcosa senza però riuscirci: <<e all’amore e alle sue pene, il guanto si era già posato in quel quadro infinito, dove Psiche e Cupido governano insieme>>.

Nella scaletta c’è anche “Titanic”, un omaggio al transatlantico affondato in seguito allo scontro con iceberg nel 1991. Migliaia di vittime, in particolar modo quelli della terza classe, nei piani inferiori della nave. Tutti accomunati dal sogno dell’America. De Gregori poi fa un accenno alla storia del Capitano Smith – de “I muscoli del capitano” – il comandante della nave: <<il capitano non tiene mai paura dritto sul cassero fuma la pipa, in questa alba fresca è scura che rassomiglia un po’ alla vita>>. Un capitano che, nonostante credesse di avere la situazione in pugno, fu vittima dei suoi errori e la sua rotta sbagliata lo portò a scontrarsi contro <<una donna bianca così enorme alla luce delle stelle così bella che di guardarla uno non si stanca>>. E il Capitano Smith morì insieme all’enorme creatura.

Altri brani non hanno bisogno di parole e De Gregori lo sa. “La donna cannone” non viene introdotta, ma vissuta con un’intensa magia. Sembra quasi di rimanere con il fiato sospeso per tutti i minuti della canzone. L’orchestra è un ulteriore valore aggiunto ad un brano che ha fatto cantare ed emozionare intere generazioni. E poi ancora “Sempre e per sempre”, “Santa Lucia”, “Alice”, “Buonanotte Fiorellino” e l’attesissima “Rimmel”. Francesco De Gregori ringrazia più volte l’Orchestra e il suo pubblico. Si ritorna a casa, dopo due ore intense, con la consapevolezza di aver assistito ad un vero e proprio spettacolo, davanti a “chissà quale magia“.

“De Gregori & Orchestra” non è solo un “concerto”, ma un’esperienza attraverso la musica – impeccabile e sorprendente – e tutti i testi di De Gregori che, ad ognuno, hanno saputo parlare e raccontare di storie e amori, di vita e sogni, di dolori e speranze.

 

https://www.periodicodaily.com/francesco-de-gregori-incanta-il-summer-arena-festival-di-soverato-due-ore-davanti-a-chissa-quale-magia/?fbclid=IwAR0FG14RHXFaWXthKGQLff-L1LxBR-aKQv2vTXgimw_3BNaoWFS-Dc7NGUk

 

 

L’arena Ciaia S’inchina Al Principe De Gregori E Alla Gaga Symphony Orchestra

 

Magica serata quella di ieri sera nella splendida Piazza Ciaia di Fasano che ha ospitato il Principe della canzone italiana, Francesco De Gregori, accompagnato dalla Gaga Symphony Orchestra e dagli Gnu Quartet.

Il concerto si è svolto nell’ambito della XV edizione del Festival Metropolitano ‘Bari in Jazz‘ ed ha regalato ai presenti uno spettacolo straordinario, attraverso i più grandi successi di oltre quarant’anni di carriera del noto cantautore.

Unica tappa pugliese del suo tour estivo, la serata De Gregori & Orchestra – Greatest Hits Live ha deliziato il pubblico con le note di “Generale”, “La Storia” “Pablo”, “Rimmel”, “La Leva Calcistica della classe ‘68”, “Sempre e per sempre”, “Santa Lucia”, “Alice”, “La valigia dell’attore”, “Un Guanto”, “La donna cannone”, “Titanic”, “Buonanotte Fiorellino” e tanti altri ancora.

La Gaga Symphony Orchestra è diretta da Simone Tonin e composta da 40 elementi; del quartetto degli Gnu Quartet fanno parte Raffaele Rebaudengo alla viola, Francesca Rapetti al flauto, Roberto Izzo al violino e Stefano Cabrera al violoncello.

De Gregori ha scelto di dedicare la sua estate alla musica con una serie di concerti sinfonici nei luoghi storici e artistici più belli d’Italia, dopo il grande successo ottenuto con “Off the Record“, che l’ha visto impegnato in 20 concerti al Teatro Garbatella di Roma nei mesi di febbraio e marzo.

La tournée di Francesco De Gregori si chiuderà a settembre e, tra le altre location, farà tappa anche al Teatro Antico di Taormina, alla palazzina Stupinigi a Torino, all’Arena di Verona e in piazza SS Annunziata a Firenze.

Zelda Cervellera

https://agorablog.it/spettacolo/francesco-de-gregori-incanta-il-pubblico-di-fasano/

 

 

 

VORREI CHECCO ZALONE NELLA MIA BAND

 

Il suo concerto di domenica 21 a Fasano (in piazza Ciaia) è uno degli eventi clou del festival Bari in Jazz. E la sua unica apparizione dell’estate pugliese avrà qualcosa di inedito, dal momento che vedrà Francesco De Gregori impegnato nel Greatest Hits Live con la Gaga Symphony Orchestra diretta da Simone Tanin e lo Gnu Quartet (biglietti nel circuito ticketone.it).

Qui di seguito una lunga intervista che il «Principe» ha concesso in esclusiva alla «Gazzetta del Mezzogiorno».

Partiamo dal tour. Come nasce l’idea di un De Gregori «sinfonico» e come considera questa veste orchestrale che l’accompagna?

«Direi che mi è sempre piaciuto cercare vestiti diversi per le mie canzoni, che nascono per lo più con una chitarra o un pianoforte e che di solito dal vivo vengono eseguite con la band che mi accompagna da anni, quindi in versione abbastanza semplice...diciamo folk-rock o anche semplicemente pop o qualcosa del genere. La tentazione dell’orchestrazione sinfonica però è sempre in agguato nella testa di un musicista e molte delle canzoni che ho scritto, lo sto scoprendo adesso, hanno una struttura melodica ed armonica che si presta allo scopo. Diciamo che ho voluto sentire cosa succedeva alla mia musica aprendola a tutte le possibilità timbriche che hanno gli archi, i fiati, gli ottoni... in fin dei conti è una cosa molto molto italiana, molto popolare, legata anche alla tradizione della romanza e perché no, della lirica».

 

 

Che significato ha per lei essere un cantautore e, soprattutto, è un ruolo che ha ancora un significato nel contesto musicale della nostra epoca, dominata dal «trap»?

«Ma anche i “trappisti” sono cantautori! Cantautore è una parola che dice tutto e niente, i cantautori sono sempre esistiti ed esisteranno sempre attraverso stili e generi diversi perché hanno il grande vantaggio di cantare in prima persona quello che hanno in testa. La gente li ama perché sente in loro un certo profumo di verità, di sincerità, di voglia di raccontare se stessi e il mondo. E questo vale ovviamente per me come vale per Gino Paoli o per Salmo o per qualsiasi ragazzino di 15 anni che in questo momento sta cercandosi le sue parole, le sue rime e il suo ritmo».

Oggi lei ha 68 anni, se dovesse riscrivere alcune pagine della sua vita, la immaginerebbe diversa da come è stata?

«Guardi, è una fatica che proprio non mi va di fare...si vive una volta sola e non mi va di rinunciare a questo vantaggio».

In più di un’occasione i cantautori italiani sono stati indicati come i più genuini eredi dei grandi poeti del primo Novecento. Cosa ne pensa e, nel suo caso, accetterebbe la definizione di poeta?

«No, nella maniera più assoluta. Non c’entro niente con la poesia e con i poeti e loro non c’entrano niente con me».

Ha ancora un senso scrivere oggi delle canzoni d’amore?

«Perché non dovrebbe averlo? La gente continua a innamorarsi e a sognare, continua a consumare amore e farsi consumare dall’amore. La canzone è il veicolo ideale per raccontare la passione d’amore. Può essere breve, ma può accompagnarti per un lungo periodo o per tutta la vita».

Il suo songbook conta ormai numerosissimi titoli amati dal grande pubblico, eppure quando si parla di De Gregori, il suo nome viene abbinato immediatamente a «Buonanotte, fiorellino». Che significato ha per lei questa canzone?

«È una buona canzone, scritta in un periodo in cui ero molto ispirato...non pensavo che sarebbe durata tutto questo tempo e che avrebbe avuto tutto questo successo... è una canzone molto... esile... più raffinata di quanto non sembri. Insomma furono quelli della mia casa discografica che quando la sentirono mi dissero che sarebbe potuta diventare una hit. Forse dipende dal ritmo di walzer o da tutti quei diminutivi che sono piaciuti molto ai bambini e ai genitori che l’hanno usata come ninna nanna».

Quali sono i suoi rapporti con l’universo femminile e quanto hanno influenzato il suo mondo musicale?

«Beh, direi di aver avuto sempre ottimi rapporti con il mondo femminile, pieni di curiosità, ma anche pieni di rispetto, lo stesso rispetto che gli alpinisti devono avere per la montagna o i marinai per il mare... quel rispetto che se non c’è l’hai rischi di cadere o di andare a picco. Poi c’è sempre di mezzo l’attrazione, il desiderio, l’amore. A volte si cade in confusione, questo è molto umano... credo semplicemente che in alcune delle mie canzoni si trovino molte tracce di tutta questa confusione».

Dopo più di quarant’anni sulle scene, ci sono delle canzoni che sente meno sue e canta meno volentieri delle altre?

«Va a periodi. Qualche anno fa non mi andava di cantare che so, Pablo o Bufalo Bill e adesso invece mi piace farlo. Non le ho mai contate le canzoni che ho scritto, veramente! Saranno 200 o poco più, non sono tante in 40 anni di lavoro... ogni volta che parto per un nuovo tour cerco di ripescarne qualcuna che non faccio da tempo e se mi suona bene la metto dentro, sennò se ne riparla la prossima volta, senza problemi. Spesso mi piace cantare canzoni di altri, mi piace fare il cantante più che il cantautore!».

Parliamo dei colleghi. Di recente ha confessato la sua ammirazione per Lucio Battisti, un artista in apparenza molto diverso da lei.

«Beh sì, sicuramente molto diverso da me ma direi diverso da tutti! Battisti è stato un’aquila solitaria su una rupe inaccessibile. Il suo stile, il suo canto non sono mai stati paragonabili alla musica che gli girava intorno e se ci si pensa è strano, vista la sua grande popolarità e commercialità. Battisti era raffinatissimo e allo stesso tempi alla portata di tutti, un intellettuale senza intellettualismi, un cantante unico, una mosca bianca o una pecora nera a seconda dei punti di vista, ma soprattutto un artista puro e incorruttibile. Ma non possiamo non citare anche Mogol e Pasquale Panella che, diversamente l’uno dall’altro, hanno messo le parole giuste sulle note giuste».

 Vasco Rossi canta il suo «Generale» e lei canta la «Vita spericolata». Uno scambio di repertori singolare.

«Mi è sempre piaciuto Vasco anche se in qualche modo appartiene a un mondo diverso dal mio e anche se, con pochi anni di differenza, è di un’altra generazione musicale. Cominciai io a fare Vita spericolata nei concerti, mi divertiva vedere come sbandava il mio pubblico quando gli sparavo questa canzone di uno che a quei tempi (parliamo del ‘93) era ancora particolarmente “maledetto” dai benpensanti musicali. E poi quella è una grande canzone! Lui poi fece Generale, anche lui in un concerto, e finì dentro a un suo disco. In realtà poi non è che abbiamo parlato molto di tutto questo... è normale che accadano queste cose. C’è stima reciproca, forse a lui sarebbe piaciuto scrivere Generale, a me sicuramente sarebbe piaciuto scrivere Vita Spericolata».

Un suo ricordo personale – se possibile inedito – di Lucio Dalla.

«Non riesco a ricondurre Dalla a un episodio o a un aneddoto anche se ce ne sarebbero tanti. Lucio era fra le altre cose un uomo molto divertito dagli altri, si vedeva da mille cose, mille battute, mille piccoli gesti più o meno teatrali. Preferisco dire solo che Lucio era profondamente spirituale, nella vita e nel suo lavoro, un musicista sempre imprevedibile, un improvvisatore nato. È difficile usare l’imperfetto parlando di lui. Ha lasciato qualcosa di vitale di vivo nella sua musica e in tutti quelli che lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene».

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Bob Dylan: lo ha tradotto in italiano per l’album «Amore e furto», che traduce appunto «Love and Theft». Quanto c’è di amore e quanto di... furto nella sua passione per Dylan. E lei cosa proverebbe se Dylan traducesse in inglese e cantasse delle sue canzoni?

«Proverei un grande stupore! Non scherziamo, per me tradurre Dylan ha voluto dire entrare ancora più in profondità in un territorio letterario che mi ha nutrito fin da quando ero un giovanissimo scrittore di canzoni, confrontarsi con quella scrittura e avere l’incoscienza di riportarla nella nostra lingua è stata un’avventura entusiasmante. Quanto al furto ci sta... l’originalità nella creazione artistica è una mitologia romantica, ognuno di noi sa quanto è necessario, e nobile, rielaborare il lavoro di quelli che ami e farlo inevitabilmente diventare qualcosa di nuovo e di tuo. Il primo a saperlo è certamente proprio Dylan».

A Bari lei è stato protagonista di un duetto improvvisato con Checco Zalone, che poi ha invitato anche al concerto all’Arena di Verona. Che razza di incontro è il vostro?

«Due artisti che si piacciono, direi... e che guardano con molta disinvoltura alle aspettative della gente e non gliene frega granché di fare cose prevedibili. E poi Luca è un musicista grandioso, quando si stuferà di fare cinema (personalmente spero che non avvenga mai) lo vorrei come pianista nella mia band a patto che non sia troppo sindacale sulla paga».

Per concludere, lei ha cantato «Guarda che non sono io». Ci racconti un aspetto del De Gregori privato che nessuno conosce.

«E che glielo vengo a dire a lei?».

 

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/newsweek/1158231/de-gregori-in-esclusiva-alla-gazzetta-vorrei-zalone-nella-mia-band.html?fbclid=IwAR0COOK79TIR3LZY7Obq9xkJzIZwlT5ztOUUiKuqwgHKEiujBIt6mJR1qC4

 
 

 

Francesco De Gregori incanta la piazza

Al Musart tanta gente ad applaudire il cantautore accompagnato da band e orchestra

 di MICHELE MANZOTTI

Firenze, 17 luglio 2019 - Forse era un successo annunciato. Il fascino della piazza centrale in una sera di estate, l'afflusso di pubblico che ha riempito tutti i posti, la popolarità del repertorio. Eppure dietro al trionfo di Francesco De Gregori  al Musart in piazza Ss Annunziata c'è qualcos'altro, La forma smagliante del protagonista, una qualità musicale riconosciuta da quasi 50 anni e specialmente il suono. Non sembri un fatto scontato: De Gregori sta portando in tour i suoi "Greatest Hits" con un'orchestra, un quartetto (Gnu quartet) e il gruppo che lo accompagna abitualmente. Una combinazione di sonorità che, specialmente con tanti musicisti sul palco, poteva nascondere rischi di una resa poco nitida. Al di là dell'ottimo lavoro dei tecnici, il progetto ha comunque funzionato. Ognuna delle tre identità ha interagito in modo perfetto con le altre e con il protagonista. Merito da suddividere in tanti, ma in particolar modo ricordiamo il violoncellista dello Gnu Stefano Cabrera, il direttore d'orchestra Simone Tonin e i componenti della band con lo storico maestro di palco  e bassista Guido Guglielminetti.

Non possiamo inoltre non sottolineare il lavoro di Alessandro Valle alla chitarra pedal steel che, come nei concerti Off The Record nel mese di marzo al Teatro Garbatella di Roma, riesce a caratterizzare parte de repertorio del concerto in chiave country rock anche in presenza di sonorità più complesse. 

 

 

Con premesse del genere ecco che De Gregori ha potuto affrontare la scena in modo apparentemente tranquillo, anche perché la data di Firenze è arrivata a metà del tour italiano e quindi il meccanismo è rodato. In scaletta c'è ovviamente ciò che il pubblico attende dall'artista romano: immancabili i classici dall'iniziale Generale fino ad Alice e Rimmel (posta nel finale), da Buonanotte Fiorellino a Titanic. Le migliori interpretazioni (e d'altra parte il materiale musicale lo permetteva da un punto di vista melodico) sono giunte da La valigia dell'attore e da Sempre per sempre, ma non dimentichiamo l'energia de Il guanto e di Vai in Africa, Celestino!.  Così l'atmosfera in una piazza del centro di Firenze si è trasformata in quella di un club, di una serata tra amici.

Lo spirito della Garbatella si può ritrovare anche nei grandi numeri. Basta il tocco di un vero artista e il miracolo è servito.

https://www.lanazione.it/spettacoli/degregori-musart-firenze-1.4698118?fbclid=IwAR2h2s0Gnc8bLTEJz201HJsxfN_ZJA7Op7SAQRfV5AUhsBgHZNCzQ0a4tuw

 

E’ un inedito Francesco De Gregori, loquace, divertente e anche evidentemente divertito, quello che è salito ieri sera sul palco allestito in Piazza degli Scacchi nell’ambito del Marostica Summer festival 2019, una delle realtà più interessanti dell’estate musicale del Veneto.

Il bellissimo castello illuminato fa da sfondo al palco, mentre la cinta muraria che conduce alla vecchia fortezza incorniciando il centro storico e la piazza, regalano al pubblico delle grandi occasioni (circa 4000 posti a sedere completamente occupati) un’atmosfera alquanto suggestiva.

 Dopo l’esibizione di Tricarico, cantautore milanese voluto da De Gregori ad aprire i  concerti di questo tour estivo, che ha proposto con verve e intensità convincenti quattro brani del suo repertorio raccogliendo i primi applausi della serata, sugli scanni hanno preso posto i 40 elegantissimi componenti dell’Orchestra.

La Gaga Symphony Orchestra diretta dal Maestro Simone Tonin è una ensemble di giovani e talentuosi musicisti veneti che già ha accompagnato in tour Patty Pravo lo scorso anno e che durante questa estate supporta Francesco De Gregori e la sua Band in un inedita rivisitazione sinfonica dei grandi successi e qualche gioiello prezioso meno noto del Principe della Musica italiana.

 

 

De Gregori, dopo il primo brano interpretato dalla sola orchestra che sembra spiazzare un po’ il pubblico in attesa del vero protagonista della serata, entra in scena sorridente, con una vistosa camicia gialla in stile floreale (sarà stato lui a dettare il ritorno dello stile hawaiano di quest’estate, dopo i primi concerti del tour che l’hanno visto indossare sempre camicie sgargianti su completi di lino chiaro?), senza l’inseparabile cappello e senza gli occhiali a lenti scure con cui negli anni passati si riparava anche sulla scena dalle luci e dagli sguardi dei fans. Ad accompagnarlo, i musicisti che fanno parte sua storica band: il bassista e impeccabile “capobanda” Guido Guglielminetti, il primo a prendere posto a fianco a De Gregori, Alessandro Valle alla pedal steel guitar, il cui suono insostituibile è diventato una specie di “marchio di fabbrica” della recente produzione del cantautore, e al mandolino, l’eccellente  Paolo Giovenchi alla chitarra, la cui presenza rende particolarmente intensi quei brani nati “chitarra e voce” che solo uno come De Gregori può permettersi di interpretare facendo ammutolire la platea, nonché Carlo Gauidiello al pianoforte e la “new entry” Simone Talone alle percussioni.

 

Oltre all’Orchestra, il valore aggiunto in questi concerti è la presenza del GNU Quartet, quartetto genovese in attività dal 2006 che con grande talento e simpatia ha calcato i palchi insieme a numerosi artisti tra cui Neri Marcorè ( con il quale porta in giro per l’Italia da un paio d’anni lo spettacolo Come una specie di sorriso dedicato a Fabrizio De Andrè) e Niccolò Fabi. Il flauto traverso di Francesca Rapetti si sposa perfettamente con i nuovi arrangiamenti dei brani più noti del Principe rendendo emozionanti inedite introduzioni o intermezzi inaspettati, il violino di Roberto Izzo, la viola di Raffaele Rebarudengo e il violoncello di Stefano Cabrera (che ha curato gli arrangiamenti e le partiture per orchestra ) contribuiscono a rendere questa serie di concerti di De Gregori nelle piazze e nei teatri storici italiani davvero sorprendenti e spettacolari.

Inevitabile la standing ovation al termine dell’omaggio a Lucio Dalla, le luci dei telefonini accesi (un tempo erano gli accendini…) sul finale de La donna cannone e la corsa dei fan sotto al palco, come da migliore tradizione, durante i tre bis che il cantautore ha regalato alla fine della serata, tra cui il suo personale omaggio a Elvis Presley accompagnato dalle due coriste (le sue “cocche”) Vanda Rapisardi e Francesca La Colla

 

 Un grande successo quindi, per una serata di rara bellezza che ha alternato momenti di sonorità imponenti con tripudi d’archi e di fiati a brani meno enfatizzati ma resi comunque preziosi dai nuovi arrangiamenti, in un susseguirsi ritmico incalzante e coinvolgente. Quasi due ore di concerto in cui De Gregori ha “tenuto banco” soprattutto con la sua sempre bellissima voce, e poi con un’ironia e un entusiasmo che non fanno certo rimpiangere i tempi in cui il Principe era taciturno e apparentemente “altero”. Evidentemente l’età ha addolcito la sua proverbiale timidezza e ritrosia, e gli ha permesso di continuare a divertirsi nel fare il proprio “mestiere” con rinnovato entusiasmo anche dopo ben cinque decenni di attività.

Testo e foto di Valeria Bissacco

 https://concertionline.com/musica-italiana/francesco-de-gregori-con-orchestra-e-gnu-quartet-presenta-i-suoi-grandi-successi-al-marostica-summer-festival%e2%80%a8/

 

 

 

De Gregori incanta il pubblico di Stupinigi con la sua Orchestra

11 Luglio 2019

In apertura di serata a Stupinigi Sonic Park si esibisce Francesco Tricarico e poco dopo arriva l’orchestra di 40 elementi diretta da Simone Tonin insieme al quartetto degli GnuQuartet, formato da Raffaele Rebaudengo alla viola, Francesca Rapetti al flauto, Roberto Izzo al violino e Stefano Cabrera al violoncello; iniziano con “Oh Venezia” in versione orchestrale poi sulle note di “Generale” arriva l’attesissimo De Gregori.

Con “De Gregori & Orchestra – Greatest Hits Live”, il cantautore 68enne presenta i suoi grandi successi in un contesto sinfonico. In scaletta brani famosi come Alice, La donna cannone, La Storia, Pablo, Titanic, Buonanotte Fiorellino, Rimmel e altri…

Le serate a Stupinigi Sonic Park proseguono con Subsonica, Mark Knoplfer ed Eros Ramazzotti.

Report e foto: Sara Arrabito

https://www.quotidianopiemontese.it/2019/07/11/de-gregori-incanta-il-pubblico-di-stupinigi-con-la-sua-orchestra/

 

 

 

 

Il "principe" Francesco De Gregori tra successi e poesia al Festival di Nervi

Il concerto aperto da Tricarico, poi la "pioggia" di brani famosissimi del cantautore romano

Giulia Cassini 09 LUGLIO 2019

 

Genova - Di De Gregori si parlava già diverse settimane fa nel toto-ospiti del Festival di Nervi e non ha deluso i suoi fan: parchi gremiti (e sold out) per attenderlo già un'ora prima dell'evento lunedì 8 luglio. Un calore che va ben oltre i corsi e i ricorsi delle tendenze, rappresentando un pezzo della storia della musica italiana. Sono passati 47 anni da quando debuttò con l'esordio discografico "Theorius Campus" (con Antonello Venditti) , dove la canzone più interessante resta "Signora Aquilone", poi il successo dell'anno successivo con il 33 giri "Alice non lo sa" e l'album simbolo del 1974 "Francesco De Gregori" con brani quali “Niente da capire”, “Bene” e “Cercando un altro Egitto”. Non si è più fermato il Principe, come lo aveva soprannominato Lucio Dalla nella sua prolifica carriera ha venduto ben oltre 50 milioni di copie.

I fan ricordano i pezzi più noti (“Generale”, “Atlantide” “Pablo”, “La Leva Calcistica della classe ‘68”, “La valigia dell’attore”, “La Storia”, “Sempre e per sempre”, “La Donna Cannone”, “L’abbigliamento di un fuochista”, “Buonanotte Fiorellino”, “Rimmel”), mentre tanti tra i "preferiti" hanno citato l'album "Sulla Strada", titolo omaggio a Kerouac. «De Gregori? - ha detto una ragazza con la madre - è racconto , è ballata, è intreccio con Dalla, Fossati, è anche politica, posizione. Non si è mai nascosto».

Sfilata di autorità (per esempio da Toti all'assessore Grosso) e applausi a scena aperta anche per la livrea raffinata data, tra gli altri, dai Maestri targati Gnu Quartet, (Raffaele Rebaudengo alla viola, Francesca Rapetti al flauto, Roberto Izzo al violino e Stefano Cabrera al violoncello), dalla band e dall'orchestra che hanno accompagnato De Gregori. Cangianti e seriche, ma graffianti nei momenti giusti, le orchestrazioni di Stefano Cabrera.

«Il primo incontro è stato nel 2017 grazie a Neri Marcorè che ci ha fatto incrociare per RisorgiMarche - ha spiegato Cabrera - poi il risultato è piaciuto a De Gregori che quest'anno ha desiderato ampliare quel discorso, infatti ho lavorato ancora su una decina di pezzi. La band con Guido Guglielminetti e gli Gnu garantiscono un alternarsi di sonorità tra pieni sinfonici e momenti più intimi. Certo, confrontarsi con "La Donna Cannone" e predisporre una versione differente è impegnativo, però sono felicissimo del risultato».

A volte è un compito invece facilitato, come per "Il Cuoco di Salò", che è già nato con un respiro sinfonico, in tal caso la rilettura significava «Procedere nel vento della versione originale. Nell'introduzione di Generale già le emozioni sono passate fortissime». In tanti tra il pubblico cercheranno anche di accaparrarsi i biglietti del tour estivo con la Gaga Symphony Orchestra.

Nel bilancio della serata anche Francesco Tricarico in apertura non ha deluso e l'abbinata è interessante, non solo perché ha scaldato a dovere i motori con l'eco del pubblico a " E intanto lei, lei se ne va", ma per la metrica ammiccante, contemporanea. C'è anche chi conosce le sue opere artistiche astratte e chi ricorda il suo libro "Palla persa", una favola d'amore edito da La Nave di Teseo Editore.

 https://www.ilsecoloxix.it/eventi/2019/07/09/news/il-principe-francesco-de-gregori-tra-successi-e-poesia-al-festival-di-nervi-1.36776315

 

 

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C’è sempre stata musica nella vita di Jaime, sin da giovanissimo, da quando lo zio Joe gli insegnò i primi accordi al pianoforte a quando iniziò a cantare in latino nel coro della sua chiesa. Ma furono soprattutto i dischi dei Kingston Trio, Peter Paul e Mary e Bob Dylan ha formarlo fino all’incontro con il folksinger di Boston Tom Rush che gli fece amare il mestiere di cantautore. La carriera di Jaime continuò tra i bar e i pub di Boston e Cambridge, dove aprì concerti di musicisti del calibro di Dave Von Ronk, Doc Watson, Livingston Taylor, Jonathan Edwards etc.

Negli Anni 80 si dedicò al rock e rock’n’roll dando vita a una band nel South Carolina chiamata The Truly Dangerous Swamp Band, aprendo i concerti sempre di artisti molto blasonati quali Bonnie Raitt, Little Feat, Delbert McClinton etc.

Negli Anni 90 lasciò il mondo del rock’n’roll per tornare al suo primo amore: la musica acustica e nel 1997 si trasferì a Santa Fe dove cominciò seriamente la sua carriera da songwriter.

In questi vent’anni ha registrato 10 dischi da solista e ogni lavoro è una sintesi di tutte le sue esperienze musicali e di ogni incontro fatto lungo la strada. Nel 2011 pubblica “The Man with the Time Machine” che vince il premio di album dell’anno al New Mexico Music Awards. La cosa si ripete col successivo, “Unknown Blessing”, prodotto da Jono Manson.

Nel 2016 viene alla luce “Once Upon a Different Time”, prodotto sempre da Jono e pubblicato dalla storica etichetta italiana Appaloosa Records. Il nuovo disco viene accolto molto positivamente dalla critica e rimane per 4 mesi nella Top Ten della prestigiosa classifica Americana del circuito delle radio folk.

Il 18 luglio 2019 Appaloosa Records pubblica If you Fall, registrato a Santa Fe con una band di altissimo livello e la produzione di Jono Manson. L’album contiene omaggi a Greg Trooper e Townes Van Zandt e una sorprendente cover in inglese di un celebre brano italiano di Francesco De Gregori (Rimmel). RAI 1 dedica uno speciale a questa canzone che grazie a Jaime Michaels ora farà il giro del mondo.

http://www.woodinstock.org/home/musicisti-e-artisti/391-jaime-michaels

 

 

 

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La Donna Cannone fa volare la Notte Rosa: per il Comune avvio all’insegna del pienone

Il sindaco Gnassi: "Come ha detto De Gregori, senza passione e coraggio non si vincono partite e sfide"

Redazione

06 luglio 2019 15:28   

Partenza con un bagno di folla nel rosa per il lungo weekend del Capodanno dell’estate. Nelle piazze, sul lungomare, in spiaggia, nei tanti locali della Riviera è andata in scena una ‘Pink Revolution’ collettiva da tutto esaurito. Un miracolo che si è ripetuto ancora una volta, dopo 14 anni, all’insegna di un rosa più vivido che mai. “Non so se è un destino, una lotteria, un miracolo che si ripete – commenta il Sindaco di Rimini Andrea Gnassi – Ma so che senza passione e coraggio non si vincono partite e sfide. Come ha cantato ieri De Gregori, in un concerto eccezionale per carica di emozioni e presenza di pubblico: “Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo e dalla fantasia”. In questo caso il giocatore è Rimini che con le sue “scarpette di gomma dura” ha inanellato, in una squadra compatta, quattordici anni di successi, che non accadono per caso”.

 

Il cuore della festa riminese è stato Piazzale Fellini, gremito fino all’inverosimile, per assistere ad uno dei concerti più emozionanti di sempre: dopo il via di Tricarico con i suoi successi, davanti al Grand Hotel Francesco De Gregori ha iniziato sulle note di ‘Generale’ un viaggio sinfonico dal vivo con un'orchestra di 40 elementi (la Gaga Symphony Orchestra diretta dal giovane Simone Tonin che si è distinto per energia e simpatia), dallo Gnu Quartet e dalla sua band di lungo corso. Ed è stato un De Gregori mai sentito prima, con brani riarrangiati appositamente per il suono dell’orchestra, capaci di produrre come mai armonie e aumentare le potenzialità espresse dai testi, amplificando le emozioni. Emozioni che ieri sera hanno travolto il pubblico di piazzale Fellini che si è ingrossato di ora in ora fino a raggiungere un colpo d’occhio straordinario e il suo apice con Pablo, uno dei pezzi cult che raramente De Gregori propone dal vivo e poi ancora con Bufalo Bill cantata con la chitarra, Titanic, L’uomo che cammina sui pezzi di vetro.

Tra un brano e l'altro De Gregori ha lanciato omaggi alla città di Rimini: “Questa è la piazza dedicata a Fellini, forse per voi è normale, ma per me è un’emozione unica che mi ricorda delle immagini straordinarie come quella di Fellini con la frusta che dirigeva il set di 8 e ½”.

Poi il gran finale che ha visto il cantautore dedicare inaspettatamente un brano non suo, I Can’t Help Falling in Love With You di Elvis, al pubblico e a se stesso, insieme alle due coriste, seguita dalle immancabili Buonanotte Fiorellino e Rimmel che hanno chiuso il concerto per dare il via allo spettacolo di fuochi d’artificio all’unisono sul cielo di tutta la Riviera romagnola.

La festa è proseguita per tutta la sera, con i viali delle Regine stracolmi che hanno visto una proposta strutturata in tutti i locali, chioschi, passando attraverso decine di dj set, musica live, le feste nei chiringuiti, per una notte indimenticabile, lunga 15 chilometri, fino al primo sorgere del sole sulla spiaggia di Rimini Terme con le note raffinate del Maestro Cacciapaglia che hanno incantato un pubblico eccezionalmente numeroso, dando il via ufficiale nel migliore dei modi al lungo weekend più ‘ricco’ dell’estate. Ricco di proposte con oltre 100 appuntamenti solo nella città di Rimini, ricco di presenze turistiche e partecipazione, anche per la concomitanza fortunata di due grandi appuntamenti come quello della Notte Rosa e di Sportdance, ricco per gli operatori perché la Notte Rosa da 14 anni è una motore di emozioni e di lavoro che gira a pieno ritmo. Una notte entusiasmante che si conferma il pilastro dell’estate in Riviera, per un appuntamento che occupa, grazie alla partecipazione, alla voglia di vivere insieme e di divertirsi, ai numeri economici e dell'indotto, un posto di leader nel cartellone dell'intera estate italiana.

 

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“Gli eventi e la loro organizzazione - ha spiegato il sindaco Gnassi - sono lo specchio dei tempi che modificano le nostre abitudini. La Notte Rosa 2019 è un inno alle grandi e piccole rivoluzioni di ogni giorno. La Notte Rosa è rivoluzione con l'amore al centro, una rivoluzione delle relazioni, fatta di luoghi e affetti, che dice no alla paura e allo stare chiusi alzando muri. E oggi non a caso si inaugura la mostra Revolution di Luca Beatrice. Rimini si conferma ancora una volta un modello che, con il contributo di tutti, forze dell’ordine, Prefettura, Questura, Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia municipale, rende possibile vivere eventi di questa portata in totale sicurezza, senza registrare particolari incidenti, anche grazie alla puntuale attività di prevenzione e vigilanza”

http://www.riminitoday.it/

 

 

Spesso la gente mi dice che parlo di Francesco come di uno di famiglia.

È vero. Ma accade in modo naturale, quando una presenza diventa costante come la sua.

Quando ritrovi musica e parole in ogni momento significativo del tuo percorso, da quando eri poco più che una bambina ad oggi che vesti i panni di un'adulta.

Francesco c'è sempre, da sempre e per sempre. Non ricordo un solo momento da quando è arrivato, in cui abbia sentito l'esigenza o mi sia trovata a metterlo da parte.

Mi piace definirlo colonna sonora della mia esistenza, perché è quello che rappresenta per me.

Ed è una presenza imprescindibile, un po' platonica forse, ma totale.

È Francesco. E tutti sanno chi è Francesco per me (tranne lui, che ci tiene a ricordarci delle sue buste della spesa ogni qual volta ci pare di varcare troppo il confine tra la sua realtà e quella di chi lo ascolta).

Francesco è Francesco e ieri sera mi è piaciuto un sacco.

Una scaletta che ho trovato incredibilmente giusta, un'orchestra che lo ha accompagnato in modo sublime con arrangiamenti incredibili.

Le colonne portanti che lo affiancano da una vita, impeccabili come sempre.

Un coinvolgimento con il pubblico sentito ed apprezzato.

E la sua armonica, che sia benedetta.

Poi le critiche, che io un po' anche le capisco, ma non le appoggio proprio tutte.

Che si, De Gregori non sarà da Notte rosa in Piazza e da pubblico di ieri.

Che il contesto possa sembrare un po' decontestualizzato e a tratti bizzarro.

Che si, noi fan storici, se proprio così volete chiamarci, certe cose non le riusciamo a vedere perché parliamo con gli occhi dell'amore.

È vero, ve ne do atto.

Probabilmente alcune scelte possono essere più o meno condivisibili, ci sono volte in cui ci verrebbe da chiederci "che si è messo a fare?

Altre volte per fortuna ci rendiamo conto che rimane sempre lui, con o senza barba, più o meno capelli, cappello o non cappello.

È sempre Francesco.

E nella vita di ogni artista, come in quella di ogni persona, si attraversano fasi diverse in cui non sempre chi lo segue riesce a riconoscerlo.

O a riconoscersi.

Perché a volte mi chiedo se sono le sue scelte da artista che non riusciamo più a capire o se siamo noi che ci aspettiamo di vederlo sempre in un determinato modo.

La risposta, come sempre, me la dà lui (Guarda che non sono io la mia fotografia, che non vale niente e che ti porti via).

Io nel frattempo continuo a macinare chilometri per le emozioni indelebili che mi regala ogni volta.

Serena Menichini

 

 

 

 

 

«Sono permaloso, sì, e non tanto autoironico. Quando riesco a esserlo mi compiaccio con me stesso».

Francesco De Gregori ci riesce sicuramente nell’intervista a Vanity Fair.

Il cantautore, che è alle prese con il suo grande tour estivo, racconta come gli anni (ne ha 68) lo hanno cambiato:

«Ora sventolo la mia stupidità, la stupidità che abbiamo tutti, senza farmi tanti problemi e quell’ansia di sembrare intelligente e colto a ogni costo proprio non mi riguarda più. Tendo a trattare le cose con più leggerezza di ieri e se qualcuno mi cita un autore che non ho mai sentito nominare domando soltanto: “Scusa, chi?”».

Nostalgia dei vent’anni?

«Dal punto di vista della prestanza fisica e dell’agilità, certo che ce l’ho. Adesso prima di chinarmi a raccogliere le chiavi di scatto ci penso due volte e se devo fare una corsa per salire sull’autobus preferisco non prenderlo. Il meccanismo perde colpi, ma so che è così per tutti e non ci rimugino sopra. In cambio ho altre cose: una lucidità diversa, una pacatezza nei confronti del mondo, un’inclinazione al perdono verso me stesso e verso gli altri, una capacità di mediazione che da ragazzo non avevo. (…) Quando litigavo pensavo di aver ragione, certo, ma se uno si scusava con me apprezzavo l’onestà dell’interlocutore. Ma è successo raramente. È accaduto piuttosto il contrario, e cioè che abbia chiesto scusa io. Avvenne con Morandi. Era un periodo in cui Gianni – che poi riuscì perfettamente nell’impresa – stava cercando di riemergere dopo un periodo difficile. Un momento delicato in un processo di rinnovamento, e io gli feci una carognata».

La «carognata» fu scatenata dalla decisione di Gianni Morandi di mettere in un suo disco Buonanotte fiorellino senza chiedergli il permesso.

«Aveva preso la mia canzone più famosa e dal mio punto di vista l’aveva stravolta tagliando una strofa e rendendola quel che non avevo mai desiderato diventasse: una canzone zuccherosa. La faceva cominciare con “Buonanotte, buonanotte fiorellino” invece che con “Buonanotte, buonanotte amore mio”. Lei mi dirà che non c’è differenza, ma per me che l’avevo scritta la differenza c’era eccome. Sta di fatto che andammo in tribunale e un giudice inopinatamente mi diede ragione bloccandogli il disco e creandogli un danno psicologico e tecnico (…) Ci siamo guardati a lungo in cagnesco. Poi, anni dopo, ci siamo incontrati a una riunione o a una festa, lo vidi da solo al tavolo, mi alzai e andai a salutarlo: “Gianni, scusami, quella volta ho fatto una cazzata ma oggi non la farei più”».

Nell’intervista, il cantautore spiega con altrettanta franchezza il retroscena dell’aneddoto di lui e Claudio Baglioni che si fingono chitarristi di strada a Trastevere.

«Nei confronti di molti colleghi, prima di conoscerli personalmente, ho avuto antipatie forti, del tutto irrazionali. Magari mi imbattevo in una dichiarazione su un giornale e mi facevo dell’altro un’idea sbagliata senza considerare che chiunque avrebbe potuto fare lo stesso con me leggendo una mia intervista. Il più spiritoso di tutti fu Baglioni. Dopo essersi visto maltrattare su un giornale venne col quotidiano sotto braccio sotto le finestre della mia prima casa a Trastevere per affrontarmi: “Francesco, ma che hai detto?”, “No Claudio, ma sai, c’è un equivoco”. Finimmo a ridere, fu molto simpatico. Andammo a mangiare, bevemmo di tutto, ci ubriacammo e ci dicemmo “andiamo a fare un po’ gli scemi e vediamo quanta gente si ferma ad ascoltarci”. Non si fermò nessuno. “Francesco se la prese”, disse poi lui ma non era vero, quello famoso era Claudio, al limite, a indispettirsi nel non essere riconosciuto fu lui».

Le donne, dice De Gregori a Vanity Fair, sono «una metà del mondo che per me resta misteriosa, inascoltabile e non svelabile.

Io sono della scuola di Elisa e Ligabue: “Quante cose che non sai di me/ Quante cose che non puoi sapere/ Quante cose da portare nel viaggio insieme”».

Anche nelle amicizie maschili, spiega, crede nell’importanza di non conoscersi così a fondo:

«Se qualcuno mi piace molto non ci passo le ore al telefono scavando al solo scopo di farmelo piacere di più».

Proprio all’amicizia, racconta il cantautore nell’intervista, è legata una sua clamorosa bugia: l’annuncio del ritiro dalle scene nel 1977, dopo una durissima contestazione da parte degli autonomi al Palalido di Milano.

«Io e mia moglie Chicca eravamo amici di Gianni Pennacchi, il fratello di Antonio, lo scrittore. L’idea di annunciare al mondo il mio ritiro nacque dal desiderio di fargli un piacere. Gianni faceva un praticantato alla Stampa e venne a parlarmi: “France’ me devi da’ una mano, non mi pubblicano niente. Facciamo una cosa che c’ho solo io, famo il botto”. “Sai Gianni”, risposi, “è successa questa cosa del Palalido e io non ne ho mai voluto parlare, ti rilascio un’intervista bomba in in cui dico che mi ritiro dalle scene”, e dissi quella cosa del ritiro, strumentalmente, per dare a Gianni una possibilità. Andò bene e lo assunsero. Pensi che questa storia non l’avevo mai raccontata».

 

Questo è un estratto dell’intervista di copertina in uscita sul numero 27 in edicola da mercoledì 3 luglio 2019.

https://www.vanityfair.it/music/storie-music/2019/07/02/francesco-de-gregori-intervista-copertina-vanity-fair-canzoni-foto-vita-privata

 

 

 

 

Sotto le stelle di Lucca un indimenticabile De Gregori

lunedì, 1 luglio 2019, 08:37

di marco materassi

In una Lucca ancora emozionata per la splendida serata che ha visto il concerto del maestro Ennio Morricone, nemmeno il tempo di respirare che, in una Piazza Napoleone gremita in ogni ordine di posto, tocca al "principe" De Gregori regalare emozioni vere per un concerto che non sarà facile dimenticare.

Una serata di quelle in cui non manca nulla a cominciare dalla special guest Noemi che, puntuale alle 20.30, entra sul palco, accompagnata da una strepitosa band; la cantante napoletana regala ad un attento pubblico un abbondante antipasto di quello che sarà il suo nuovo tour. Ecco che accanto agli storici successi, "Bagnati dal sole", "Sono solo parole", "Per tutta la vita", anche alcuni brani dove la musica blues e funky si accompagna alle versioni italiane di questa grande interprete.

Non manca nemmeno un omaggio a Bob Marley accompagnata solo dalla chitarra di Bernardo Baglioni, e, prima di salutare il pubblico con una struggente versione di "Vuoto a perdere", scaldare tutta la piazza con una versione da brividi di "Proud Mary".

Mentre ormai tutti attendono l'ingresso sul palco di De Gregori è Tricarico a far sognare la platea con la lirica e la delicatezza dei suoi testi: "Io sono Francesco", "Musica" e "Vita tranquilla", in una versione intima accompagnato solo da un pianoforte.

E alle 21,45, preceduto dall'ingresso dei quaranta elementi della Gaga Symphony Orchestra dalla sua storica band, entra lui, il "principe Francesco.

Vestito di lino, camicia hawaiana, sneakers bianche, senza uno dei suoi tanti cappelli ("me lo sono dimenticato in camerino", dirà nel corso della serata), un breve saluto e via con "Generale" in una versione dove l'introduzione degli archi voluta dall'arrangiatore Stefano Cabrera è un'assoluta novità. Poi via con la scaletta, senza una pausa, senza mai fermarsi: "Il cuoco di Salò", "La storia", "Pablo" (brano che non veniva riproposto da molto tempo), "La valigia dell'attore", la famosa eppur sempre bellissima "La leva calcistica dela classe '68", fino alla canzone "Guanto" per la quale si è ispirato ad una serie di incisioni di Max Klinger, in un arrangiamento accattivante che  piace al pubblico, che in un silenzio religioso ascolta questo grande straordinario cantautore.

 

Si prosegue con la romantica "Sempre e per sempre"; il tempo di togliersi la giacca, prendere la chitarra e arriva "Buffalo Bill", poi ecco Santa Lucia con la dolce melodia della pedal guitar di Alessandro Valle.

Applausi, qualche gag col pubblico, con un De Gregori che, se anche un po' invecchiato, è sempre istrionico, gigione, spiritoso e rispetto al passato molto più sorridente.

Il fascino della grande orchestra quaranta rende come nuove anche le sempre eterne "Alice e la Donna cannone", come se i testi si sposassero perfettamente alle tonalità, alle melodie che la grande orchestra trevigiana, diretta magistralmente da Simone Tonin riesce a far risuonare.

Si va avanti con "Vai in Africa Celestino", poi "Pezzi di vetro", per arrivare, come in un viaggio alla partenza del Titanic, dove oltre alla canzone che da il titolo all'indimenticabile album, la nuova versione dell'"Abbigliamento del fuochista" fa venire i brividi.

Altro momento da non poter dimenticare e da conservare nei ricordi di questa bella serata lucchese è quando presenta la cover di "Can't help failing in love", del grande Elvis Presley.

Poi come in un crescendo di emozioni ecco "Buonanotte fiorellino" e "Rimmel".

Finisce qui, solo la serata, perché le note, la musica, le parole di questo concerto ci accompagneranno nel nostro ritorno. Sia a piedi, che in auto o in moto, stasera la notte non può essere silenzio, la notte è ancora giovane, nessuno stasera vuol dormire, tante, troppe le emozioni vissute, e come dice una sua canzone "poco prima dell'alba quando il buio è più nero, però ti leggo nel pensiero".

Grazie Francesco, principe senza età.

https://www.lagazzettadilucca.it/cultura-e-spettacolo/2019/07/sotto-le-stelle-di-lucca-un-indimenticabile-de-gregori/

 

 

L'INFINITO di Giacomo Leopardi,

tradotta in romanesco da Francesco De Gregori

 

Quanto me pò piacé ‘sto montarozzo

E ‘sta siepe che er mejo de la vista

Dell’urtimo traguardo me nasconne.

Ma si me siedo e guardo, spazzi senza

Confine là de dietro, e ‘na gran pace,

E silenzi che l’omo nun conosce

Me raffiguro, e tremo. E quanno er vento

Smucìna fra le frasche, me viè fatto

De volé confrontà quell’infinito

Silenzio co ‘sta voce: e allora penzo

Ar tempo eterno e a tutte le staggioni

Annate, e a quella attuale e tanto viva

E fracassona. E ‘n mezzo all’universo

Così s’affoga la raggione mia:

E è dorce naufragà dentro a ‘sto mare.

 

Il «principe» ospite della cantante esegue con lei «Quelli che restano»; «Questa canzone l’avrei voluta scrivere io»

| Max Pucciariello - Corriere Tv

«Questa canzone l’avrei voluta scrivere io- commenta Francesco De Gregori dal palco, ospite a sorpresa del concerto di Elisa giovedì 28 marzo all’Auditorium- Sono molto onorato e contento di cantarla qui con te». Accolto da un’ovazione interminabile, il Principe della canzone italiana, dopo aver terminato mercoledì 27 i suoi live al Teatro Garbatella, invitato dalla cantante friulana sale sul palco per duettare sul brano tratto dall’ultimo disco di Elisa, scritto dalla stessa cantante, con feat di De Gregori. Pubblico in delirio. Con oltre vent’anni di carriera, innumerevoli riconoscimenti e premi, tra cui la Targa Tenco, Disco di Diamante, la vittoria del Festival di Sanremo, Elisa torna con un nuovo album «Diari Aperti» uscito il 26 ottobre 2018 per Island Records.

Il 15 marzo è partito il tour, che la sta portando dal vivo in tutt’Italia, «Diari aperti live nei teatri» e che per due date sold out ha fatto tappa a Roma, all’Auditorium Parco della Musica, mercoledì 27 e giovedì 28 marzo. Il concerto è suddiviso in due parti. La prima più intensa, poetica ed introspettiva, la seconda più energica, più rock. Elisa suona piano, chitarra, tamburo africano ed incanta ed entusiasma con la sua voce unica, potente, dolce e graffiante, i fan che cantano con lei tutti i brani, portano il tempo con le mani e che alla fine non riescono più a star seduti e raggiungono il sotto palco. Elisa li abbraccia, li saluta da vicino, sale l’energia ed il live diventa una grande festa.

Ma nella carriera di Elisa Toffoli, così all’anagrafe, classe 1977, friulana, c’è tanto altro. E’ Ambasciatrice di Save the Children per difendere il futuro dei bambini nel mondo. E’ stata scelta dal brand Mattel che, per il sessantesimo compleanno, ha realizzato una Barbie omaggiandola per rappresentare valori positivi a tutte le bambine che amano questa bambola. E’ interprete del brano Baby Mine, il classico della colonna sonora (premiata con l’Oscar) del film Dumbo del 1941 e dà la voce alla sirena Miss Atlantis nella nuova rivisitazione firmata da Tim Burton per la Disney, uscita nelle sale cinematografiche giovedì 28. Durante il concerto c’è spazio anche per riflettere. Durante il brano «A prayer» scorrono sul megaschermo alle spalle del palco le immagini delle manifestazioni ambientaliste di qualche giorno e la foto della giovane Greta Thunberg. Oltre due ore e mezza di live in cui Elisa racconta la sua vita, la sua carriera, le sue esperienze in modo intenso, intimo e sincero. Appuntamento per i fan romani ad altre due date aggiunte, il 24 e 25 maggio, sempre all’Auditorium Parco della Musica. «Grazie Roma per queste due magnifiche serate. Qui mi sento a casa. Dopo quella friulana, Roma è la mia seconda casa», saluta Elisa dal palco.

https://video.corriere.it/elisa-all-auditorium-duetto-sorpresa-francesco-de-gregori/140132a0-521c-11e9-95de-b93fcff37bd3

 

 

 

De Gregori cantaNapoli: «È bellissima, dovrebbe essere la capitale d'Italia»

Un programma speciale dedicato alla vita del cantautore romano che racconta la sua dimensione privata ripercorrendo il tour invernale 2017 tra i club d’Europa, degli Stati Uniti e i Real World Studios di Bath in Inghilterra. Nel doc l’amico filmaker e fotografo Daniele Barraco mostra un De Gregori in totale libertà, senza schemi, ironico e inconsueto.

A un certo punto, a New York, in un'auto che lo porta alla sala concerti, De Gregori scopre che l'autista è di origini napoletane e si lascia andare al suo pensiero. Romantica anche la spiegazione che lo stesso De Gregori dà sull’idea di cantare insieme con la moglie il capolavoro napoletano «Anema e core». «Per festeggiare un compleanno siamo stati a Napoli in un ristorante, da Zi' Teresa» ha spiegato l'autore di «Generale» e di tante altre canzoni indimenticabili. «Avevo intenzione di chiedere al posteggiatore di cantare "Anema e core". Quella sera lui non c’era e allora l’abbiamo fatta noi. È venuta bene e così ho pensato di metterla nel concerto. Io e mia moglie cantiamo spesso assieme, lei suona anche la chitarra. Mi piace il suono delle nostre voci insieme».

https://www.ilmattino.it/societa/persone/napoli_capitale_italia_de_gregori-4148697.html

 

 

 

La "storia" è lui, e arriva a Lugano

Il 28 giugno prenderà il via LongLake Festival: ad inaugurarlo, alle 21 in Piazza Riforma, troveremo nientemeno che Francesco De Gregori & Orchestra

LUGANO - Un “Greatest Hits” in dimensione live, con arrangiamenti orchestrali, per il cantautore romano, in questa unica - e imperdibile - tappa in territorio elvetico.

«È un tipo di concerto che non ho mai fatto nella mia vita - ha spiegato De Gregori in conferenza stampa pochi giorni fa, allo scoccare del tour alle Terme di Caracalla (Roma) - Un concerto con una grande orchestra di 40 elementi, più un quartetto, quello degli Gnu Quartet - quartetto di flauto, viola, violino e violoncello (in cui suona anche Stefano Caprera, violoncellista che ha arrangiato i pezzi per l'orchestra) - e la mia band di sempre - Guido Guglielminetti, Carlo Gaudiello, Paolo Giovenchi, Alessandro Valle e Simone Talone -».

«Credo che un musicista che ormai pratica il mestiere da 50 anni a un certo punto debba inevitabilmente arrivare, o comunque farsi tentare, dal suono orchestrale: perché l'orchestra produce dinamiche, timbriche, armonie che sono a volte nascoste nelle canzoni quando uno le scrive voce e chitarra/pianoforte o le fa con la sua band», ha proseguito. «L'orchestra aumenta queste potenzialità e, personalmente riesce anche a commuovermi perché magari una canzone sembrava una cosetta così… E invece...».

«La musica è liquida, anche in questo senso qui, e non solo la musica pop, la musica leggera… Cambia anche la musica classica… La musica non si presta a stare ingessata», ha aggiunto. «Sta all'onestà dell'interprete o del cantautore riconoscere i cambiamenti che sono avvenuti negli anni: se io facessi “Rimmel” come era nel 1975, sarebbe un falso, perché non si può più fare così…».

De Gregori, un uomo: «Non mi sento storia - ha successivamente sottolineato - Mi sento uno che fa musica, un uomo di spettacolo… Poi che vuol dire storia? Ho scritto delle canzoni che sono piaciute, e alcune rimarranno più di altre, ma questo monumentalizzare il lavoro che faccio non mi trova assolutamente d’accordo... Io sono un uomo con i calli sulla punta delle dita, sono un chitarrista, un uomo che non sa che giacca mettersi la sera quando sale sul palco».

In scaletta torna “Pablo”, sempre percepito come un brano politico: «È un pezzo che poteva proprio essere fatto con l’orchestra… Io non ho mai scritto pezzi politici. È ispirato alla lettura dei “Malavoglia”. Non è per questo che non lo faccio da parecchio tempo e non è che faccio “Pablo” perché sono improvvisamente diventato rivoluzionario… È musica».

E oltre a tanti classici - come “Generale”, “Bufalo Bill”, “Alice” e “La donna cannone” -, nella setlist troveremo anche una cover, “Can’t Help Falling In Love” di Elvis Presley: «È una canzone che mi ha sempre fatto sognare quando la sentivo. Da ragazzino pensavo “quanto sarebbe bello cantarla”... È un piccolo regalo che mi faccio...», ha concluso.

https://www.tio.ch/people/people/1375374/la-storia-e-lui-e-arriva-a-lugano

foto di Francesca La Colla

 

ATTRAVERSO L’ACQUA DI ENZO AVITABILE, OSPITI FRANCESCO DE GREGORI, TONY ESPOSITO E I BOTTARI DI PORTICO

Venerdì 21 giugno, ore 21.30, a Palazzo S. Giacomo di Russi

 “L’acqua unisce tutto quello che separa e il mare, come la musica, è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare”: accompagnato dalle parole - ma soprattutto dalla musica - di Enzo Avitabile, Ravenna Festival continua il proprio viaggio…Attraverso l’acqua. È questo il titolo della prima delle due serate in programma nello spazio open-air di Palazzo S. Giacomo, venerdì 21 giugno alle 21.30. Battezza la notte il titolo di una canzone che Avitabile, sassofonista e cantautore da sempre abituato a mescolare generi e stili diversissimi fra loro, ha scritto a Lampedusa e inserito nell’album Lotto infinito, dove duetta con artisti nordafricani e italiani, tra cui Francesco De Gregori, super ospite anche a Russi. Si uniranno al concerto, oltre alla band di Avitabile e all’ensemble di fiati Scorribanda, il percussionista napoletano Tony Esposito e I Bottari di Portico, suggestivo ensemble che costruisce i ritmi con falci e botti, traghettando le arcaiche tradizioni della Campania contadina nel futuro. Una serata, insomma, per attraversare tutti i confini: fra generi, culture, mari; un canto di accoglienza che è anche una riflessione sulla natura migratoria di ognuno di noi, sempre alla ricerca di una nuova sponda d’oro, di una terra della speranza. La serata è realizzata in collaborazione con il Comune di Russi e con il contributo di Federazione delle Cooperative della Provincia di Ravenna, Federcoop Romagna, Legacoop Romagna.

 

 

 “Ogni creatura è un’isola nel mare,” ripete la voce - pacata eppure indelebile - di De Gregori, che si alterna al dialetto di Avitabile nella canzone Attraverso l’acqua: un’immagine che sembra confezionata su misura per la XXX edizione di Ravenna Festival, il cui titolo “per l’alto mare aperto” (Inferno, XXVI, v. 100) è anche una celebrazione di tutte le dimensioni marittime e mediterranee, nonché di quella natura errabonda che da sempre caratterizza la manifestazione. Animato dal desiderio di scoperta come l’Ulisse dantesco, il pubblico-viaggiatore del Festival approda anche al prato di San Giacomo, dominato dal profilo della seicentesca residenza di campagna dei Conti Rasponi, per una serata di musica sotto le stelle. “Un mix dove niente prevale - sottolinea Avitabile sull’appuntamento a Russi - con una grande attenzione al suono ma anche alla parola, al gesto, alla danza, per viaggiare con la musica, mantenendola indefinita: vogliamo essere il genere, non vogliamo rappresentare un genere”. Un concerto che racconta l’amore per le differenze e la condivisione, unendo voci e suoni in una dedica a tutti coloro che arrivano attraverso l’acqua ma anche a quel grande “mare della vita” con cui tutti dobbiamo misurarci.

 Dai club napoletani affollati di americani al Conservatorio di San Pietro a Majella, dalla pastellessa al canto sacro, passando per la world music, la canzone napoletana, il jazz fusion, il soul, Enzo Avitabile si è mosso con disinvoltura e perizia, fino a modellare una propria inconfondibile cifra stilistica. Nato a Marianella, quartiere popolare di Napoli, e quindi inevitabilmente legato ad orizzonti marini, il musicista ha all’attivo collaborazioni e concerti con artisti pop e rock di tutto il mondo, da James Brown, Tina Turner, Baba Sissoko e Hugh Masekela a un’intera costellazione di artisti italiani, tra cui Bennato, Guccini, Battiato, Giorgia. Ha ricevuto il premio Ubu per il Vangelo con Pippo Delbono e due David di Donatello per la colonna sonora del film Indivisibili di Edoardo De Angelis. Non sorprende che il regista americano Jonathan Demme (Il silenzio degli innocenti, Philadelphia…) abbia dedicato un documentario, Music Life, ai percorsi artistici e umani di Avitabile.

 In una sorta di nostos - viaggio di ritorno - nel 2004 Avitabile ha deciso di non rinunciare al patrimonio musicale della sua terra e ha deciso di incontrare, con un nuovo progetto musicale, l’ensemble dei Bottari di Portico. Portico è Portico di Caserta, ottomila abitanti e una tradizione antica: la colorata festa di Sant’Antonio Abate, tra il 23 e 26 gennaio, è fatta di carri allegorici a forma di barche e di strumenti della cultura contadina (botti, tini e falci) trasformati in strumenti musicali, per produrre un clangore apotropaico. E, ripartendo da uno strumentario della tradizione e un tempo in cui il ritmo doveva scacciare gli spiriti maligni dalle cantine, i Bottari di Portico, guidati dal capopattuglia Carmine Romano, proporranno indiavolati e incessanti pattern.

 Si torna a Palazzo S. Giacomo anche sabato 22 giugno, con La grande notte del ballo popolare, in compagnia dell’Orchestrona di Forlimpopoli e dei Bevano Est. E, come vuole un'apprezzatissima consuetudine, l’atmosfera festosa e informale di entrambi appuntamenti del Festival a Russi sarà accompagnata dagli stand gastronomici (aperti dalle ore 19) che propongono pietanze tipiche del territorio.

 Biglietto posto in piedi: 20 Euro

I giovani al festival: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari (under 30), 50% tariffe ridotte.

Info: 0544 249244 www.ravennafestival.org

http://www.ravennafestival.org/download-pack/21-giugno-a-russi-con-enzo-avitabile/

 

 

 

https://www.iltitanic.com/2023/nos.jpgTAORMINA, 14.6.2019

Mimmo Rapisarda

 

Innanzi tutto preciso che la mia non è una recensione, ma un racconto. Non faccio di mestiere il critico musicale; sono solo un noto fan che cerca di descrivere a modo suo la sua antica patologia musicale.

14 giugno 2019. Memorabile evento che verrà ricordato nella carriera di Francesco De Gregori per il tour accompagnato da una grande orchestra di archi e fiati, gli Gnu Quartet, due vocalist e la sua fedele Band: il capobanda Guglielminetti, Giovenchi, Valle e Gaudiello.

Stavolta non sono con Daniele, mio amico di merende e d’avventure, però entrambi presenti con rispettivi parentami in quelle prime file che, come avevo già scritto, non mi soddisfacevano perché avrei preferito un biglietto tipo “in braccio a Ciccio” in giù (sì, poveretto).

Si parte nel tardo pomeriggio da Catania, con l’auto di mia moglie approvvigionata dal sottoscritto con una pen-drive piena zeppa di buona musica perché, conoscendo i gusti delle mie compagne di viaggio, non volevo correre rischi. Tante belle cartelle (le folder, va) in ordine alfabetico e almeno in questo mi salvavo perché la prima, almeno, era quella degli America.

Purtroppo, per strada, la cosa comincia a non quadrarmi, e la cosa peggiore è scoprire che…… la prima cartella, e non so perché, era denominata AAA D’ALESSIO (sabotaggio) !!!

Aggiungo che non riescivo ad individuare il tasto per saltare le cartelle. Niente, mi arrendo: 45 minuti fino al casello con canzoni da gelataio che mi ricordavano i coni da 5 e 10 lire negli anni Sessanta “si stasera t’avissi vasa, non dirgli mai …..” oppure “tanto 'o saccio vaje pazze pe mme, dimme sulo addo ciamm' a vedè” !!!!

Intossicato, arrivo a Taormina e dopo aver rivisto con piacere gli amici Salvo Cascone e Michela Becciu, mi accomodo al mio posto al Teatro antico già quasi pieno.

Buongiorno buongiorno, mi chiamo Francesco. Tricarico apre la serata con suoi tre brani.

Subito dopo, la splendida “Oh Venezia” (instrumental), eseguita magistralmente dalla Gaga Symphony Orchestra.

 

La band comincia ad entrare e poi… buonasera buonasera, anch’io mi chiamo Francesco! Eccolo, il Principe, avanzare nella sua regale andatura mentre saluta il pubblico siciliano.

Inizia la scaletta, che rimane fissa per tutto il tour: Generale, Il cuoco di Salò, La storia, Pablo, Due zingari, La leva calcistica della classe ’68.

Si vede, già da subito, che è in vena di scherzare “ma che bella gente che c’è stasera, ma com’è che nessuno mi chiama Ciccio, anzi ……… Cicciuzzu?”

Insolitamente ciarliero e disponibile al dialogo, spiega il significato de La valigia dell’attore e poi di come, in meno di un’ora, abbia saputo tradurre in musica e parole (Un guanto) le tavole dell’artista Klinger.

Dopo essersi mosso come un cantante a Brodway col solo microfono, infilato nell’insolito abbigliamento sudamericano e in certe camicie a fiori raccontate nella sua Banana Republic, imbraccia finalmente la sua Gibson per quell’inciso di Bufalo Bill che mi spinse ad imparare la chitarra; e poi Santa Lucia con l’omaggio finale al grande Lucio.

Scherza, precisa che qualcuno si sorprende ancora nello scoprire che De Gregori è una persona normale (vero, garantisco). Ormai si muove sul palco come un animale da palcoscenico, fa divertire i suoi musicisti con smorfie da discolaccio, fa loro i complimenti, come quelli al maestro Carlo Gaudiello che al piano esegue alla grande La donna cannone, Sempre per sempre, Cardiologia.

Reduce da quel contatto col pubblico dopo un mese di concerti alla Garbatella, scherza ancora di più. Si diverte, gli piace guardare tutta quella gente convinta che lui sia la colonna sonora di ognuno di loro, mentre i suoi occhi luccicano davanti a migliaia di torce elettroniche che si muovono come candele solo per lui.

Lui che tanto odiava farlo, accenna un pizzo di gossip riguarda al numero delle sue scarpe, annuncia il Titanic in Spagnolo. Insomma, è rilassata, sta bene e si vede.

Qualcuno chiede Rimmel: “No, è una vecchia canzone, non la facciamo più, era dedicata a una ragazza”. E dalla platea: “e Niente da capire?” A un’altra ragazza!

Scorrono poi veloci Alice, Vai in Africa, Celestino! Pezzi di vetro.

Arrivati a Titanic, vuoi perché il sottoscritto manovra un certo transatlantico multimediale, si sente nell’aria che qualcosa di magico stia per arrivare. E infatti, senza saperlo, fa un omaggio al comandante di questa nave. Nel finale della canzone si accorge di me, seduto in 2° fila di fronte al microfono. Sorride, gli faccio un cenno di saluto e lui mi fa il gesto con la mano aperta: “vieni qua!” Riconoscendomi abilità che, con gli attuali problemi all’anca, reputavo impossibili, con un tuffo carpiato, avvitato, rovesciato (ho esaurito i termini tecnico-sportivi) mi catapulto in quei due metri che mi separano dal Capo che mi aspetta a palmo aperto, davanti a 3.000 persone!

Attorno a me non sento più niente, tutto ovattato. Nemmeno la musica o il pubblico pagante, che non si aspettava questo fuori programma. Con Francesco ci stringiamo fortissimo le mani, gli mando un bacio e alla fine, prima di congedarmi, faccio un saluto militare al Generale che si rialza e finisce la canzone raccontando di quelle ragazze di terza classe che per non morire andarono in America.

Ritorno al mio posto e ricomincio a sentire, piano piano, il sonoro che si ripresenta attorno alle mie orecchie ancora attutite da quel che era appena successo. Mia moglie è stupita anche lei per quello tsunami appena passatole davanti e durato poco meno di 10 secondi. Le dico “non mi rovinare questo momento con Gigi D'Alessio, per favore. Al ritorno a Catania spegniamo direttamente la radio, così non corriamo rischi”.

 

Il Principe presenta tutti e se ne va, ma ritorna per i bis: I can’t help falling in love with you, Buonanotte fiorellino (con un saluto finale anche a Daniele Di Grazia del Rimmelclub e a Luca Francesco, antico fan) e infine l’immortale Rimmel che aspettano tutti, riconosciuta quale portabandiera delle delusioni di ogni italiano appartenente a una certa generazione.

Al mio ritorno a casa ho pensato ai miei 16 anni, di quando vedevo De Gregori come un’entità irraggiungibile, un mito giovanile che non avrei mai potuto incontrare. Rivedendomi oggi a quasi 62 anni, con quel che è successo in tutte le volte che sono stato con lui, devo puntualmente ricredermi su quella convinzione che avevo da ragazzo.

Rispetto a quel che ho dato a De Gregori, da lui ho ricevuto molto, ma molto di più. Ma sto guarendo, e ogni volta mi aiuta proprio lui, facendomi capire che Francesco è solo un amico, non un mito.

Lo so, ma ogni volta mi viene di mettermi lo stesso le mani ai capelli per quel che mi accade! Un esempio? Prima di andare a letto mi sono lavato, con grandi difficoltà, solo con la mano sinistra. Quella destra, ancora pregna di gloria, non l’ho ancora lavata!!

De Gregori & Live Greatest Hits…………..Greatest, molto molto greatest!!

 

 

 

«Stavolta ve le voglio cantare così»: De Gregori a Taormina

di Leonardo Lodato

 

Lo vedi e (soprattutto), lo ascolti in concerto. E ti verrebbe voglia di vederlo e rivederlo ancora. Perché, come accaduto lo le venti date tutte d’un fiato, lo scorso marzo, al Teatro Garbatella di Roma, Francesco De Gregori è uno spettacolo nello spettacolo. Il suo, quello delle canzoni, ma anche il pubblico, il “suo” pubblico. Ipnotizzato, ammaliato, innamorato. Di lui e delle sue canzoni. Poche settimane fa, a Catania su invito dell’Associazione Diplomatici di Cladio Corbino, ha giocato al domatore di leoni nel Teatro greco-romano. Elegante nel look e nelle movenze, come un vero principe della musica e della parola. Martedì sera, invece, ha dato il “la” al suo nuovo tour dalle Terme di Caracalla, altro gioiellino di questo museo a cielo aperto chiamato Italia che, domani, lo vedrà protagonista al Teatro antico di Taormina per tornare ancora, il 25 luglio, al Teatro di Verdura di Palermo.

 

Il principe della musica d’autore, ciarliero come non mai, prima del debutto romano si è concesso ai giornalisti, spiegando i motivi che lo hanno sprinto ad affrontare questa “scommessa”, portando i suoi successi in tournée con la Gaga Simphony Orchestra diretta da Simone Tonin e composta da quaranta elementi, dal quartetto degli Gnu Quartet, (Raffaele Rebaudengo alla viola, Francesca Rapetti al flauto, Roberto Izzo al violino e Stefano Cabrera al violoncello), e dalla band che lo accompagna ormai da lungo tempo (Guido Guglielminetti al basso, Carlo Gaudiello al pianoforte, Paolo Giovenchi alle chitarre, Alessandro Valle alla pedal steel guitar e al mandolino e Simone Talone alle percussioni) e dalle due coriste Vanda Rapisardi e Francesca La Colla.

Questa operazione, dopo il “furto per amore” dei brani di Bob Dylan, dimostra come la sua musica non sono non ha tempo, ma ben si adatta a stili differenti. Cosa spinge un artista ad intraprendere strade apparentemente differenti rispetto al percorso “abituale”?

«La canzone  è un qualcosa di vivo, non si può pensare ad essa come a qualcosa che rimane inalterato dall'inizio al termine o, ancora, pensarla come a qualcosa che non si possa toccare. La musica è liquida, anche in questo senso qui, e non solo la musica pop, la musica leggera. Cambia anche la musica classica. La musica non si presta a stare ingessata. Sta, io credo, all'onestà dell'interprete o del cantautore riconoscere i cambiamenti che sono avvenuti negli anni e, quindi, non volersi imporre e non imporre al pubblico quello che è stato nel tabernacolo: se io facessi  “Rimmel” come era nel 1975, sarebbe un falso in atto pubblico, perché non si può più fare così, io non ci sono più, “Panta rei”. De Gregori del ‘75 già nel ‘76 non c'era più, e poi non ci sono più quei musicisti, quegli impianti, quegli strumenti, e quindi la canzone è viva. Questo è un privilegio che hanno le canzoni rispetto alle arti espressive. Penso, ad esempio, alla pittura: un pittore una volta che fa un quadro e lo espone in un museo non può il giorno dopo tornare e dare una pennellata diversa, può farne un altro. Lo stesso un regista. Fellini che dopo un anno rivede “8 e mezzo” magari gli viene l'idea di cambiare qualcosa ma non può farlo. Chi scrive e canta canzoni se lo può permettere e io me lo permetto, senza scandalizzare nessuno. Come avrete sentito, le canzoni sono filologicamente rispettate al 100%».

Quello in Sicilia è un ritorno a poca distanza dal precedente concerto che ha tenuto (per pochi intimi) al Teatro greco-romano di Catania. Adesso la aspetta (e non è la prima volta) il Teatro antico di Taormina. Quanto influisce l’ambiente circostante nella sue performance? E cosa offre in più, rispetto a un teatro o ad un palazzetto, un sito con dietro una storia millenaria?

«Ovviamente una differenza estetica importantissima. Certi posti ti danno un’emozione importante. Sono posti della storia dell’arte. Penso a tanti artisti americani che non hanno posti con questa storia alle spalle. Sarei un imbecille se dicessi che i luoghi sono indifferenti. Detto questo, il rapporto tra la mia musica e il pubblico è comunque lo stesso. A me piace proprio fare concerti, anche sotto i portici e in discoteche in disuso, nei campi sportivi sperduti. Mi piace fare musica, lo faccio con la stessa gioia e la stessa fierezza quando faccio un concerto».

Qual è stato l’approccio ad un’orchestra sinfonica e con quali criteri sono stati scelti i brani da inserire nella scaletta del tour?

«È come avere dei figli, ogni giorno li vesti in un modo o in un altro, però alla fine sempre figli sono. La struttura, la spina dorsale delle cose che ho scritto, non è cambiata. Questa cosa non ha preso il sopravvento sulle canzoni, sulle parole, è solamente un’integrazione che sviluppa delle dinamiche, delle linee melodiche che erano sottintese nella struttura originale e che ora ho portato allo scoperto, grazie a come sono state arrangiate e all’orchestra. Questo era il progetto: anche il fatto di tenere la mia band all’interno di questo spettacolo nasce proprio dalla necessità di non abbandonare, ma anzi alimentare il modo in cui le canzoni sono nate. Questo rimane, non viene annullato o cancellato. C’è in più qualcosa che si compenetra. L’orchestra cambia tutto, quindi in ognuna ho trovato qualcosa. Anche ne “La donna cannone” nonostante il nuovo arrangiamento sia molto simile all’originale … per non parlare di “Generale” o “Pablo”. La musica deve essere sempre una sorpresa, a parte l’orchestra».

A proposito di “Pablo”, una canzone che non portava sul palco da un bel po’ di tempo. C’è un motivo particolare per il quale “Pablo” è rimasto relegato in panchina?

«No, il motivo è che la gente mi ha sempre chiesto perché non la facessi. “Pablo” è un pezzo che poteva proprio essere fatto con l’orchestra, ha una certa solennità. Io l’ho provato, ci sono dei punti in cui vai in alto, che quando hai l’orchestra dietro hai un risultato lirico importante. Con la band l’ho fatta una sera alla Garbatella. Funziona ancora. Se la fai voce e band può funzionare, anche meglio con una grande orchestra. È sempre stato percepito come un pezzo politico? No! Io non ho mai scritto pezzi politici. È ispirato alla lettura dei “Malavoglia”. Non è per questo che non la faccio da parecchio tempo e non è che la faccio perché sono improvvisamente diventato rivoluzionario… è musica».

 

https://www.lasicilia.it/news/spettacoli/253051/stavolta-ve-le-voglio-cantare-cosi-de-gregori-a-taormina.html

 

 

 

E IL “PRINCIPE” COINVOLGE AFFABILMENTE IL PUBBLICO: «NESSUNO MI CHIAMA CICCIO?»

di Vincenzo La Corte

 

E’ proprio vero, la musica è viva, la musica cambia: la sua magia non muta, seppur “vestita” di una melodia diversa, i cui arrangiamenti danno voce ai cambiamenti che si rincorrono negli anni. Davvero una scelta azzeccata proporre la propria musica immersa in un contesto sinfonico, cui aggiungere lo sfondo di uno scenario dal forte impatto estetico, da togliere il respiro. Emozioni e tanta buona musica, FRANCESCO DE GREGORI ha presentato al Teatro Antico di Taormina i suoi più grandi successi accompagnato dalla Gaga Symphony Orchestra, diretta dal maestro Simone Tonin e composta da quaranta elementi. Sul palco anche il quartetto Gnu Quartet (Raffaele Rebaudengo alla viola, Francesca Rapetti al flauto, Roberto Izzo al violino e Stefano Cabrera al violoncello, autore di tutti gli arrangiamenti dei pezzi proposti nella serata), la band storica che accompagna De Gregori da lungo tempo con Guido Guglielminetti al basso, Carlo Gaudiello al pianoforte, Paolo Giovenchi alle chitarre, Alessandro Valle alla pedal steel guitar e al mandolino, infine Simone Talone alle percussioni, e le due coriste Vanda Rapisardi e Francesca La Colla, le “Cocche” come chiamate affettuosamente dallo stesso cantautore.

Alle 21 in punto, la scaletta vede un applauditissimo Tricarico aprire il concerto con i suoi brani più famosi, poi è la volta dell’orchestra, che il giovane maestro Tonin guida sapientemente fra le note di una commovente e assai emozionante versione sinfonica di “O Venezia che sei la più bella”, brano scritto da De Gregori insieme a Giovanna Marini, inserito nell’album “Il fischio del vapore” del 2003. Il pubblico apprezza tantissimo il pezzo esclusivamente strumentale, la veste sinfonica del brano accarezza tutti gli oltre tremila fans che riempiono ogni ordine del teatro.

Francesco De Gregori esce finalmente sul palco, elegante, saluta tutti con un mezzo inchino, chiamato dagli spalti con autentica ovazione: niente cappello, ma vestito bianco e scarpe chiare, sotto la giacca una camicia hawaiana. L’inizio è da trattenere il fiato, archi e flauti si combinano insieme e si parte con “Generale”, sull’onda emotiva di un testo da brividi e il gioco di luci che si staglia sulle rovine del teatro antico. E’ l’ora de “Il cuoco di Salò”, con l’indice il cantautore romano punta il pubblico che lo accompagna entusiasta sulle note del refrain “…qui si fa l’Italia e si muore”. E il momento storico-patriottico aumenta d’intensità, “La storia”, e con i gesti della mano spinge ad accompagnarlo, allargando le braccia come a voler stringere tutto il pubblico. Il tempo di appoggiarsi un attimo sul pianoforte di Gaudiello, perché la solennità lo impone: “Pablo”, uno dei pezzi cult riproposto dal vivo, senza alcun significato politico, come lo stesso De Gregori ha detto in una recentissima intervista. Fra le sonorità della chitarra acustica e le coriste che impreziosiscono il ritornello, il brano introduce la struggente “Due zingari”, cui fa da eco una sezione di archi memorabile.

 “La leva calcistica della classe ‘68” e il buon Nino che insegue il suo sogno: De Gregori si accoscia alla fine, quasi fosse con la propria squadra al rituale momento della foto di inizio gara. Si schernisce il grande cantautore presentando “La valigia dell’attore”, esatta descrizione del doppio ruolo che un uomo di spettacolo riveste, della sottile linea di demarcazione fra privato e pubblico.

La serata scorre, quasi a metà del percorso, due chiacchere con i fans: «Per alcune cose -racconta Francesco-, traggo ispirazione dal lavoro di altri, uno di questi è “La ballata di Cable Hogue” di Sam Peckinpah (il personaggio “culo di gomma famoso meccanico” di Bufalo Bill, ndr); “Rimmel” da una ragazza, “Niente da capire” da … un’altra ragazza»! La bella ballata dalle assonanze western caratterizza “Un guanto”, introdotta dallo stesso cantautore come ispirazione al capolavoro dal medesimo nome dei disegni di Klinger.

E’ un bel momento quando De Gregori imbraccia l’inseparabile Gibson e, pizzicando le corde, attacca con ritmo “Bufalo Bill”, che ha un grande seguito di cori peraltro ben intonati, dieci a tutti, bravi! Quanto muove il cuore “Santa Lucia”, e quanto emoziona alla fine il cameo dedicato all’amico Lucio Dalla, il pubblico applaude commosso. “Alice” fu la sua prima hit, seppur arrivata ultima al “Disco per l’estate”, gatti e luna del testo si incastonano perfettamente nel magico scenario del teatro e del cielo taorminese. Che bella atmosfera: ora violini e violoncelli si inseguono facendo a gara con la leggiadria del flauto di Francesca Rapetti. Anche il “principe” si emoziona, “La donna cannone” trascina talmente l’intero ensemble che alla fine proprio gli orchestrali “danno il la” a tutto il pubblico, invitandolo ad accendere il flash dei propri telefoni. Che spettacolo! “Vai in Africa, Celestino!” è una bella ballata rock, poi nuovamente l’acustica rara e raffinata di “Pezzi di vetro”, e la vena romantica di “Cardiologia”.

Ritorna a introdurre e spiegare il pezzo seguente, la mamma saluta un figlio che non vedrà mai più, questo è “L’abbigliamento di un fuochista”, che fa da apripista al gran finale, quel “Titanic” che ti avvicina alle tre classi della nave inaffondabile e alle mille lire, al capitano e il cappellino della ragazza che per sposarsi va in America. Non ci sta il pubblico, chiede a gran voce che escano tutti, Francesco torna e abbraccia le sue “cocche” intonando “Can’t Help Falling in Love”, ballata portata al successo da Elvis Presley, canzone che gli faceva sempre ascoltare il fratello quando era ragazzino. Non mancano, richiestissime, la splendida “Buonanotte Fiorellino” e la ricercatissima “Rimmel”, storia di un addio freddo e distaccato che lo portò al successo vero nel lontano 1975, ora anche in chiave sinfonica, ma arricchito da un assolo di flauto e dell’armonica dello stesso Francesco. Saluta De Gregori e rinvia il pubblico alla prossima occasione, ma non è poi così tardi per i suoi fans che “… a dormire non ci vogliono andare”.

 http://www.globusmagazine.it/francesco-de-gregori-magico-la-sua-orchestra-sullo-sfondo-taormina/?fbclid=IwAR34axhMR3AFslYzAAPdq8sbK1Z8reWORDrRqA7L1vR3PZfte4Pigo_juy0#.XQeZK4gzZPZ

 

 

 

 «Sono particolarmente felice che la Stagione estiva 2019 alle Terme di Caracalla venga aperta da un evento eccezionale quale il concerto di Francesco De Gregori accompagnato da una grande orchestra - ha dichiarato Carlo Fuortes, sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma - Le Terme di Caracalla da qualche anno a questa parte sono aperte alle eccellenze musicali oltre i rigidi confini dell’opera e della musica classica. E la musica e l’arte di De Gregori, da molti decenni, rappresentano un vertice assoluto della canzone italiana, una delle forme più antiche e nobili del nostro patrimonio musicale. Il concerto di Francesco De Gregori, come inaugurazione, sarà un grande omaggio all’artista amato da tutti gli italiani, ma anche - grazie alla splendida e unica cornice delle Terme di Caracalla - una consacrazione del suo straordinario lavoro artistico».

DE GREGORI CONQUISTA CARACALLA

di Antonella Nesi

 

Francesco De Gregori in versione sinfonica entusiasma la platea delle Terme di Caracalla. Il cantautore romano ha aperto dal palco romano il ‘De Gregori & Orchestra – Greatest Hits Live’, il tour estivo che lo porterà ad esibirsi fino a settembre in location outdoor suggestive con una scaletta di oltre venti canzoni tra le più amate del suo repertorio eseguite per la prima volta con un’orchestra di 40 elementi. “Un concerto che non ho mai fatto nella mia vita. Oltre alla Gaga Symphony Orchestra di Treviso, ci sono infatti con lui sul palco gli Gnu Quartet per gli archi e la mia band storica. È uno spettacolo che mischia un tessuto musicale, una contaminazione fra generi vari”, spiega De Gregori prima di salire sul palco.

Nella scaletta, che si apre con una versione strumentale di ‘Oh Venezia’ (“volevo una canzone festosa e popolare”) proprio per dare subito il senso della novità di questo tour sinfonico, le sue hits prendono nuova luce senza snaturarsi: “L’orchestra non ha preso il sopravvento sul mio modo di cantare ma sviluppa delle linee sinfoniche che erano solo sottointese nella struttura originale dei pezzi e che qui vengono fuori” con una nuova potenza. “Ci sono pezzi, come ‘Pablo’, che con l’orchestra trovano una dimensione lirica importante…”.

Oltre a ‘Pablo’, in scaletta ci sono, come dichiara il titolo del tour, tutte greatest hits: da ‘Generale’ a ‘Il cuoco di Salò’, da ‘La storia siamo noi’ a ‘La leva calcistica della classe ‘68’, da ‘Sempre per sempre’ a ‘Bufalo Bill’. Quando intona ‘Santa Lucia’, sul finale l'orchestra accenna poche note d 'Come è profondo il mare' in omaggio al collega e amico Lucio Dalla scomparso, per il quale De Gregori chiede ed ottiene subito la standing ovation del pubblico di Caracalla. Non mancano i classici come 'Alice', ‘La donna cannone’, ‘Pezzi di vetro’, ‘L’abbigliamento di un fuochista’ e ‘Titanic’ ma anche qualche brano più raramente eseguito dal vivo come ‘Due Zingari’ ("questa non è una hit perché le radio non la passavano, le radio passano solo musica di merda", si sfoga dal palco) e ‘Un guanto’. La sfilata di successi manda in visibilio la platea dei 4.500 fan che gli hanno regalato il sold out di Caracalla, dove si replica domani. Prima di iniziare un lungo giro della penisola che terminerà a fine settembre con nuove date a Milano dal 23 settembre, aggiunte “a grande richiesta” dopo quello che doveva essere il gran finale all’Arena di Verona il 21 settembre.

 “L’orchestra cambia tutto”, aveva promesso il Principe e in effetti tutti i pezzi riservano sorprese e acquistano una grandezza nuova. D’altronde De Gregori è da sempre persuaso che “la musica è liquida, cambia nel tempo, non si presta ad essere ingessata: rifare Rimmel come è stata scritta nel 1975 sarebbe un falso in atto pubblico, perché quel De Gregori non c’è più e anche i musicisti non sono gli stessi”. E (dopo un omaggio a Elvis sulle note di 'I can't help falling in love with you') proprio a ‘Buonanotte fiorellino’ e a ‘Rimmel’, vestite di nuovo con gli arrangiamenti sinfonici, è dedicato il gran finale di un live che gli spettatori non dimenticheranno.

https://www.adnkronos.com/intrattenimento/spettacolo/2019/06/12/gregori-sinfonico-conquista-caracalla_CDcleweJJ4onSWcwPHJAzI.html

 

 

Il circo di Francesco De Gregori torna in una veste inedita

Ecco come suonano le canzoni del Principe rifatte insieme ad un’orchestra: il racconto della prima data a Roma - alle Terme di Caracalla - del nuovo tour 'De Gregori & Orchestra'

 (Francesca Aquilone)

 

Francesco De Gregori è un papà premuroso che cambia abito alle sue figlie. Stavolta il vestito scelto è quello sinuoso delle grandi occasioni, diverso dalla dimensione intima della residency al Teatro Garbatella di Roma di qualche mese fa. Se le serie di date sul palco del piccolo teatro romano avevano rappresentato per il Principe un modo per tornare a confrontarsi con una platea più ristretta rispetto a quelle dei palasport degli ultimi anni, lo spirito di “De Gregori & Orchestra - Greatest Hits Live” - che ha debuttato ieri sera alle Terme di Caracalla - è diverso: scoprire come suonano le sue canzoni rifatte insieme ad un’orchestra. Si tratta della Gaga Symphony Orchestra, insieme alla quale il cantautore si esibirà in alcuni luoghi storici ed artistici della Penisola: “Non ho mai fatto niente del genere nella mia vita. Sono eccitato, mi sembra di aver raggiunto qualcosa di diverso dopo cinquant’anni, una contaminazione tra vari generi. Mi sono lasciato tentare dal suono orchestrale: l’orchestra amplifica le potenzialità delle mie canzoni e questo mi commuove. Ho provato e sono tranquillo…per quanto si possa essere tranquilli con un’orchestra”, scherza De Gregori poche ore prima del debutto.

Così De Gregori fa indossare alle sue canzoni abiti nuovi, diversi da quelli originali: “Sono un uomo di spettacolo, ho scritto canzoni che sono piaciute, ma non sono da marmorizzare. Ho i calli sulle punte delle dita, come un vero chitarrista, uno che la sera non sa che giacca mettersi…”, dice. Accanto ai quaranta elementi della Gaga Symphony Orchestra diretta da Simone Tonin, e al quartetto degli Gnu Quartet, sul palco ci sono i suoi musicisti di fiducia: Guido Guglielminetti al basso, Carlo Gaudiello al pianoforte, Paolo Giovenchi alle chitarre, Alessandro Valle alla pedal steel guitar e al mandolino, e Simone Talone alle percussioni. Gli arrangiamenti sono del maestro Stefano Cabrera. “La musica è liquida, cambia. Rifare ‘Rimmel’ come è stata scritta nel ’75 sarebbe un falso in atto pubblico perché quel De Gregori non c’è più. È questa la bellezza delle canzoni: sono vive. Un pittore non può permettersi di tornare indietro, chi scrive e canta sì, e io voglio farlo”.

 

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“Il palco fa la differenza, l’estetica è importante, so dove sto lavorando e penso a Bob Dylan (uno a caso!) quando ha suonato qui”, osserva il cantautore indicando l’antico complesso termale capitolino. La scaletta comprende ventidue brani che provano a riassumere quella che è stata la carriera di De Gregori dagli esordi fino a qui, anche se saltano subito all’occhio grandi assenti come “Viva l’Italia”: “Questa è una canzone assertiva, pugnace, non me la sento di farla in questo periodo. La L'immagine può contenere: una o più personerisposta finisce qua”, dice ai giornalisti che provano a indirizzarlo verso una strettoia politica dalla quale il Principe - che quella canzone l’aveva comunque suonata qualche mese fa al Teatro Garbatella - ne esce con un’affermazione netta: “Non ho mai scritto canzoni politiche, parliamo di musica”.

Non è l’unica grande assente, “Viva l’Italia”. I tagli, spiega il cantautore, sono stati obbligatori: “Le scelte sono state fatte ovviamente in funzione dell’orchestra, ho sacrificato pezzi molto ritmici che non avrebbero reso quanto altri”. C’è però la strumentale e festosa sinfonia di “Oh Venezia”, che apre il concerto, come l’overture di un’opera lirica, “le canzoni avranno una voce diversa…se vi va di andare a tempo seguite il maestro”, spiega il cantautore al pubblico, prima di intonare il poker composto da “Generale”, “Il cuoco di Salò”, “La storia” e “Pablo”.

In quest’epoca di musica liquida, il realismo del cantautore romano colpisce nuovamente nel segno, come aveva già dichiarato prima della residency al teatro Garbatella: “Ci sarà un disco live ma solo per uso personale. Non lo pubblicherò perché non voglio pubblicare dischi che non vendono più né pezzi che le radio non passano”.

Ad accompagnare De Gregori in questa sua nuova avventura c’è anche un ospite d’eccezione: è Tricarico, autore nel 2000 della hit “Io sono Francesco”: “E’ un animale solitario, con una sua testa, importante, poco incline ai compromessi. La sua ‘sghembità’ me lo rende un po’ gemello. L’ho conosciuto durante i miei concerti alla Garbatella e gli ho chiesto questa cosa. Anche perché a mio avviso i nostri pubblici, anche se diversi, sono in grado di apprezzare entrambi i nostri repertori”.

di Redazione Vinyl Convinto com’è che i suoni programmati siano orribili e che a ogni nota debba corrispondere un gesto del musicista, ha prodotto il disco senza usare tracce preconfezionate di...

Il tuffo nel mondo del Principe parte dalle acque popolari di Venezia per poi affrontare quei potenziali successi mai divenuti tali “per colpa delle radio che passano solo musica di merda”. In “La leva calcistica della classe ‘56” Nino sembra quasi correre più veloce nelle melodie sinfoniche create dagli archi, “Alice” e il suo mondo che gira raccontano una fiaba alla Ameliè Poulain. È il classico circo di De Gregori che va in scena con una veste inedita, ma non estranea al folk delle sue poesie (“Un guanto” è un praticamente country e “Buffalo Bill” è la perfetta colonna sonora di un film western, sulla quale Il cantautore suona la sua chitarra).

L’omaggio a Dalla con “Santa Lucia”, poi quello a Elvis con “I can’t help falling in love with you” - ricordo di un ascolto d’infanzia ad opera del fratello Luigi. “E’ un regalo che mi faccio” dice, nonostante il pezzo sia già stato suonato nel 2013, nel corso del “Sulla Strada Tour”. Per il finale pesca da “Rimmel”: “Buonanotte Fiorellino” è riproposta in versione valzer, mentre il pezzo omonimo all’album, “Rimmel” appunto, lascia ampio spazio all’orchestra, e concede al Principe l’occasione di guardare commosso alla sua nuova creatura.

 

 

 

 

Terme di Caracalla, Roma 12 giugno 2019

Rosario Tedesco

Erano anni che personalmente mi auguravo avvenisse ciò che ha preso forma splendidamente con questo nuovo tour: conferire una veste sinfonica alle canzoni più belle del Principe della canzone italiana. C'erano stati due precedenti che mi avevano dato l'idea di quale straordinario esperimento-evento sarebbe stato arricchire le armonie e le melodie di alcuni dei suoi capolavori con l'auisilio di una orchestra sinfonica.

Il primo risale al 1997 quando ascoltando il doppo live "La valigia dell'attore" mi sorpresi a scoprire che alcune canzoni che in quel tour avevo visto e udito suonare dalla band che lo accompagava allora, erano state eseguite con un accompagnamento per archi, in parte scritti e diretti da Bob Alcivar e poi sovrapposti in fase di remix su "La Valigia dell'attore" e "La storia", in parte scritti e diretti da Guido Guglielminetti e, se non erro, suonati dal vivo da una orchestra al Teatro Lirico di Milano su "Stelutis Alpinis" e "La donna cannone".

Il secondo risale all'estate del 2017, quando De Gregori venne invitato da Neri Marcorè a tenere un concerto in occasione della rassegna RisorgiMarche, ideata dallo stesso Marcorè al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica circa i tragici avvenimenti avvenuti in quei luoghi per via degli eventi sismici verificatisi nel 2016 e nel 2017, in quell'occasione accompagnato dall'Orchestra Filarmonica Marchigiana, oltre che dagli Gnu Quartet e dall'immancabile Guido Guglielminetti.

Nonostante non vi sia traccia audio-video di quel concerto se non su yotube grazie ai video caricati da alcuni fortunati che assistettero a quell'evento unico, io rintracciai ognuno di questi video, mi scaricai quelli di qualità migliore che poi ho ascoltati e riascoltato per tantissimo tempo, tanto era la fascinazione unita alla commozione per il modo in cui 'suonavano' alcuni dei capolavori di Francesco rivisitati e riprodotti in quella insolita veste.

 

E' indubbio che quello rappresentò il seme che si insinuò nella mente di Francesco, per sua stessa ammissione, riguardo la possibilità e la voglia di rifarlo nuovamente prima o poi, tanto evidentemente gli era rimasta impressa quest'esperienza per una serie di ragioni che ha avuto spesso modo di illustrare e ribadire in questi giorni nella varie interviste che ha rilasciato a riguardo, a maggior ragione in quanto era rimasta isolata e mia più riprodotta. Un seme che poi successivamente sarebbe germogliato nel decidere di ripeterla due anni dopo con l'annuncio, l'organizzazione e la messa in opera di fatto dell'attuale tour De GREGORI & ORCHESTRA Greatest Hits.

Del resto, taluni arrangiamenti dell'attuale tour sono stati ripresi da quelli del concerto in questione, e non mi stupirei a scoprire che siano sostanzialmente gli stessi dal momento che colui preposto a realizzarli, Stefano Cabrera degli Gnu Quartet, era tra i musicisti che li eseguirono quel giorno nella Vallata del Santuario di Macereto in Visso, in provincia di Macerata. Ovviamente mi riferisco unicamente ai brani che furono eseguiti in quell'occasione che fanno parte della scaletta dell'attuale tour.

 Nonostante il nome che è stato dato al tour, Francesco De Gregori si è attenuto solo all'80% se non al 70% all' impegno di cantare le sue Greatest Hits. Alcune le ha inserite semplicemente perché gli tirava in questo momento di farle, vedi "Un Guanto" o "Pezzi di vetro", altre semplicemente perché erano state già arrangiate per orchestra in occasione del concerto per Risorgimarche, vedi "Due zingari" e "Cardiologia" e, presumibilmente, gli era piaciuto molto come 'suonavano' ed inserirle in scaletta credo sia stata una decisione sulla quale non abbia tentennato molto.

Per "Alice" vengono riprodotti fedelmente gli archi della versione su disco del 1973, e personalmente mi ha dato un'emozione fortissima ascoltarla dal vivo, con Francesco quanto mai ben disposto a sacrificare le sue licenze da interprete sui generis dei propri brani che si sforza di appoggiare il cantato su un arrangiamento che, evidentemente, ritiene ancora valido e non più datato come altri.

Idem per "La Valigia dell'attore", una delle canzoni in scaletta che già nella loro versione originale canonica contemplavano un accompagnamento di archi.

 

Un'altra è la "Donna Cannone" per la quale è stato pensato un arrangiamento che si attiene più o meno fedelmente alla versione che è più presente nella memoria di tutti noi, ovviamente arricchita da preziosismi vari resi possibili dalla ricchezza e dalla varietà dell'ensembre sonoro che ne innalzano la Bellezza ed il Pathos a livelli incommensurabili.

Non farò accenno alla altre canzoni, primo per non dilungarmi più di quanto io non abbia già fatto in questo mio pezzo, secondo perchè sono semplicemente tutte da gustare una per una ed il fatto che io possa preferirne una piuttosto che un'altra credo sia una questione piuttosto soggettiva legata al rapporto che ho io - così come ognuno di voi - con ognuna di esse, non solo da ascoltatore, ma nel mio caso specifico anche da esecutore e cantante, in quanto fanno tutte parte del mio repertorio di interprete della canzoni del Principe.

Ergo, ascoltatele e godetevele tutte, una per una.

Al di là di tutto ciò, il concerto è intriso di una magia unica indotta soprattutto dall'espressione quasi raggiante, azzarderei fanciullesca, che si legge perennemente sul volto di Francesco che gode e gioisce insieme a noi della maniera in cui viene valorizzata, potenziata, arricchita, celebrata, sublimata, e resa solenne la sua musica....

...e talvolta si commuove.

Come mi son commosso io sulle note di "Generale" fin dal momento in cui ha attaccato la prima strofa, in questa versione del brano quanto mai felice che egli concepii, se non erro, nel 2002, o giù di lì', e che a mio parere, esalta ancor di più la bellezza di questo brano con quell'andamento un po' in stile Lullaby che ti porta in una dimensione di beatitudine che scavalca ampiamente il valore testuale del brano, che comunque resta invariato e intoccabile.

Sal punto di vista della vocalità ho trovato Francesco al limite della perfezione stilistica ed interpretativa, e quanto mai ben disposto anche addirittura a mimare talune delle sue canzoni per rafforzarne e valorizzarne il significato intrinseco più o meno nascosto ed, azzarderei - così mi è parso - anche a mostrarsi fiero di averle scritte, pur senza mai ammiccare al pubblico - cosa di cui credo non sia assolutamente capace (lui è il Principe!) - e facendo finalmente e definitivamente pace con quella parte diciamo aristocratica di sè che in passato spesso lo induceva a tenere un atteggiamento di rigore estremo quando cantava in pubblico, lo stesso che esigeva da chi era lì per ascoltarlo, e mal tollerando chi gli faceva il coro, e talvolta addirittura richiamandolo alla disciplina.

A coloro che persino in occasione di questa celebrazione così solenne delle canzoni di Francesco De Gregori hanno trovato da dire circa il fatto che nemmeno stavolta ha presentato un inedito o qualcosa di mai sentito prima... che dire, se non riportare una testimonianza del Principe che in una delle tante interviste rilasciate nei giorni scorsi ha dichiarato: “Mi sembra di aver raggiunto qualcosa dopo cinquant’anni di lavoro. Mi sono fatto tentare dalle dinamiche misteriose di una compagine completa. Sento aumentare la potenzialità dei brani, le dinamiche si sviluppano come volessero uscire allo scoperto. Questo era il progetto che cercavamo. L’orchestra cambia tutto, persino ne 'La donna cannone' e in 'Generale' ho trovato sorprese. E mi commuove”.

E se Francesco De Gregori in persona ha trovato sorprese persino nei suoi classici per eccellenza che avrà cantato e ricantato migliaia se non centinaia di migliaia di volte in oltre 40 anni di carriera, chi siamo noi per non riconoscere che oggi suonino non dico come delle canzoni nuove, ma sicuramente come delle canzoni rinnovate nonchè potenziate?

Ho la sensazione che si parlerà così bene di questo tour che potrebbe diventare il tour dell'anno.

Oddio, per me già lo è, per una serie di ragioni che non credo sia necessario io elenchi e sottolinei ancora.

E mi auguro accada ciò che accadde per il tour Dalla De Gregori del 2010, che partii un po' in sordina per poi finire per essere replicato non ricordo quante volte in tutta Italia, tante furono le richieste in questo senso.

E' l'augurio personale che faccio a Francesco, a Guido e a tutti coloro che hanno lavorato per rendere possibile questo evento straordinario, azzarderei unico, nella Storia della Musica in Italia.

Francesco De Gregori conferma d'essere il mio Maestro d'Arte.

Il mio Maestro di Stile, Classe, Eleganza e Gusto sopraffino.

Il mio Masetro dell'Arte di sposare la Verità alla Leggerezza ed alla Poesia.

Il mio Maestro di Canto.

Il Maestro.

Il Numero Uno - l'ho detto.

Ad maiora.

 

 

 

Francesco De Gregori: «Meglio stronzo che maestro»

i Malcom Pagani

 

Il prossimo 4 aprile, uno dei più grandi cantautori italiani di sempre compie 68 anni: «Non avrei mai pensato che la musica mi avrebbe accompagnato per mezzo secolo». In questa intervista a cuore aperto Francesco De Gregori parla di sé, del mondo, della politica e del proprio futuro: «Non sono mai gli artisti a dire basta, sono sempre le scene che si ritirano da te»

Volumi sul comodino: «I Promessi sposi: è un libro meraviglioso, ma non dovrebbero più infliggerlo a scuola. All’epoca era un obbligo da studiare e nella mia testa di ginnasiale l’imposizione uccideva il fascino letterario. Se fosse rimasto nascosto come Jukebox all’idrogeno, ai nostri occhi Manzoni sarebbe forse diventato alternativo come e più di Ginsberg».

Nel mezzogiorno di marzo, davanti a un bicchiere di bianco, in un bar a due passi da casa, Francesco De Gregori trasforma il marciapiedi nella piazza di un paese. Passa un ragazzo, lo saluta:

«Lui è Stefano, il più bravo tabaccaio di Roma, mi trova le Gauloises, anche se per essere il migliore del mondo dovrebbe sforzarsi e portarmi le Senior Service».

Ancora tre settimane e questo fumatore compulsivo che accende sigarette e inventa capolavori con la stessa lieta indifferenza di chi ha trovato una porta segreta tra cielo e terra compirà 68 anni:

«Pensare che sono su un palco da più di 50 non mi terrorizza, ma sicuramente mi stupisce. Non ho mai pensato che la mia vita dovesse essere così legata alla musica, non solo come mestiere, ma in senso intimo. Quando scrivevo i miei primi dischi, mi sentivo soltanto uno che aveva preso un treno in corsa».

Un treno da cui scendere in fretta?

«Sì e per diecimila motivi. In famiglia, da mia zia a mio nonno, la musica c’era sempre stata. Ma l’idea di farne una professione era lontanissima e l’ambiente discografico non era proprio il mio. E invece da ’sto treno – un treno che si è fermato, ha rallentato e a tratti accelerato – non ho mai trovato un motivo per scendere».

Perché?

«A bordo non stavo poi così male e intorno ai 40 anni mi sono reso conto che quello ero e che sarebbe stato inutile provare a forzare le cose per tentare di essere o peggio diventare qualcun altro».

Dove ha trovato la sua libertà?

«Nel non costringermi a fare quel che non volevo. Non ho mai avuto un prezzo, neanche quando le tasche erano vuote».

I tempi del Folkstudio.

«In via Garibaldi non c’era un cenacolo di intellettuali, ma un gruppo di amici. Era un’epoca precaria ma felice, ci esibivamo sul palco. Cantavamo canzoni che a volte non trovavano neanche la via per essere incise».

Da dove venivano?

«Dall’ispirazione del momento e dai cassetti che si riempivano di appunti, frasi, graffi e ispirazioni che ogni tanto diventavano melodie».

In rete gira un pezzo intitolato De Gregori era morto. «De Gregori era morto/ucciso dal suo ultimo Lp e dai suoi profeti».

«In qualche modo quella canzone non è più mia e anzi, forse non lo è mai stata. Era anche divertente, ma era scaciata e in fondo non mi piaceva».

Scaciato, vocabolario Treccani: «Miserello, dimesso, trascurato».

«Come quella canzone ce ne sono altre cinque o sei. Pezzi che chiunque potrebbe prendere e firmare sostenendone la paternità con qualche speranza di essere creduto. Ma è normale: un artista fa un quadro che non gli piace, lo mette da una parte e poi arriva qualcuno che dice: “L’ho dipinto io”».

Le altre cinque nel cassetto oltre a De Gregori era morto?

«Una si intitolava Roma Capitale. L’ho scritta nel 1970 per celebrare il centenario dell’Unità d’Italia: una canzone sarcastica che non ho mai pubblicato. Alcuni amici mi dicono: “Possiamo inciderla noi?”».

E lei cosa risponde?

«Se vi piace tanto, prendetevela».

Non è stato mai geloso del suo ruolo?

«Del mio ruolo, che non so neanche bene quale sia, proprio mai. Non sono neanche sicuro dell’efficacia di quello che ho scritto trenta o quarant’anni fa, figuriamoci del ruolo».

Rinnegherebbe alcuni dischi?

«Dal punto di vista del suono o dell’arrangiamento più di uno. Salvo solamente i primi e gli ultimi.  Se solo potessi, affronterei gli album che vanno da Terra di nessuno ad Amore nel pomeriggio in maniera completamente diversa. Andrei dritto sulle melodie di base senza creare incisi e ponti musicali che una volta risentiti, anni dopo, stancano e a volte stancano molto».

Ha lo stesso rapporto con alcune canzoni?

«Ho litigato spesso con La leva calcistica della classe ’68. Fino a quando l’ho cantata pensando a me stesso nei panni del bambino calciatore mi è parsa una canzone datata e anche un po’ finta. Ora la canto volentieri perché riflettendoci credo che sul campo non vada soltanto Nino con la sua maglia numero 7, ma un nucleo di vita. Un aggregato umano».

Composto da chi?

«Dalle suggestioni di una persona che tutto desiderava nella vita tranne star fermo. Mi sono mosso e agitato, anche dentro me stesso. Sono partito, sono tornato, ho avuto i miei insuccessi come tutti e ho avuto anche le mie paranoie».

Quali paranoie?

«Scarti d’umore, alti e bassi, momenti in cui si davano il cambio euforie e tristezze».

Il primo successo clamoroso, invece, fu Alice.

«Mi ritrovavo in scena: io, la chitarra che neanche suonavo bene e il palco vuoto. Tutti volevano ascoltare i gatti morire e il sole avvicinarsi tre volte in tre quarti d’ora. Diciamo la verità, Alice era delizia, ma anche croce».

Partiamo dalla delizia.

«Appena accennavo due accordi piovevano applausi da 500 persone. Non posso negare che mi desse una certa soddisfazione. Alice era oggettivamente una hit e l’idea di aver composto una hit non mi dispiaceva».

La croce?

«Cantata Alice, del resto della scaletta, a nessuno fregava più un cazzo di niente. Può darsi che i concerti che sto tenendo a Roma, alla Garbatella, in un piccolo club che può contenere poco meno di 250 persone, rappresentino una rivincita a posteriori sul tempo che fu. Alla Garbatella non faccio più di 4 o 5 hit in tutto».

In questi concerti suona e canta pezzi meno noti della sua infinita produzione.

«Se mi ritrovo a cantarli con gioia, anche se sono stati scritti 30 o 40 anni fa, entrano nella scaletta. Poi certo, gli anni sono passati e quell’amore a cui mi rivolgevo, quel nome o quella faccia non ci sono più. Ma in quel momento non sto interpretando un periodo, ma un disagio, una sofferenza, un istante di gioia. Bisogna togliere la biografia dalle canzoni e mettere in luce con onestà ciò che è immutabile: il sentimento. Vale anche per le canzoni politiche».

Ne ha scritte?

«La storia siamo noi, Viva l’Italia. Le ho scritte, certo. Prendendo però sempre le distanze da una certa mitologia della sinistra. Non avrei mai scritto una canzone su Guevara o su Carlo Giuliani».

 Come mai?

«Non sono certo un reazionario, ma ho sempre diffidato della superideologizzazione. Non a caso Pablo, temendo sovrapposizioni improprie, lo avevo chiamato collega. Neruda non c’entrava niente e Pablo avrebbe potuto chiamarsi Pedro. Pablo suonava meglio».

Ha scritto Informazioni di Vincent, in cui confessava di essere sempre rimasto indifferente ad Angela Davis, e anche A Pà, dedicata a Pier Paolo Pasolini.

«Ma Pasolini è un artista, un poeta, tutto tranne che un uomo politico e, anzi, Pier Paolo con la politica ci ha sempre fatto a botte».

Anche lei?

«Da ragazzo, quando mi chiedevano per chi voti, lo dicevo. Quella formula: “Il voto è segreto”, mi sembrava il manifesto del doroteismo».

Oggi?

«Non mi va più di dirlo, né ho mai anelato sostenere pubblicamente qualcuno o peggio esserne sostenuto. Non bramo per abbracciare o essere abbracciato dalla politica, non sventolo vessilli, non mi presto a un ragionamento parziale per vedere il mio pensiero sintetizzato allo scopo di fare casino, vestire una delle magliette di una delle squadre in campo. Preferisco non giocare e se non mi va, magari, evitare di vedere la partita».

La politica per lei ha ancora un senso?

«Non vivo in una torre d’avorio. Leggo i giornali, vedo i talk show e guardo a quello che succede nella politica. Ho le mie opinioni, quelle che la gente può immaginare benissimo. In questo periodo storico di lacerazione e conflitto planetario, non certo solo italiano, accadono cose dolorose. Ma non mi piace parlare di politica accorciando i ragionamenti e tagliando le cose in maniera schematica come i politici di professione, anche per un ovvio ritorno elettorale, fanno regolarmente. Le ricette suggerite e gli slogan sono quanto mai semplicistici. E io alla semplicità, nella vita, aspiro davvero. Ma nella schematizzazione della politica non mi riconosco. La politica è cosa complicata e su certi temi vorrei sentire ragionare con assunti che vadano oltre lo slogan».

Romano Prodi definisce Salvini un razzista tout court.

«Con il massimo rispetto per i bar, luoghi che amo profondamente, nella discussione da bar non entro. La semplificazione di problemi come immigrazione o globalizzazione mi sembra sbagliata e l’uso di una parola così netta, che ha un significato così variabile nella storia del mondo, che si applica a situazioni diversissime: dal razzismo degli Stati dell’America profonda all’antisemitismo europeo del ’900, mi sembra superficiale come spesso è stato l’uso dell’aggettivo fascista o comunista attribuito al nemico politico solo per evitare di scendere sul piano della contestazione critica. Più che razzista, definirei Salvini xenofobo, che vuol dire un’altra cosa anche se i due termini vengono spesso accostati e confusi».

Cosa è per lei il conformismo?

«Volersi appiattire su quello che è un sentire collettivo. Percepire nel mondo che ti circonda una volontà comune, spesso stereotipata, magari cavalcata dai giornali, dalla tv o dagli amici che ti dicono “bisogna esse tutti così”. Desiderare di appartenere a una specie di collegio di persone che la pensano tutte nel medesimo modo e in questo modo si rassicurano. Come diceva Prezzolini, io sono un àpota: uno che non se la beve. Mi piacerebbe essere così, uno che non se la beve, uno che può avere idee difformi, anche rispetto al contesto o alla cultura politica in cui è nato. Uno che non concorda in maniera meccanica e aprioristica, ma ragiona con la propria testa anche se la tua testa è un po’ sghemba rispetto alla morale corrente. A me gli sghembi, gente come Tenco o De André, o, per restare a oggi, Francesco Tricarico, sono sempre piaciuti».

Come mai?

«Perché mi pare ci accomuni un’indole di fondo. L’illusione di rispondere no a chi ci dice cosa dobbiamo essere o cosa dire o fare. Non lo sopporterei e credo neanche loro. Rimmel nasce proprio dal rifiuto nei confronti della mia casa discografica che voleva farmi fare un disco da cantautore, solo voce e chitarra, perché in quel periodo, secondo il mio produttore Lilli Greco, uno come me doveva sembrare in un certo modo».

Lei lo ha anche cantato: «C’è uno stile di vita/ e un certo modo di non sembrare».

«Infatti ai tempi di Rimmel dicevo: “Bene, allora vorrei fare un disco accompagnato dai Pooh”. Certe facce sgomente avevo davanti, avrebbe dovuto vederle».

L’avranno ritenuta il solito stronzo, come ha detto ironicamente di voler essere considerato.

«Non è che mi piaccia, intendiamoci. Se un amico mi dice “sei un vecchio stronzo”, può farmi anche bene, ma quando affermo di voler essere il solito stronzo intendo dire che rifiuto di essere innalzato a maestro. Mi sono sempre visto come un uomo normale che fa un lavoro normale: mi rendo conto che agli occhi di chi osserva il mondo di chi fa spettacolo come un’accolita di marziani calati dall’alto la cosa appaia poco credibile, ma a me pare di svolgere quasi un servizio pubblico».

Un servizio pubblico?

«Nella storia, da sempre, l’artista lavora per la gioia degli altri. Quando mi chiamano maestro dico: “Chiamatemi bidello oppure preside”. Di essere considerato un mostro sacro non me ne frega niente. Non ho niente da insegnare a nessuno, anzi, mi capita di imparare ancora molto dagli altri».

Ha mai pensato di ritirarsi dalle scene?

«Sono sempre le scene che si ritirano da te. L’idea del gran rifiuto non mi ha mai sfiorato. È capitato anche a me: avvertire fatica o attraversare frangenti in cui il mercato non ha risposto succede, ma non ho mai drammatizzato. Ho sempre pensato fosse un passaggio transitorio e che facesse parte del gioco».

È vero che provò a fare l’attore?

«Ma no, ero amico di Paolo Pietrangeli e un giorno mi propose di fare un provino con Fellini. Al maestro, lui sì che si poteva chiamare così, avrei portato l’acqua con le orecchie. Ma lui cercava un ragazzo bruno e non tanto alto per il suo Roma e invece si presentò questo spilungone roscio. Fellini fu gentile, ma poi si rivolse a Pietrangeli: “A Pà, che ci devo fare con questo bel giovane?”. Fine della storia con il cinema».

Sempre a quegli anni risale una delle sue prime apparizioni televisive.

«Vincenzo Micocci, non so come, aveva trovato a me e a Venditti un passaggio in Rai. Il programma si intitolava Tutto è pop. Io e Antonello arrivammo a Torino dove passai i tre giorni peggiori della mia vita. Per esigenze di scena avremmo dovuto travestirci e giravano abiti che andavano dalla divisa da cowboy a quella di paggio del Settecento. Lo scenografo intimava “te devi vestì così”. E io rispondevo: “Non ci penso neanche, io ho scritto Signora aquilone, lo sa?”. Temevo di sputtanarmi con i miei amici del Folkstudio e volevo andar via. Mi fermarono e vedendo il mio smarrimento mi consolarono, paterni, Claudio Villa e Gino Paoli: “Ma dai Francesco, resta qui, che te frega?”».

Che anni erano quelli della giovinezza?

«Anni ribaldi. Vivevo a Trastevere ed ero solo un ragazzo che cercava di emanciparsi anche economicamente in fretta, non tanto per smania libertaria quanto per poter mettere mille lire di benzina in più nella R4 verde mela. Tiravo tardi, conoscevo gente che beveva e fumava, anche se le canne non mi hanno mai appassionato. Ne avrò fumata una in tutta la mia vita».

 https://www.vanityfair.it/music/storie-music/2019/03/17/francesco-de-gregori-tour-garbatella-canzoni

 

 

 

De Gregori ospite a Catania dell'Associazione Diplomatici: è standing ovation

Il cantautore si esibito entusiasmando anche con i suoi "cavalli di battaglia"

Catania - Un concerto gradito e applaudito. Un dono che l'Associazione Diplomatici ha fatto alla città tra un incontro e l'altro del Festival Internazionale di Geopolitica Mare Liberum, organizzato a Catania. Il concerto, tra le pietre antiche del Teatro greco-romano, nel cuore del centro storico etneo, è stato quello di Francesco De Gregori. Un parterre, ad inviti, gremito e non soltanto dai rappresentanti delle istituzioni cittadine (il sindaco Salvo Pogliese, il magnifico Rettore dell'Università di Catania Francesco Basile, il questore Alberto Francini, il comandante dei Carabinieri Raffaele Covetti).

Poco più di un'ora di buona musica durante la quale De Gregori ha omaggiato il pubblico dei suoi, attesi, "cavalli di battaglia" come La donna cannone, Generale, Buonanotte fiorellino, Alice, La storia siamo noi. Tutti pezzi che hanno entusiasmato anche i tanti giovani presenti (1200 in tutto gli spettatori), nonostante siano canzoni rappresentative di generazioni più adulte.

Di poche ed essenziali parole, il cantautore, ancora impeccabile nelle sue esibizioni vocali, ha concesso il bis con bicchiere e sigarette in mano. E Catania, con una standing ovation, lo ha calorosamente salutato.

CATANIA – Catania diventa capitale della geopolitica in Europa. Arriva in città il 31 maggio e l’1 giugno la terza edizione del Festival internazionale Mare Liberum, organizzato grazie all’intesa tra Associazione diplomatici, università di Catania, Sole24Ore e La Sicilia.

Milleduecento studenti potranno confrontarsi con relatori di altissimo livello. Ma non solo: spazio anche all’arte, attraverso la proiezione del film Capri revolution (commentato assieme al regista Mario Martone) e il concerto di Francesco De Gregori al teatro greco romano.

 “Ci saranno momenti di confronto e dibattito anche sui temi smart cities e global governance – dice il sindaco Salvo Pogliese alla presentazione in Comune – su cui si gioca la credibilità degli enti locali. Compreso il nostro, che sta investendo in molti progetti qualificanti per la città”.

«L’approccio sarà multimediale e laico – spiega Claudio Corbino, presidente dell’Associazione diplomatici -: vogliamo offrire agli studenti un’ampia gamma di opinioni sugli argomenti trattati. Avremo, per fare un esempio, l’intervista esclusiva a Steve Bannon che esprime le sue opinioni e la faremo commentare a Joschka Fischer che ne esprimerà alcune diametralmente opposte. È questo il primo insegnamento da dare ai ragazzi”.

LA SCALETTA: La valigia dell'attore, Banana Republic, Raggio di sole, La leva calcistica della classe '68, Battere e levare, Souvenir, Sempre e per sempre, Bambini venite parvulos, Generale, La Storia, Vai in Africa Celestino, Titanic, L’abbigliamento di un fuochista, Alice, Falso movimento, Caterina, Rimmel, La Donna cannone, Buonanotte fiorellino

https://www.lasicilia.it/video/spettacoli/249012/de-gregori-ospite-a-catania-dell-associazione-diplomatici-e-standing-ovation.html

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL POSTER RICORDO

 
 
 
 
 

 

E NEL 2020, IN PIENO COVID, CHE HA FATTO FRANCESCO?

 

 

Francesco De Gregori: 'Mai pensato solo alle vendite. E quel giornalista...'

Il cantautore romano presenta la raccolta dei suoi testi, appena arrivata in libreria. E si toglie qualche sassolino dalla scarpa.

 

Il "grande schivo" del cantautorato italiano autorizza per la prima volta in oltre cinquant'anni di carriera la pubblicazione di un volume ufficiale le cui lavorazioni hanno visto uno storico della canzone - e non uno qualunque, ma Enrico Deregibus, che al Principe ha dedicato già altri volumi che hanno ricevuto l'apprezzamento del diretto interessato - analizzare e decifrare i testi delle sue canzoni.

"Francesco De Gregori. I testi. La storia delle canzoni", 720 pagine, in libreria dal 30 settembre per Giunti, è stato presentato questa sera 4 ottobre all'Auditorium Parco della Musica di Roma a conclusione dell'ultima giornata della fiera editoriale "Insieme", con un incontro che ha visto lo stesso Francesco De Gregori dialogare con Deregibus e con il due volte Premio Strega Sandro Veronesi:

"Avere per le mani cinquant'anni di lavoro è emozionante. Non mi sono mai reso conto di aver scritto tutte queste canzoni. Ritrovarsele adesso tutte quante con questo bel peso è una sensazione strana, soprattutto per un uomo che nella sua vita ha sempre sostenuto che i testi delle canzoni da soli non vanno letti. Se ho cambiato idea? No, la penso ancora così".

E allora cosa l'ha spinto ad autorizzare l'operazione?

"L'ho fatto un po' per narcisismo e un po' per correggere gli errori che si trovano nelle analisi dei miei testi su internet. L'altro giorno sono andato a cercare il testo de 'La storia' e ho trovato questa versione: 'La storia siamo noi, nessuno si senta un fesso' (offeso, nella versione originale). In casi del genere l'autore, soprattutto se vivente, ha il diritto di intervenire e correggere. Io volevo consegnare a futura memoria i testi così come li ho scritti". (a conferma delle parole di De Gregori, ecco il link al sito 'incriminato')

 

 

Sollecitato dalle domande e dalle osservazioni di Veronesi e Deregibus, De Gregori non ha mancato di guardarsi indietro e rivendicare certe scelte fatte nel corso della sua carriera:

"Ho sempre avuto assoluto disinteresse verso l'esito commerciale dei miei dischi, altrimenti non avrei scritto canzoni come 'Bambini venite parvulos' o 'Disastro aereo sul canale di Sicilia'. Certo, quando uscivano i miei lavori avrei pure portato l'acqua con le orecchie a Pippo Baudo, ma il successo non era l'obiettivo principale. Sono sempre stato a cavallo tra la mia necessità di esprimermi attraverso le canzoni e l'esigenza di rispettare le regole dell'industria culturale, che non ho certo inventato io".

E si è tolto anche qualche sassolino dalla scarpa:

"Un giornalista a cui non stavo simpatico e che lavorava per un grosso settimanale di musica voleva intervistarmi a tutti i costi e io accettai, durante la promozione dell'album 'Scacchi e tarocchi'. Sulla copertina fece scrivere: 'Scacchi, tarocchi e baiocchi', ripetendo nel pezzo più volte, tra le righe, che avevo fatto quel disco solo per denaro. Mi ha portato sfiga: quello è stato il disco che ha venduto di meno della mia carriera".

Deregibus, già autore nel 2003 di "Quello che non so, lo so cantare" e nel 2015 di "Mi puoi leggere fino a tardi", ha commentato a proposito della collaborazione con De Gregori:

"Mi ha lasciato carta bianca. Non solo autorizzando l'analisi dei testi, ma anche delle schede critiche contenute nel volume".

 Ha molta ragione, Francesco De Gregori, quando lamenta che i testi delle sue canzoni siano travisati dai (troppi) siti, alcuni autorizzati e la maggioranza no, che li riportano.

Dell'argomento avevo scritto già più di dieci anni fa, in un articolo pubblicato dal sito dell'Enciclopedia Treccani, che se volete potete rileggere qui.

La situazione, da allora, non è migliorata, anzi. E sarebbe gran tempo che chi rappresenta gli autori di testi intervenisse decisamente in proposito, anche per pretendere - come sarebbe giusto e doveroso - che i testi delle canzoni pubblicati su Internet fossero sempre corredati dai nomi di chi li ha scritti. (fz)

 

https://www.rockol.it/news-717257/francesco-de-gregori-nuovo-libro-presentazione-dichiarazioni

 

Un mare profondo

Storia e testi delle canzoni di De Gregori - 21 ottobre 2020 - Paolo Mattei

 

Com’è profondo il mare di certe canzoni. C’è chi vi nuota in superficie godendone «l’ansare / che quasi non dà suono», per dirla col Montale di Mediterraneo , e chi vi si inabissa, alla ricerca di tesori nascosti. Questa libertà di scelta vale anche per le parole che Francesco De Gregori mette pubblicamente in musica da quasi mezzo secolo: si può provare a coglierne sullo specchio d’acqua le trasparenze dei referenti oppure immergersi nelle penombre di suoi eventuali significati segreti. O fare l’una e l’altra cosa. In ogni caso, i miraggi che sfavillano in questo mare di testi cantati sono sempre in agguato ed è facile finire per ubriacarsi con la «voce ch’esce dalle sue bocche quando si schiudono».

 Fuor di metafora, non è inutile suggerire come il modo più corretto, e più bello, per gustare le parole di De Gregori sia ascoltarle. Certo, anche leggerle, ma se possibile sempre con la musica — di cui sono componente inscindibile — a portata di orecchi (e di cuore), e magari tenendo a portata di mano il nuovo libro curato da Enrico Deregibus — Francesco De Gregori, I testi. La storia delle canzoni  (Firenze, Giunti 2020, pagine 720, euro 28) — che raccoglie le parti letterarie dei più di duecento pezzi composti dal musicista romano e incisi in album ufficiali a suo nome, a partire dal primo disco realizzato insieme all’amico Antonello Venditti (Theorius Campus , 1973) fino al cd con le traduzioni dell’amatissimo Dylan (Amore e furto , 2015), passando per un drappello di brani sparsi usciti su antologie e registrazioni di concerti. Ma nel prezioso volume c’è molto altro: oltre alla storia di ogni singola canzone — la genesi creativa con gli eventuali riferimenti cinematografici, letterari, autobiografici, musicali; il lavoro di produzione in sala di registrazione; le trasformazioni subite nelle versioni live e in quelle allestite da numerosi colleghi italiani e stranieri; il successo o l’insuccesso di pubblico e critica — c’è quanto intorno a ogni pezzo è germinato in termini di analisi testuale: un articolato corpus documentale desunto da libri, interviste e articoli, ma anche frutto della lunga amicizia del curatore con l’artista. Ovviamente, le spiegazioni dell’autore, quando vi sono, hanno la primazia sul resto (pure sui non pochi commenti di illustri colleghi). Ed è interessante notare come De Gregori, oltre a esprimere inevitabilmente il proprio punto di vista — comunque sempre instancabilmente ribadendo che canzoni e poesie sono cose diverse —, paia suggerire approcci interpretativi che un semiologo potrebbe definire alternativamente reader oriented  e text oriented , a seconda che lasci libertà ermeneutica al lettore o che lo esorti a «non cercare significati nascosti nelle mie canzoni oltre al testo». Certo è che l’intentio lectoris  senza briglie genera di frequente leggende metropolitane e malintesi, alcuni dei quali, nella fattispecie, sono diventati dei classici, quasi (si fa per dire) come i brani cui si riferiscono (si vedano, per esempio, le fantasiose congetture tuttora in circolazione intorno ai soggetti di Piano bar , Quattro cani , Vecchi amici  e Buonanotte fiorellino ).

Ma tutto ciò è trattato nelle pagine del libro con una sfumatura di divertita ironia, nella consapevolezza che sotto il velame dei versi degregoriani non v’è quasi mai la certezza di un unico indefettibile significato. È noto infatti come ogni artista venga spesso “superato” dalle proprie opere, sulle quali ha un controllo limitato, e come egli stesso sia fruitore di arte. In questo senso è interessante rileggere quanto De Gregori ebbe a dire nell’intervista con Antonio Gnoli pubblicata nel volume Passo d’uomo  (Laterza, 2013): «Con le opere d’arte degli altri ho un rapporto di gioia. La gioia è il termometro che registra la temperatura della mia febbre. Vado in un museo, in una galleria, a un cinema e se quello che vedo mi piace esco da quei luoghi più contento. È una verifica banalissima. Ma è così. Ed è anche ciò che mi serve del lavoro degli artisti: la gioia, la serenità, la pulizia. Gli stessi sentimenti che vorrei trasmettere con le mie canzoni». E sulle interpretazioni: «A me quelle spiegazioni, che sono assolutamente legittime, non danno nessuna emozione. Godo del piano emozionale: lacrime e gioia. Per me è una condizione necessaria e sufficiente del mio rapporto con l’opera d’arte».

Ottimi suggerimenti per gustare la bellezza del suo mare di testi e musica, e procedere “a passo d’uomo” magari confrontando quanto personalmente si intuisce e si “sente” con gli indizi messi a disposizione nelle pagine del volume.

Si può per esempio scoprire — o riscoprire — la speranza che soffia come un refolo nei versi di certi brani, e che nel canzoniere prende inaspettata forza con il passare degli anni (da Natale  a Due zingari , dalla Leva calcistica della classe ’68  a San Lorenzo , da Pane e castagne  a Pilota di guerra  a Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra ). Oppure trovare, o ritrovare, gli accenni di preghiera che salgono con la musica («Aiutami Signore mio / A dire acqua e terra», Acqua e terra ; «Ascoltaci o Signore perdonaci la vita intera!»,  Il canto delle sirene ; «Ogni giorno metto in tavola qualcosa da mangiare [...] / E certe volte non trovo le parole per ringraziare / Per ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra», Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra ; «Qualcuno sta aspettando / All’uscita della chiesa / Benedici il suo cappello vuoto / La sua lunga attesa», Passo d’uomo ). E, ancora, ci si può domandare a chi si stia rivolgendo la voce di In onda che canta : «Sto aspettando e sto chiamando / Che qualcuno mi risponda / E sono a casa / La mia porta è aperta / E la mia luce è accesa / Come un ladro nella notte / Puoi venire / Io non ho difesa»; e chiedere di chi si parli davvero nei bellissimi versi finali delle Lacrime di Nemo-L’esplosione-La fine : «E passo dopo passo piano piano / Illumina i miei passi con i tuoi / Che ogni passo avanti è un passo in meno / E meno ossigeno nei serbatoi / Illumina le torri medievali / E i falchi e il tempo e i sogni e gli ideali / E le città sconfitte in fondo al fumo / Il sangue e l’innocenza di nessuno», dove quel “nessuno” innocente potrebbe (condizionale d’obbligo) non riferirsi solo al Capitano del romanzo di Verne.

Come è profondo il mare delle canzoni di De Gregori. Nei concerti accenna al brano del suo amico Lucio Dalla, “citandolo” nell’explicit di Santa Lucia , la canzone preferita in assoluto dall’artista bolognese. Ascoltandola, possiamo anche identificarci, per un momento, con il «ragazzino al secondo piano / Che canta ride e stona / Perché vada lontano / Fa’ che gli sia dolce / Anche la pioggia nelle scarpe / Anche la solitudine».

 

di Paolo Mattei

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2020-10/un-mare-profondo.html?fbclid=IwAR1pdhuK8Ib_nz0vU1CoSp9j0McXHzZ0t2ebiYxsPDVYDGnNcjB7mokxTtc

 

 

 

De Gregori, quel concerto per 200 persone e il valore delle emozioni ritrovate

 

Domenica 27 Settembre 2020 di Maria Latella

 

De Gregori, quel concerto per 200 persone e il valore delle emozioni ritrovateÈ successo venerdì sera. In duecento abbiamo sperimentato il ritorno a emozione pre Covid. E in tanti abbiamo capito la differenza tra prima e oggi. Prima avevamo vite con un catalogo infinito di esperienze da vivere anche collettivamente. Bastava scegliere. Oggi, almeno per ora, non è così. E se ti capita la fortuna di poter vivere un momento “come prima” devi stare attento, trattarlo con delicatezza, quel momento. Con prudenza.

Quando sul palco del cineteatro Odeon di Catania, un prezioso gioiello Deco, Francesco De Gregori attacca “Viva l’Italia, l’Italia del valzer e l’Italia dei caffè, l’Italia con gli occhi asciutti nella notte scura, l’Italia che non ha paura” i duecento ammessi in un teatro che ne terrebbe mille sentono di essere dentro un momento speciale.

Eravamo emozionati. Noi in platea e loro, i musicisti, sul palco. Noi con la mascherina e lui pure, De Gregori, non sul palco ovviamente ma dopo il concerto sì, quando si ferma a chiacchierare ha una mascherina di stoffa blu. Come succede in questo autunno 2020, quando ci si rivede dopo tanto tempo, si parla ovviamente di una cosa sola: cosa hai fatto, dov’eri durante il lockdown. Lui a Roma, più o meno a fare le cose di sempre: “Leggevo e andavo a fare la spesa”.

Le mascherine sul viso, il distanziamento, il fatto di essere in pochi per obbligo e non per scelta, fanno parte dell’oggi, del nuovo presente. Invece il concerto, i musicisti sul palco, fanno parte di quel che si poteva fare prima, quel “prima” che non sapevamo se e quando sarebbe tornato. Ecco, il passato torna, e almeno per una sera torniamo anche noi a condividere le emozioni con un certo numero di altri esseri umani. Bella sensazione.

Condividiamo gli applausi. Con gli altri cantiamo “Buonanotte fiorellino” fieri di ricordarne tutte le parole e mentre De Gregori intona “Pezzi di vetro”, “ferirti non è possibile, morire meno che meno mai”, capita di commuoversi con Giuseppe Ayala, col capogruppo dei 5 Stelle a Bruxelles Fabio Massimo Castaldo, con Marco Tardelli e pure con i produttori Camilla e Pietro Valsecchi, tutti ospiti del festival di geopolitica Mare Liberum che ha appunto avuto come gran finale il concerto di De Gregori.

Così, di colpo capisci che questa sera è speciale per tante ragioni: perché Claudio Corbino e la sua associazione “I Diplomatici” hanno tenuto duro e organizzato il festival nonostante tutto. Perché a un certo punto sul palco arriva “un mio amico che suona bene il pianoforte” dice De Gregori e l’amico è Checco Zalone e i due suonano insieme.

 

https://www.iltitanic.com/2021/91.jpg

È una serata speciale perché speciale è Francesco De Gregori che nelle sue canzoni ha tanto visto e previsto, perfino “l’Italia che va sulla Luna” e ci va davvero, sulla Luna il nostro Paese, l’altroieri hanno firmato il protocollo d’intesa con gli Stati Uniti. Però De Gregori lo cantava già nel 1979.

Tutte buone ragioni. Ma venerdì sera, 25 sett a Catania, la cosa veramente speciale è stato capire la differenza tra il prima e l’oggi. E riconoscere il valore di certe emozioni che per anni lasciavamo lì, come se fosse scontato poterle recuperare riprendendo il catalogo quando ci andava.

 Tornare a viverle ora è possibile. Ma solo se non si dimentica che potremmo perderle di nuovo.

https://www.ilmessaggero.it/social/maria_latella_tornare_a_vivere_l_importanza_di_riscoprire_emozioni_normali-5487258.html

 

 

 

Tiziano Ferro torna ad emozionare i suoi fan con una cover d'eccezione. Il cantante di Latina ha rilasciato il suo primo estratto del nuovo album "Accetto miracoli: L'esperienza degli altri", e ha "Rimmel", brano di grande spessori di Francesco De Gregori.

Oltre a De Gregori, nell'album sono presenti brani di Giuni Russo, Franco Battiato, Riccardo Cocciante, Mia Martini, Domenico Modugno, Massimo Ranieri e Scialpi.

 

Le canzoni, una volta pubblicate, diventano di tutti? Sì e no. Lo diventano nella misura in cui teoricamente chiunque può identificarsi nella storia che viene raccontata nel brano e farla propria. Ma ci sono canzoni e canzoni. Certe sono così private e così strettamente legate al nome - e alla storia, personale o artistica che sia - da chi le ha scritte che andrebbero cantate solo e solamente dall'autore. "Rimmel" è una di queste. Così poetica e ispirata, fece di Francesco De Gregori uno dei protagonisti del cantautorato italiano degli Anni '70 e del Principe è forse la canzone più identificativa: lo è più di "Generale", "Viva l'Italia" e "La donna cannone", delle quali si contano innumerevoli cover di colleghi noti (da Vasco a Mia Martini, passando per Gianna Nannini, Elisa e Malika Ayane). A differenza di "Rimmel", che invece - a riprova di quanto scritto sopra - non è stata interpretata spessissimo da voci diverse da quella di De Gregori. Ora arriva questa versione di Tiziano Ferro, prima anticipazione di un disco di cover che ha visto il cantautore di Latina provare a fare sue alcune delle canzoni che più lo hanno segnato come uomo e come artista. E - sorpresa - è l'eccezione che conferma la regola.

 La canzone, l'album, le critiche, i Baci Perugina

Nessuno in Italia aveva raccontato la fine di una storia d'amore in maniera così ironica, antiretorica, criptica e surreale come fece nel '75 Francesco De Gregori con "Rimmel". Il cantautore, che veniva dal disco inciso insieme ad Antonello Venditti ("Theorius Campus" del '72) e da due album di discreto successo come "Alice non lo sa" e "Francesco De Gregori", a ventiquattro anni rivoluzionò - forse inconsciamente, forse no - il genere con un brano che metteva da parte i lamenti amorosi, gli struggimenti e gli strazi che fino a quel momento avevano caratterizzato i brani tematicamente affini. Anzi: trasformò tutti questi elementi in qualcosa di diverso e di decisamente più poetico, grazie a versi come "e qualcosa rimane, fra le pagine chiare e le pagine scure" (l'incipt più bello della storia della canzone italiana?), "ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo", "i tuoi quattro assi, bada bene, di un colore solo". L'operazione artistica di De Gregori non fu immune alle critiche: "È evidente che l'evocazione (e la presunzione di far poesia) faccia scivolare il canto degregoriano kitsch in cui non tanto Gozzano è presente, quanto i Baci Perugina", scrisse a proposito dell'intero album - che si intitolava proprio così: "Rimmel" - Giaime Pintor, tra gli esponenti di quella critica apertamente schierata a sinistra e che contestava i cantautori quando le loro canzoni mettevano da parte l'impegno e abbracciavano altri temi (l'articolo, dal titolo "De Gregori non è Nobel, è Rimmel", uscì non a caso su "Muzak", rivista musicale nata un paio d'anni prima dell'uscita del brano attorno agli ambienti della sinistra extraparlamentare).

 Cantautore, popstar o entrambe le cose?

Chissà quante volte Tiziano Ferro ha letto sulle sue canzoni e sui suoi dischi commenti del genere, lui che con brani come "Imbranato", "Sere nere", "Non me lo so spiegare", "Ti scatterò una foto", "E fuori è buio", "Il regalo più grande", "L'amore è una cosa semplice" e "L'ultima notte al mondo" ha offerto alla generazione di chi è nato negli Anni '90 ampio materiale da usare per dediche d'amore e scritte sull'asfalto o sui muretti (i suoi testi sono stati effettivamente utilizzati per i cartigli dei Baci Perugina), che è stato - e continua ancora oggi ad essere - il cantore d'amore per eccellenza e che a differenza di De Gregori è stato forse esposto maggiormente a certe critiche, non godendo dello status di cantautore con la "c" maiuscola (diversamente dai vari De André, Guccini, Fossati o - tra quelli più vicini alla sua età - Silvestri, Fabi, Brunori Sas, tutti circondati da quell'aura di sacralità) poiché considerato il più delle volte una popstar che un cantautore, anche se di fatto lo è. La cover di "Rimmel" incuriosisce anche per questo e l'ascolto non fa storcere il naso.

https://www.rockol.it/news-716708/tiziano-ferro-rimmel-cover-de-gregori-recensione-ascolto

 

 

FRANCESCO DE GREGORI, L'ANIMA DELLA FESTA. SUL VANITY FAIR IN EDICOLA

Dietro le quinte, e dietro una canzone, ciò che conta è lo spirito, dice Francesco de Gregori. Che qui ricorda impresari e tecnici diventati famiglia, ragazzi che corrono «come lepri» sul palco, microfoni e phon, e una certa telefonata al premier Conte

Malcom Pagani, 1.7.2020 -  https://www.vanityfair.it/music/storie-music/2020/07/01/francesco-de-gregori-a-tutto-volume

 

Il poeta in affari veniva da molto lontano: «Libero Venturi, impresario di Baglioni, Venditti e della tournée di Banana Republic, era simpatico e divertente. Originario di Cesena, apparteneva in tutto e per tutto alla provincia e onestamente non si capacitava del perché la gente venisse ad ascoltare uno che cantava Alice o Saigon. Si faceva sera, arrivavamo nei locali, vedevamo i parcheggi strapieni e lui allargava le braccia: “Ma che casso succede qui? Ma son davvero venuti a sentire te?”».

Con un cappello pieno di ricordi, i suoi impresari Francesco De Gregori li ricorda tutti: quelli

«che sembravano Alberto Sordi in Mafioso di Lattuada, con il gessato, i capelli impomatati e gli anelli enormi sulle dita», quelli «che guidavano come pazzi mentre a bordo delle Lancia Coupé dell’epoca provavo con sprezzo della fisica a tenermi la chitarra sulle gambe in uno spazio strettissimo», quelli «che giravano in coppia», quelli «sempre ubriachi», «sudati»,«somiglianti a Nero Wolfe». I cialtroni «che potevano darti appuntamento per un concerto che non si sarebbe mai tenuto nella campagna romana mentre attaccato al telefono di una cabina cercavo di avere indicazioni» e gli altri, più corretti: «Che erano lontani dal professionismo e si stavano inventando un mestiere, ma erano fondamentalmente seri. Puntavano al risultato ed erano ignari delle sfumature. Per loro seguire un cantante equivaleva a prendere un’entità, fosse un musicista o una pecora, promuoverla e farla fruttare nell’interesse sia della pecora sia del pastore».

Ora che l’applauso del pubblico pagante latita sottolineando un’assenza e i pensieri magri non bastano a saziare la nostalgia, De Gregori pensa a quelli che restano fermi, i lavoratori dello spettacolo:

«Gente che fin dai miei inizi mi tranquillizzava molto. Ieri, molto più di oggi, prima di esibirmi avvertivo tensione. Avevo un po’ paura del pubblico e mi facevo le tipiche domande dell’età dell’insicurezza: “Oddio, mi ricorderò le parole?”, “Stonerò?”, “la chitarra sarà accordata?”. Poi incontravo persone che esattamente come me avevano a cuore la riuscita della serata e mi rilassavo».

Un nome?

«Ce ne sarebbero tantissimi. Da Franco Guarnieri, detto Mani Bruciate per via dei dorsi ustionati in un incidente sul lavoro, I a Giovanni Chinnici, il direttore di palco che mi accompagna ormai da anni. Sono persone a cui ho voluto e voglio molto bene».

Persone che somigliano a una seconda famiglia?

«Un po’ retoricamente posso dire di sì. Si creano inevitabilmente rapporti di vicinanza e di simpatia, ti senti accolto in un gruppo che ti protegge e che ricorda vagamente la carovana dei teatranti de Il settimo sigillo. Il clima era ed è quello».

Provi a descriverlo.

«Chi non capisce che dietro un concerto c’è l’anima delle persone che lavorano perché ogni cosa sia al suo posto, non ha capito niente della musica, della sua rete di contatti, di solidarietà, anche, di competizione virtuosa se vogliamo, ma con un’unica, fortissima, componente umana. E non ha capito fino in fondo neanche il divertimento del mio mestiere che è come aprire una finestra su questo mondo parallelo al nostro con cui magari non ci si ritrova a cena dopo lo spettacolo, ma con il quale si contribuisce a costruire una cosa in comune».

Senza i lavoratori dello spettacolo i concerti non esisterebbero?

«Senza dubbio. C’è sempre un incidente dell’ultimo istante – uno spinotto da sostituire, un cavo del monitor da cambiare, un casino improvviso – e allora con la stessa lena del trovarobe in teatro, vedi questi ragazzi correre come lepri per risolvere i problemi. È quasi ovvio che con il tempo si saldino legami duraturi. Ancora oggi, negli ultimi concerti prima del lockdown, mi capitava di incontrare qualcuno che aveva partecipato a Banana Republic e mi veniva a salutare. Il mondo della musica leggera italiana è un unico grande palcoscenico che va da Nord a Sud e attraversa le epoche».

Quanto è cambiato il suo mondo dalla metà degli anni ’70?

«La professionalità di oggi, ieri era impensabile. Il primo concerto della mia vita, al Teatro della Cometa di Roma, nel ’68 o forse nel ’69, lo vidi da ragazzino. Sul palco c’era Enzo Jannacci, praticamente uno sconosciuto, da solo, con la chitarra. Allora sembrava naturale che un artista arrivasse in teatro, trovasse il primo microfono a disposizione e suonasse. Jannacci aveva fatto più o meno quello e la stessa cosa avevo fatto io ai tempi dei miei primissimi concerti. Tutto l’aspetto organizzativo che in seguito siamo stati abituati a vedere a bordo palco era inesistente».

Un po’ come al Folkstudio?

«Lì addirittura non c’era nemmeno il microfono. Era un posto molto piccolo, spesso neanche pieno, dove si cantava e si suonava con una sola velleità: provare a esprimersi».

Poi arrivarono le maestranze, i grandi impianti di amplificazione, i concerti davvero strutturati.

«Il personale arrivò a montare e a smontare i palchi, vedemmo i primi camion, i facchini e le maschere, ma erano tempi eroici e si respirava ancora un certo pionierismo. Se ci ripenso mi vengono in mente episodi che oggi fanno tenerezza. A Udine, poco prima di un concerto, iniziò a diluviare e l’impianto si bagnò in maniera irrimediabile. Bibi Ballandi e il Venturi di cui le parlavo prima, gli impresari, diedero ordine di acquistare un enorme quantitativo di phon per capelli. Anche se l’impianto della Lem di Cattolica morì la sera stessa, quei cinquanta tecnici impegnati ad asciugare le trombe degli altoparlanti con i phon non me li sono più dimenticati».

Era una scena da cinema.

«Non a caso forse, registi come Truffaut hanno dedicato al dietro le quinte capolavori come Effetto notte e ci sono molti film di Fellini che al cinema dentro il cinema e alle maestranze hanno dato enorme importanza. Pensi al finale di 8 e mezzo, a chi va in spiaggia a girare un fotoromanzo ne Lo sceicco bianco o all’Intervista».

Nell’Intervista due pittori dialogano in un teatro di posa.

«Dipingono un cielo azzurro nel teatro 5 di Cinecittà. Uno dei due si rivolge all’altro: “A Cè, lo sai che ho incontrato un amico mio?”, “Ah, e che ti ha detto?”, “Che te la devi andà a pija ’nder culo”. Apparentemente Fellini rappresentava queste persone come dei cafonacci scurrili, ma in realtà se lo si legge meglio, da romagnolo che aveva captato una romanità, nobilissima, ma sempre sardonica, irridente, e caustica, si capisce l’amore e il rispetto che provava per queste figure».

Quelle che lavorano intorno alla musica stanno soffrendo.

«Hanno problemi, sono abituati ad avere un ciclo lavorativo intenso, a passare da una tournée all’altra, da un cantante all’altro. Lavorano con me, poi magari accompagnano Vasco Rossi, Laura Pausini o Ligabue. Se tutti questi concerti saltano per un anno è naturale che la categoria entri in sofferenza, che fatichi con le bollette, con gli affitti e con le scadenze come qualsiasi altra. E questo non vale soltanto per chi è in regola: esiste anche una fetta di lavoratori pagati a giornata che non hanno nessun tipo di tutela se non la cassa integrazione che, come saprà, è in ritardo. Andrebbero tutelati: quando ripartiremo ci sarà bisogno di tutti loro».

L’evento di Verona è un primo passo importante. Poi servirà una legge di settore. E un’attenzione nuova della politica.

«Durante la quarantena ho provato a contattare il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Aveva usato alcune parole di una mia canzone per festeggiare il 25 aprile. Volevo ringraziarlo e provare a parlargli».

Come mai le era venuta voglia di parlare con il presidente del Consiglio?

«Perché al di là dei versi di Viva l’Italia, mandare un messaggio al Paese attraverso una canzone mi sembrava un implicito riconoscimento dell’utilità delle canzoni. Durante il lockdown, d’altra parte, tra un balcone e l’altro, le canzoni avevano rappresentato una consolante bandiera di socialità condivisa. Ed è normale perché la gente ama le canzoni. Quindi decido di telefonare a Conte pur sapendo che aveva e ha i suoi problemi. Non è che volessi intrattenerlo, né pensavo che me lo passassero subito. Credevo però di poter parlare con la sua segreteria, lasciare un messaggio, fargli sapere che lo stavo cercando».

Risultato?

«Nessuno. Il centralino non mi ha passato la segreteria di Conte e così non ho potuto nemmeno lasciargli un messaggio. Capisco che abbia molto da fare, ma se devo dirle la verità l’ho trovato un atteggiamento abbastanza deludente».

Che cosa avrebbe detto a Conte?

«Gli avrei chiesto di porre una doverosa attenzione e un occhio di riguardo per i lavoratori dello spettacolo che in questo momento sono in grande difficoltà e di non dimenticarsi di migliaia di famiglie che campano grazie agli spettacoli dal vivo. So che non siamo i primi di cui il governo si occuperà, ma mi sarebbe piaciuto dire comunque “esistiamo anche noi”».

Un accenno al mondo dello spettacolo, in uno dei suoi discorsi, Conte lo ha fatto, parlando degli artisti che «ci fanno tanto divertire».

«Al contrario di molti miei colleghi lì però non mi sono sentito affatto offeso e anzi l’ho preso per un complimento. Non c’è arte e non c’è cultura senza il gancio del divertimento: io mi diverto se vedo Alberto Sordi come credo che ai tempi di Shakespeare la gente si divertisse nei teatri elisabettiani. Uno spettacolo deve essere divertente, non ci trovo niente di sbagliato, di sminuente, di squalificante».https://www.iltitanic.com/2021/94.jpg

In quarantena lei ha compiuto 69 anni.

«Finalmente un compleanno tranquillo, ho evitato qualsiasi tentazione di pranzo allargato e tutt’al più ho risposto a qualche telefonata».

Tante?

«Negli anni ho fatto capire che se non mi telefonano è meglio, quindi poche». Ride.

Le pesa l’idea di non potersi esibire?

«Non ho più vent’anni e lo stop alla mia vita di cantante girovago è stata pesante. Un anno, alla mia età, non si recupera. Per me un anno significano 12 mesi in meno nel tempo che mi verrà dato e che io mi darò per continuare a fare questo lavoro. Invidio Cohen che ha lavorato fino all’ultimo con allegria, Dylan che ha dieci anni più di me, zompetta ancora sui palcoscenici e nel tempo libero fabbrica cancelli e dipinge, ma non so se sarò come loro. Per come mi sento adesso penso potrei lavorare fino a cent’anni, ma domani non so».

Ha sempre voglia di cantare dal vivo?

«Sì, sempre. Mi piace muovermi: se stai bene di umore e di salute l’idea di viaggiare, anche se alla fine vedi sempre gli stessi posti, gli stessi autogrill e gli stessi alberghi, mi diverte ancora. È quando mi fermo che mi sembra che passi la voglia, ma è un momento».

A inizio settembre avrebbe tenuto un grande concerto romano con Antonello Venditti.

«Dire addio a quell’idea, anche se solo per il momento, è stato doloroso. Eravamo partiti belli gasati. Io e Antonello abbiamo ricostruito un’unione intellettuale che onestamente negli ultimi tempi era mancata. Ci vedevamo ogni tanto e chiacchieravamo senza mai pensare di poter fare insieme una cosa così importante. Ho conosciuto un Antonello diverso da quello che mi aspettavo e probabilmente la stessa cosa è accaduta a lui. La nostra sintonia è rimasta forte anche se ci siamo bloccati. Ci ritroveremo insieme sul palco».

Con nuove canzoni? Ne ha scritte, in quarantena?

«No, e in un certo senso non è cambiato nulla».

In quale senso?

«Nel senso che non ho più voglia, capacità o ispirazione per scrivere una nuova canzone. Non ce l’ho in testa. Ne ho scritte tante e ovviamente ne potrei scrivere una se volessi, ma non ho quell’ansia e non mi va di scrivere cose che non mi escano fuori dall’anima».

 Qual è la spinta di una nuova canzone per lei?

«La spinta è la necessità. La scrivo perché la sento. Perché deve uscire fuori. Ma quando accade, la canzone nasce quasi da sola».

 

 

 

De Gregori attenda in linea

Massimo Gramellini | 03 luglio 2020

 

Francesco De Gregori ha raccontato di avere cercato invano di mettersi in contatto con il presidente del Consiglio (voleva ringraziarlo per una citazione di «Viva l’Italia»). Non capita spesso che un Principe si degni di chiamare un Conte. Invece il centralino di Palazzo Chigi lo ha lasciato in attesa, senza nemmeno passargli la segreteria del premier. L’idea di De Gregori trattato dalla Nuova Casta come uno stonato qualsiasi è suggestiva, ma non basta a spiegare il fenomeno del centralinismo romano, autentico presidio democratico del Paese. Nessuno sottovaluta il contributo dei centralini lombardi, veneti o lucani: chi non si è mai sentito dire «Attenda in linea» da una voce scocciata? E i centralini elettronici, benché asettici, sono altrettanto indisponenti. Però il centralinista romano in carne e ossa, nei rari habitat dove ancora sopravvive, presenta una peculiarità: la sublime indifferenza per lo status dell’interlocutore.

Rimane famoso il caso del centralinista di un quotidiano della Capitale a cui le Brigate Rosse osarono telefonare per rivendicare un attentato durante la pausa pranzo. «Un momento, sto a magnà», li rintuzzò l’eroe. «Forse non ha capito, siamo le Br». E lui, serafico: «Ho capito, mica so’ scemo. Mo’ prendo er taccuino, un po’ de pazienza». Quel giorno il terrorismo capì che non avrebbe mai fatto breccia nelle classi popolari. Quanto a De Gregori, la prossima volta che vorrà ringraziare Conte gli suggerisco di mandare un disco autografato a Casalino.

 

 

21 giugno Festa #senzamusica

Nella Musica lavorano in tanti, non solo i musicisti e i cantanti. La Musica fa cultura, educa, emoziona, intrattiene e, se non bastasse, produce economie importanti (il solo comparto Cultura fa il 16% del PIL), dando lavoro a decine di migliaia di persone che oggi, causa Covid, rischiano di restare a casa.

Sappiamo che ci sono delle proposte di emendamento al DL Rilancio che ci riguardano. Chiediamo che la politica non le ignori, adoperandosi al più presto per dare finalmente dignità a tutti coloro i quali lavorano per il bene della Musica.

 

 

 

“Quelli che suonano” è l’omaggio artistico di Mimmo Paladino al mondo musicale italiano: un merlo, il più musicale fra gli uccelli, in appoggio all’appello divulgato, in questo periodo di crisi mondiale, dai cantanti e musicisti a sostegno degli operatori del mondo dell’intrattenimento.

Siamo entrati nella Fase 2 e leggiMIMMO PALADINO regala una sua opera all'appello dei musicisti ...amo ovunque di normative e modalità che consentiranno una graduale ripresa delle attività produttive e commerciali. Ma non leggiamo mai di cosa accadrà ai lavoratori del mondo dell’intrattenimento.

Noi artisti che condividiamo con questi lavoratori una parte fondamentale della nostra vita e conosciamo a fondo le difficoltà che stanno attraversando, ci chiediamo come potranno reggere ad un’emergenza che diventa sempre più lunga. Cosa succederà agli eventi di questa estate e a quelli programmati nei mesi successivi? Quando potremo, tutti insieme, tornare a lavorare?

Chiediamo al Governo che a tutti i lavoratori del settore per tutta la fase di emergenza venga assicurato un trattamento economico e previdenziale dignitoso. E che si possa al più presto definire una data per la ripresa dei concerti dal vivo, nel pieno rispetto della salute del pubblico e di tutti quelli che lavorano sul palco e dietro le quinte. In ogni canzone cantata dai balconi in questi giorni c’è il lavoro di tante persone, di tanti amici. Ci rivedremo presto: in un club, in un teatro, nei palasport, negli stadi, nelle arene e nelle piazze. E quando ci rivedremo, il primo applauso sarà dedicato a loro, ai nostri costruttori di suoni, ai nostri costruttori di sogni.”

 

Dal profilo ufficiale Facebook di Francesco De Gregori

 

 

 

BRUXELLES - "L'Italia è notoriamente il Paese del bel canto: forse per questo la gente pensa che tutti possano cantare e quindi che la nostra non sia una professione vera e propria".

Così il cantautore Francesco De Gregori in un'intervista all'ANSA commenta la situazione degli artisti in questo momento di emergenza per il coronavirus.

"L'industria dello spettacolo sarà una delle ultime a riprendere le attività, per molti si prospettano mesi di sofferenza economica, a questo occorrerà mettere rimedio".

La crisi avrà impatto anche sui tecnici dello spettacolo.

"Posso solo sperare che gli innumerevoli lavoratori dell'indotto, che costituiscono la manovalanza necessaria a mettere in piedi un concerto e di cui il pubblico spesso ignora l'esistenza, possano essere protetti dalla cassa integrazione o da altri meccanismi di tutela. Le categorie meno sindacalizzate sono le meno protette. Artisti affermati hanno adottato lo smart working, mettendo in streaming concerti "one man band" fatti a casa e questo "può sicuramente servire a sollevare il morale della gente, l'arte è fatta per questo, è consolatoria! Perfino Bob Dylan, considerato non del tutto a torto scontroso ed anaffettivo verso il pubblico, ha messo in rete un suo bellissimo pezzo inedito, Murder most foul, per la gioia e la sorpresa dei suoi fan" ai tempi del coronavirus.

Il cablaggio corretto del palco (prima parte) - ROBA DA FONICIIl pensiero del cantautore va anche a tanti colleghi che vivono di piccoli concerti e adesso si trovano costretti a casa. In Italia il lavoro di musicisti non è riconosciuto come professione.

"Nei Paesi di cultura anglosassone è diverso, l'industria musicale è nata lì e quando vai a fare un concerto ti trattano come un professionista. E' così quasi dappertutto nell'Ue"

In Italia la visione che si ha dei musicisti è molto diversa:

"Mi capita di andare a una festa e sentirmi dire "dai, perché non ci canti una canzoncina?". Nessuno nella stessa situazione chiederebbe a un dentista di levargli un dente".

I musicisti stanno anche conducendo una battaglia per il recepimento della direttiva Ue sul copyright - e il riconoscimento di un compenso per le opere condivise online dalle piattaforme - che dovrebbe entrare in vigore in tutti i Paesi Ue entro marzo 2021.

"Gli autori non possono difendersi come farebbero i metalmeccanici, non possono scioperare. La loro difesa è affidata unicamente alle normative ed al loro rispetto. La direttiva Ue va in questo senso. Sarebbe bene che l'Italia la recepisse, ma non ho molte speranze: non ho visto ancora nel Parlamento una presa di coscienza del problema né una chiara volontà di risolverlo. Il diritto d'autore non ha una lobby al suo servizio. Mentre i suoi avversari sembrano assai agguerriti".

Per il cantautore il "diritto d'autore è la democrazia dell'arte. Introducendo il principio che l'autore viene remunerato direttamente dal suo pubblico (non dal mecenate), la dottrina del diritto d'autore ha voluto rendere l'artista libero di esprimersi senza condizionamenti, promuovendo così sia la sua responsabilità intellettuale che la sua autonomia creativa".

Per questo, secondo De Gregori, questo principio va difeso ad ogni costo, pur adattandolo ai cambiamenti tecnologici

"Ma senza mai considerarlo, come alcuni pretenderebbero, un'anticaglia obsoleta o un privilegio di casta".

https://www.ansa.it/

 

Serie MG - Caratteristiche - Mixer - Audio professionale ...

 

 

Ogni cosa ha il suo tempo ed oggi è ancora il tempo del dolore per chi non c’è più, delle cure ai malati e del sostegno economico, morale e organizzativo da chiedere a gran voce per tutti gli operatori sanitari che sono in prima linea e questa senza dubbio è la priorità.

Domani però, nel rispetto di tutti, dovremo ripartire e non possiamo permetterci di dimenticare qualcuno, di lasciare indietro centinaia di migliaia di lavoratori senza colpe ed oggi senza prospettive.

Non stiamo parlando per noi o di noi. Stiamo parlando di tutti i musicisti, gli autori, i dee jay, i ballerini, gli operai, i tecnici, i lavoratori specializzati, i professionisti di ogni settore dello spettacolo, i lavoratori senza cassa integrazione, i lavoratori occasionali, tutte le maestranze che lavorano nel mondo della musica e dell’intrattenimento. Stiamo parlando di chi suona la sera nei locali delle vostre città e di chi insegna musica ai vostri figli.

Non sono star, ma è gente che lavora e con quel lavoro ci paga ciò che serve per vivere. Gente che, come tutti, ha il diritto di lavorare. E che come tutti ha il diritto ad essere protetto quando, senza alcuna colpa, il lavoro e la dignità vengono messi in pericolo. Di loro, della loro angoscia e del loro disagio economico si parla pochissimo.

Il Paese si appresta a definire la Fase 2 e leggiamo ovunque di iniziative, proposte, modalità che consentiranno una graduale, difficile e doverosa ripresa delle attività produttive e commerciali. Ma non leggiamo mai di cosa accadrà ai lavoratori del mondo dell’intrattenimento.

Noi artisti che condividiamo con questi lavoratori una parte fondamentale della nostra vita e conosciamo a fondo le difficoltà che stanno attraversando, ci chiediamo:

Come potranno reggere ad una emergenza che diventa sempre più lunga? Come potranno vivere dignitosamente senza neanche la prospettiva di poter, un giorno, tornare a fare il proprio lavoro? Cosa succederà agli eventi di questa estate e a quelli programmati nei mesi successivi? Quando potranno tornare a lavorare?

Per questo attendiamo e ci auguriamo:

- che a tutti i lavoratori del settore, per tutta la fase di emergenza venga assicurato un trattamento economico e previdenziale dignitoso

- che sulla falsariga di quanto già fatto in altre nazioni, si definisca il futuro dei prossimi eventi rispettando e garantendo i diritti di tutti.

- che il Governo ascolti le varie associazioni di categoria coinvolte e possa offrire all’intero settore un’ipotesi realistica dei tempi in cui poter tornare a lavorare, con risorse concrete che consentano la ripresa delle attività in condizioni di sicurezza, per i lavoratori e per il pubblico.

Ci auguriamo infine di rivederci presto. In un club, in teatro, nei palasport, negli stadi, nelle arene e nelle piazze. E quando ci rivedremo, il primo applauso sarà dedicato a loro, ai nostri costruttori di sogni.
 

I professionisti dello spettacolo.                 

 

Francesco De Gregori torna per un giorno a trovarci e con lui si inaugurano i festeggiamenti per i novant'anni di Clint Eastwood (31 maggio), vero e proprio spirito guida di Hollywood Party, da anni una delle voci contenute nella sigla del programma.

Dai suoi ruoli più iconici, dai western ai polizieschi, fino a Richard Jewell, il suo ultimo film da regista: sarà l'occasione per ripercorrere una carriera sterminata che attraversa i generi cinematografici e le fasi più significative della storia di Hollywood, il tutto in compagnia del nostro cantautore cinefilo. 

Continueremo a festeggiare il californiano dagli occhi di ghiaccio per tutto il mese con quattro puntate del Cinema alla radio: dal 10 al 31 maggio, ogni domenica alle 19.00, un film di e con Clint Eastwood da ascoltare e ripercorrere in compagnia dei conduttori e dei loro preziosi approfondimenti.

Per la rubrica dedicata agli studi degli attori sarà ospite Massimo Wertmüller, attore che si è formato nella scuola di Gigi Proietti.

06 maggio 2020 alle 19.00

 

https://www.raiplayradio.it/audio/2020/04/HOLLYWOOD-PARTY-Francesco-De-Gregori-auguri-Clint-28590cfd-5c96-4ea7-afcb-aace9503a455.html

 

 

 

 

“Il Papa mette le canzoni accanto a letteratura e cinema. Non è scontato”

Intervistato da L’Osservatore Romano, il cantautore commenta il Messaggio di Bergoglio per la Giornata delle Comunicazioni sociali. «Oggi si narra meno di una volta. Si fanno vedere foto sul cellulare, ma non “raccontano” molto. Succede quando una tecnologia viene abusata»

  

CITTÀ DEL VATICANO. Oggi si racconta «meno di una volta. Si fanno vedere delle foto sul cellulare e di solito quelle foto non “raccontano” molto». Questo succede quando una tecnologia «viene abusata anziché usata correttamente, quando invade un altro campo, quando stimola la nostra pigrizia invece della nostra creatività». È la riflessione che Francesco De Gregori consegna ad Andrea Monda, direttore dell’Osservatore Romano, in un colloquio pubblicato nell’edizione di domani, 6 marzo (uscita, come da consuetudine del quotidiano d’Oltretevere, nel pomeriggio precedente). Il cantautore romano commenta le parole di papa Francesco nel recente Messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, in cui sottolinea la necessità della narrazione, e, ricorda Monda, «che ci sia chi abbia la capacità e il coraggio di raccontare storie buone, perchè altrimenti prevarrebbe lo smarrimento, il disorientamento, la resa al dominio della chiacchiera e delle narrazioni false e negative, manipolative e scoraggianti».

De Gregori è rimasto «molto colpito» dalle meditazioni del Pontefice, a partire da «una cosa piccola piccola: il fatto che egli non abbia nessun problema a mettere accanto alla letteratura e al cinema anche le canzoni. Questo non è affatto scontato».

 Allo stesso tempo, De Gregori rivela a Monda di non credere molto «nelle canzoni “edificanti” nel senso banale del termine, come non ho mai creduto nelle canzoni “impegnate”». E non è detto che, «perché una narrazione sia “buona”, il bene debba necessariamente trionfare sul male, non sempre il lieto fine è obbligatorio, plausibile o sopportabile».

 Infatti, ricorda Monda, nello stesso Messaggio il Papa precisa che «“storie buone” non vuol dire prive del racconto del male, tutt'altro, ma che “Anche quando raccontiamo il male, possiamo imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo riconoscere in mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli spazio”».

 Poi, lo sguardo cade sulle epocali trasformazioni che hanno investito le società odierne, in particolare nell’ambito delle comunicazioni. Per De Gregori «oggi si racconta meno di una volta: non si raccontano più le vacanze, il matrimonio della cugina, la nascita di un bambino». Invece «si fanno vedere delle foto sul cellulare e di solito quelle foto non “raccontano” molto. Quando mi capita di vederle, immagino delle vacanze finite male, dei matrimoni destinati a non durare, dei bambini che diventeranno un po’ antipatici». Questo succede quando una tecnologia «viene abusata anziché usata correttamente - denuncia l’artista romano - quando invade un altro campo, quando stimola la nostra pigrizia invece della nostra creatività». Quando il bello del narrare e dell’ascoltare «viene rimosso in nome di una pretesa velocità o semplicità nella comunicazione che spesso sono il contrario della verità», rincara.

 Scrive Jorge Mario Bergoglio che «l’uomo è un essere narrante. Fin da piccoli abbiamo fame di storie come abbiamo fame di cibo. Che siano in forma di fiabe, di romanzi, di film, di canzoni, di notizie…, le storie influenzano la nostra vita, anche se non ne siamo consapevoli». È il passaggio che ha coinvolto da subito De Gregori: «È difficile che le canzoni sono considerate cultura, raramente ciò che “raccontano” le canzoni viene invitato alla stessa tavola delle arti cosiddette “maggiori». D’altra parte la Chiesa «è stata spesso anticipatrice di atteggiamenti e di aperture analoghe. Pochi giorni fa ho visitato i Musei Vaticani e lungo il corridoio dei candelabri, ho ammirato sul soffitto un bellissimo affresco della fine dell'800 dedicato alle arti e fra queste è compresa, seppure collocata ai piedi delle consorelle, anche la fotografia, incredibile! ben prima che questa venisse riconosciuta come un’espressione artistica e narrativa autonoma». Nell’affresco una «primitiva macchina fotografica, una semplice cassetta con un rudimentale obiettivo, sicuramente una delle prime mai sperimentate, è raffigurata accanto ad un telaio. L’arte della narrazione accanto a quella della tessitura quindi. Ambedue raccontano. Un unico  “testo”, come dice il Papa, avvolge l’uomo e coinvolge l’umanità».

 Come evidenzia Monda, dei tre requisiti che papa Francesco indica come proprietà fondamentali delle storie di cui ha bisogno l'umanità, il vero, il bello, il buono, è il primo quello che più attrae il cantautore: «Il Papa parla di racconti belli, racconti veri e buoni, forse è un modo di dire che debbano non solo essere belli esteticamente ma avere a che fare direttamente, concretamente, con la vita, essere capaci di trasformarla. Il punto è che la vita, e questi tre aspetti fondamentali di essa, sono un po' come il poligono e il mal di denti di cui parla Borges: solo il primo è chiaramente definibile, mentre il bello, il vero e il buono sono tre concetti difficili da definire, somigliano piuttosto al mal di denti di cui tutti abbiamo esperienza ma che sfugge ad una descrizione precisa». Gli sembra però che «nel “vero” possano rientrare anche gli altri due, senza troppe forzature. Per chi produce racconti, per chi tesse la trama sia del reale che dell’immaginario, per chi se ne lascia vestire ascoltando, leggendo, abitando una grande casa comune. È la verità che informa il lavoro dell’artista, se l’artista è un artista onesto (non necessariamente un “grande artista”)».

De Gregori vuole puntualizzare che la verità per lui «non è soluzione ma ricerca e ispirazione continua. “State contenti, umana gente, al quia”: non possiamo sapere tutto, avverte Dante, se non rimandando la nostra legittima esplorazione di noi stessi e del mondo a qualcosa che ci trascende e ci sfugge in continuazione, che possiamo intuire e fare nostra solo con una atto di fiducia, se non di fede, in una verità che è sempre un passo più avanti di noi».

Allora, si domanda, «che forma devono avere dunque un racconto e una bibliografia del mondo che siano veri e buoni e belli ma che non rinuncino alla descrizione del male e del fallimento così presenti nella storia degli uomini? Come non commettere falsa testimonianza? Qual è la responsabilità dell’artista, dell’editore, dell’ingegnere? Come distinguere il vero dal fake? Come collocare in una stessa biblioteca il Vangelo e Mein Kampf? E come percorrere le sale di questa biblioteca senza smarrirsi?». Forse la risposta a tutte queste domande «è confusa nel vento, come dice Dylan, ma basta sapere ascoltare per orientarci, per scegliere cosa raccontare, cosa leggere e come vivere da arbitri di noi stessi».

https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2020/03/05/news/de-gregori-il-papa-mette-le-canzoni-accanto-a-letteratura-e-cinema-non-e-scontato-1.38554679/amp/?fbclid=IwAR2p1pkanAYRnB3RUhg0b2JrgRhxdszGxz_HYRRMPYm1T1ET3jZnJSERSNI

 

 

 

 

 

Conclusa con successo di critica e di pubblico ‘La Settimana Pacifica’

E’ stato un vero successo di critica e di pubblico ‘La settimana Pacifica’ di Luigi De Crescenzo, in arte Pacifico, che dal 2 all’8 dicembre è andata in scena al Teatro dei Filodrammatici di Milano.

Nel corso de ‘La settimana Pacifica’, il cantautore milanese ha voluto sul palco Malika Ayane lunedì 2 dicembre, Samuele Bersani il 3 dicembre, Gianna Nannini il 4, Francesco De Gregori il 5, Giuliano Sangiorgi il 6, Francesco Bianconi il 7 e Neri Marcorè l’8 dicembre. Con loro Pacifico ha condiviso momenti di musica e parole, creato un’atmosfera intima e accogliente ed emozionato ogni sera il pubblico.

Con la sua particolare formula della ‘descrizione dell’artista‘, Pacifico ha anche rivestito il ruolo di narratore e intrattenitore, curiosando nelle vite dei suoi ospiti con fatti e aneddoti mai raccontati.

Per tutta la settimana Pacifico ha accolto sul palco anche Luca Zaffaroni, un cameriere milanese diventato l’incarnazione del brano ‘Il cameriere anziano’: Zaffaroni, 71 anni e 60 di esperienza nelle sale dei ristoranti e degli hotel più famosi al mondo (tra cui l’Hotel Michelangelo a Milano), ha raccontato la sua lunga carriera e le incredibili esperienze vissute nel corso della sua vita.

Nella serata di venerdì, inoltre, è salita a sorpresa sul palco la compagna di Pacifico, Cristina Marocco, con la quale ha duettato sulle note de ‘L’ora meravigliosa’, definita da entrambi la loro canzone.

Pacifico è stato accompagnato dai musicisti Carlo Gaudiello (piano), Francesco Arcuri (polistrumentista) e Simona Severini (chitarra e voce). Il 6 e il 7 dicembre ad accompagnare il cantautore sul palco anche Frey (in sostituzione di Simona Severini).

https://www.ilmohicano.it/2019/12/09/conclusa-con-successo-di-critica-e-di-pubblico-la-settimana-pacifica/

 

 

Il Principe che fa il suo dovere di buon cittadino nei pressi diu casa sua a Roma